Un rischio per la democrazia*

Emergenza costituzionale

 

Matteo Renzi va ripetendo che le prossime elezioni politiche non si terranno prima del 2018, essendo questo il tempo necessario per approvare tutta una serie di  riforme. Conseguentemente, secondo tale programma, l’Italia, per ancora quattro anni, avrebbe, oltre ad un Presidente del Consiglio non eletto, un Parlamento delegittimato dalla nota sentenza della Corte costituzionale. Ma delegittimato solo politicamente o anche giuridicamente?

A questo interrogativo tenterò di rispondere qui di seguito riprendendo e sviluppando quanto già scritto sulle pagine de “la Repubblica” lo scorso il 26 marzo. Di quell’ articolo ribadisco la premessa. E cioè che tutte le sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di una legge hanno efficacia retroattiva, con conseguente caducazione, a seguito di ricorso, dei  provvedimenti posti in essere prima della dichiarazione d’incostituzionalità. E quindi, se fosse stato applicato questo principio alla dichiarazione d’incostituzionalità del Porcellum, i parlamentari sarebbero dovuti andare tutti a casa e gli atti e i provvedimenti adottati sulla base delle leggi approvate nella XVII legislatura avrebbero potuto essere impugnati già per questo solo fatto. In poche parole: sarebbe stato il caos. Invece, cosa ha fatto la Corte? Richiamandosi al noto principio della “continuità delle istituzioni costituzionali”, la Corte ha sottolineato che l’incostituzionalità del Porcellum  «non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto». Quanto al futuro, la Corte, dopo aver indicato i principi cui le “nuove” leggi elettorali di Camera e Senato devono ispirarsi, ha richiamato ancora una volta, nelle battute conclusive della sentenza n. 1 del 2014, il principio della continuità dello Stato. E alla luce di esso ha affermato che «nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali».

Ma a quali “nuove consultazioni elettorali” la sentenza si riferisce? A quelle periodiche, previste dall’art. 60 della Costituzione, oppure a quelle conseguenti all’eventuale scioglimento anticipato delle Camere ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione? Se al quesito si risponde nel primo senso (come direbbe Renzi) quella situazione di “sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa” a cui corrisponde una “sproporzionata compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea” – che è la situazione duramente stigmatizzata dalla Corte – paradossalmente si perpetuerebbe per altri quattro anni nonostante la declaratoria d’incostituzionalità. Ma quale mai sarebbe il senso pratico e giuridico della sentenza n. 1 del 2014, se oltre a non spiegare effetti sanzionatori per il passato, non imporrebbe alle Camere alcun obbligo per il futuro? E’ di tutta evidenza che un  annullamento privo di effetti costituisce una insuperabile contraddizione.

Né è sostenibile che in luogo della legittimazione elettorale, si farebbe luogo,  ancora una volta, al principio della continuità delle istituzioni costituzionali. Infatti il richiamo a tale principio può bensì valere per brevi periodi, non già come succedaneo del voto popolare per i prossimi quattro anni: uno smacco per la democrazia.

La risposta da dare è quindi certamente nel secondo senso. Le “consultazioni elettorali” a cui allude la Corte sono quelle che si avrebbero a seguito dello scioglimento delle Camere, motivato per l’appunto sulla base dell’accertata illegittimità costituzionale del titolo di legittimazione del precedente Parlamento, e cioè il Porcellum. Di qui le conseguenze già accennate nel precedente articolo a proposito dei limiti modali, di contenuto e di tempo che incombono su un Parlamento delegittimato. Il quale, sotto il primo profilo, non avrebbe dovuto approvare una legge elettorale per la Camera del tutto irrazionale e prevaricatrice. Sotto il secondo, non dovrebbe approvare un disegno di legge di revisione costituzionale che, perseguendo evidenti finalità plebiscitarie, contestualmente snatura il Senato, modifica il procedimento legislativo e il titolo V ed elimina il CNEL, non rispettando così la doverosa omogeneità di contenuto: E inoltre incide sulla forma di Stato e di governo: un obiettivo che parlamentari politicamente e giuridicamente delegittimati non dovrebbero nemmeno immaginare di poter fare.

Infine, sotto il terzo punto – i limiti di tempo – un Parlamento delegittimato a causa del Porcellum, non dovrebbe, in linea di massima, durare più del tempo necessario per approvare una nuova legge elettorale e andare a nuove elezioni. Non solo perché questo è il senso da dare alla sentenza n. 1 del 2014  ma perché la permanenza in carica di un Parlamento delegittimato costituisce obiettivamente un rischio per la democrazia e la manna per l’antipolitica.

* Articolo apparso sul quotidiano “la Repubblica” del 5 aprile 2014