Il Congresso degli Stati Uniti si prepara ad approvare, nei prossimi giorni, dopo aver ottenuto il via libera dalle Commissioni Commercio, l’adesione all’accordo “Central American Free Trade Agreement”. Si tratta della promozione di un’area di libero scambio commerciale che comprende, da un lato, gli Stati Uniti e, dall’altro, cinque Paesi dell’America centrale (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua).
Il commercio dei beni e dei servizi potrà, quindi, svolgersi, in quest’area di libero scambio, senza alcun dazio. Gli Stati Uniti possiedono un rilevante interesse alla realizzazione di tale iniziativa perché avvertono l’esigenza di svincolarsi dalla morsa commerciale entro cui si sono trovati imbrigliati, specie dopo il sostanziale fallimento del progetto ALCA, ossia di quel progetto che perseguiva l’obiettivo di costruire un’area di libero scambio fra le due Americhe.
Questo progetto faraonico contemplava, appunto, la creazione di un unico mercato (dal Canada alla Terra del fuoco) destinato a far interagire tra loro 850 milioni di consumatori e capace di realizzare un Prodotto Interno Lordo di 13mila miliardi di dollari. La sua reiezione è stata, senz’altro, causata dal nuovo indirizzo politico progressista manifestatosi in Brasile (con Lula), in Venezuela (con Chavez), in Argentina (con Kirchner).
Occorre poi considerare, che i Paesi dell’America del Sud ed in particolare il Brasile di Lula hanno tessuto, con pazienza, la tela del G-20 che raggruppa i principali Paesi emergenti (come Cina, India, Sudafrica), perseguendo l’ambizioso obiettivo di creare un’alleanza politica, economica e commerciale idonea a fronteggiare la potenza americana e quella europea.
Il governo americano ha, pertanto, risposto a queste iniziative strutturando un’offensiva in grande stile finalizzata alla creazione di un mercato completamente deregolamentato tra Stati Uniti e Centro America.
L’accordo CAFTA dovrebbe, quindi, mettere in competizione l’industria agroalimentare di entrambe le aree, scontando, tuttavia, il presupposto che si tratti di una “competizione asimmetrica”. Le aziende americane ricevono, infatti, in patria, sussidi miliardari e supporti tecnologici d’avanguardia. Elementi fondamentali per abbassare, con notevole profitto, i costi di produzione.
La nuova area di libero scambio dovrebbe servire, inoltre, a trovare nuovi sbocchi per le industrie americane già assediate dalla concorrenza cinese. Appare, comunque, evidente che gli USA, mediante l’accordo CAFTA, riusciranno ad ottenere vantaggi speculari agli svantaggi che subiranno i Paesi centroamericani.
Le grandi partite dell’economia mondiale si giocano ormai, del resto, non solo mediante le manovre fiscali e monetarie o attraverso la conquista di forniture petrolifere, a prezzi convenienti, nelle zone strategiche del pianeta, ma anche attraverso gli strumenti normativi di liberalizzazione del commercio.
Gli accordi commerciali paiono rappresentare, infatti, la naturale evoluzione delle politiche economiche neoclassiche, producendo conseguenze più redditizie e, al contempo, più devastanti di quelle causate dalle guerre. L’accordo CAFTA rappresenta, dunque, solo una tappa intermedia della strategia commerciale degli USA. Una strategia finalizzata alla diffusione graduale del liberismo commerciale ed alla, conseguente, compressione dell’autonomia politica, economica e sociale dei Paesi sudamericani.