Nel discorso di Renzi in senato rimangono ampie zone di ambiguità e di incertezza. Così è per le riforme, perno dell’intesa con Berlusconi. Renzi dice che gli accordi saranno rispettati «nei tempi e le modalità stabilite». Ma quali, e con quali contenuti?
Guardiamo al senato. Trova conferma l’indicazione di un’assemblea non elettiva, con attribuzione dei seggi in ragione di altra carica ricoperta e senza indennità. Non chiarisce nulla il richiamo generico fatto da Renzi al Bundesrat tedesco, che è altra cosa. Per quello che si sa, entrerebbero in senato presidenti di regione e sindaci (quali?). Questo senato non voterebbe la fiducia e il bilancio, mentre avrebbe una partecipazione (in che misura e come?) alla formazione delle leggi (tutte o alcune?).
Una proposta in larga misura indeterminata, con crepe già evidenti. Se si vuole una camera rappresentativa, la questione è chi debba essere rappresentato e come. Non si può scegliere un rappresentante solo perché è a costo zero. Infatti in un’assemblea composta prevalentemente da (alcuni) sindaci la domanda è quali comunità siano rappresentate, e perché. Se si conferiscono a una siffatta assemblea poteri legislativi, la domanda è quale legittimazione a legiferare su temi nazionali può ritenersi conferita da una elezione volta a tutt’altro scopo, come è quella del capo di un’amministrazione locale.
È chiaro che non basta appellarsi al minimo costo. Ancor più considerando che le indennità per gli eletti sono la parte minore dei costi di una istituzione rappresentativa. Nei bilanci attuali di camera e senato la maggiore spesa viene complessivamente dagli immobili, dal personale e dai servizi. Costi che rimarrebbero anche per un senato di sindaci e governatori.
Indubbiamente, non c’è ragione di legarsi inscindibilmente al bicameralismo perfetto. Ma perché esiste un «problema senato»? In realtà la questione viene direttamente dalla premessa che bisogna conoscere il giorno del voto chi vince. Questo è oggi possibile solo attribuendo un megapremio di maggioranza, come in prospettiva fa l’Italicum. Ma – a parte il forte dubbio di costituzionalità di cui si è ampiamente scritto — il premio è nazionale per la camera, mentre dovrebbe essere segmentato su base regionale per il senato. Inoltre, i due corpi elettorali sono diversi: 18 anni per l’elettorato attivo camera, 25 anni per il senato. Quindi non c’è modo di garantire che il voto dia nelle due assemblee uno stesso vincitore, cui venga attribuito il premio.
Da qui la spinta a riformare. Ma, pur accettando la premessa di staccare il senato dal rapporto fiduciario e dai principali atti di indirizzo di governo, sono possibili alternative rispetto alla impraticabile proposta di Renzi? Certamente sì. Ad esempio, è possibile concentrare nella seconda camera quelle funzioni che meglio possono essere svolte al riparo della diretta influenza del circuito maggioranza-governo-indirizzo politico, come la istituzione di commissioni di inchiesta con i poteri dell’autorità giudiziaria, la elezione di giudici costituzionali, di componenti del Csm o di autorità indipendenti, o il voto su proposte governative di nomina a cariche di governo di soggetti pubblici. Tutte funzioni che sarebbe improprio affidare a un senato composto di sindaci e governatori, o per automatismo o per una elezione di secondo grado, e che invece potrebbero ben essere il nucleo fondativo di un senato che mantenesse la sua connotazione di istituzione nazionale in virtù dell’elezione diretta dei suoi componenti, rimanendo però separato rispetto all’indirizzo di governo.
Parallelamente, queste stesse funzioni dovrebbero essere tolte alla camera dei deputati, per la sua connotazione di camera essenzialmente politica. Per il senato qui descritto si potrebbe anche ipotizzare un sistema elettorale diverso rispetto alla camera, e in specie proporzionale. Questo agevolerebbe la partecipazione del senato alla funzione legislativa per alcuni atti fondamentali (leggi costituzionali, leggi elettorali, leggi organiche o di principio ove previste), per i quali la relativa autonomia rispetto agli equilibri maggioritari e di governo potrebbe offrire vantaggi.
Era una proposta molto simile al senso ora sinteticamente descritto quella depositata da me e Bassanini nella XIV legislatura (AS 2507). Quanto ai costi, il risparmio potrebbe aversi riducendo in parallelo i componenti delle due camere, ad esempio 400–450 deputati e 150–200 senatori.
E non dimentichiamo che per gli antichi il senato era la mala bestia. Ma solo perché non avevano una camera.