Tanto rumore per (quasi) nulla. Premio dal 18 al 15%, soglia dal 35 al 37%, sbarramento per l’accesso dal 5 al 4,5%. Se Renzi voleva con la sua discesa in campo dare un messaggio di novità, si direbbe piuttosto che abbia pienamente confermato l’inconcludenza della politica italiana. Giorni di affannose trattative hanno lasciato nella sostanza intatto l’accordo con Berlusconi e l’impianto dell’Italicum, inclusi tutti i difetti e qualche peggioramento, come la clausola salva-Lega. Negativa anche l’immagine di un parlamento in trepida attesa delle veline dei capi.
Triste anticipazione dell’assemblea che uscirà dalla legge che oggi si propone.
Avevano ragione o torto i costituzionalisti dell’appello irrisi da Renzi? Un «manipolo di scienziati del diritto», incolpati di essere quasi tutti di ideologia molto spinta sulla sinistra radicale. Avevano ragione. Ribadisco che le modifiche introdotte non attenuano affatto il giudizio di incostituzionalità; che probabilmente si tornerà alla Corte costituzionale, e in tempi assai più brevi della prima volta, essendo stato posto un precedente non eludibile; che se il giudice delle leggi manterrà la linea della sentenza 1/2014 sarà colpita anche la legge futura; che dunque il confuso vociare di oggi può condurre a nuove fibrillazioni politiche.
Il punto è che Renzi ha scritto sotto dettatura di Berlusconi. La minoranza Pd riconosce ora — ed era da subito evidente — che la proposta è sbilanciata verso Forza Italia. È ovvio il motivo per cui Berlusconi non ha voluto alzare la soglia del premio né abbassare gli sbarramenti di ingresso in misura significativa, al tempo stesso pretendendo la lista bloccata, corta o lunga che fosse. Queste opzioni gli consegnano oggi il controllo del partito, e domani il dominio sulla coalizione e la possibilità di conquistare le chiavi del parlamento. I sondaggi vedono centrodestra e centrosinistra in equilibrio, Ncd su una linea di incerta sopravvivenza, il Pd in qualche affanno, M5S che non si sgonfia ed anzi mostra di crescere sulle mosse di Renzi. Il gioco di Berlusconi può riuscire, nel rush finale è stato sempre bravo. Quanto populismo demagogico e irresponsabile vedremmo ancora? Quante leggi ad personam? Quanto inquinamento della politica e delle istituzioni? È questo che preoccupa. Chi critica non lo fa per uno sciocco antiberlusconismo di maniera.
Aveva alternative Renzi? Certamente. Le sue stesse proposte iniziali aprivano su altri scenari. Si può capire — anche se non si condivide — l’opinione che non vuole un ritorno al proporzionale e alla preferenza. Ma allora perché non attestarsi saldamente su un maggioritario uninominale di collegio a uno o due turni, con un adeguato diritto di tribuna? Un sistema che avrebbe di norma favorito il formarsi di una maggioranza, senza manipolare artificiosamente con il premio la traduzione dei voti in seggi. E che avrebbe consentito il voto alla persona e dunque la scelta del rappresentante. Molte varianti sarebbero state possibili. Certo, bisognava abbandonare il miraggio di una vittoria certificata il giorno stesso del voto: un obiettivo che in nessun luogo si realizza sempre, come dimostrano paesi stabilissimi — Gran Bretagna, Germania — con sistemi elettorali assai diversi. E che comunque non può mai essere garantito dal sistema elettorale, se non azzerando il valore del consenso reale in voti alle forze politiche in campo.
La strategia del segretario ha senso solo sull’assunto di una sua certezza di vincere. Ma abbiamo dimenticato la lezione venuta dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto nel 1994, o dal Veltroni del 2008, o anche dal Bersani del 2013? In ogni caso, non si giocano il sistema politico e le istituzioni su una scommessa. Chi mette in discussione le proposte di Renzi assume una prospettiva che ha un respiro ben più lungo del suo. La dichiarazione di incostituzionalità del Porcellum rischia di essere una occasione perduta. Si potrebbe iniziare una opera, certo non breve e non facile, di risanamento. Ma richiederebbe pazienza e lungimiranza, doti sconosciute alla politica di oggi.
A chi afferma che l’obiettivo delle critiche è politico e non costituzionale, si risponde allora che al contrario l’obiettivo è difendere una diversa concezione della Costituzione, guardando ai tempi lunghi e non alla vittoria nel prossimo turno elettorale. Per la democrazia nessun diritto è più fondamentale di quelli garantiti dagli artt. 48, 49 e 51 della Costituzione. E il «manipolo di scienziati» non è affatto irragionevolmente legato a una nozione mitologica dell’aula parlamentare. Semplicemente, assume che la rappresentatività sia la ragion d’essere di una camera elettiva. Un parlamento in cui sono gonfiati i numeri di alcuni e ridotti quelli di altri, che vede altri ancora estromessi, popolato di anime morte non scelte da nessuno e solo obbedienti al capo, a che serve?
Infine, al segretario del Pd va ricordato che non alcuni esagitati costituzionalisti, ma la Corte costituzionale gli pone uno stop. Un manipolo di giudici parrucconi e saccenti? Sia permesso un consiglio: prudenza. Ci vuol poco a passare da rottamatore a sfasciacarrozze.