I. Pensare alle fonti del diritto, per poi, eventualmente, trattarne, comporta che qualche idea sul diritto la si abbia. Che, ad esempio, si sia constatato che ci si riferisce a qualcosa di estraneo al mondo fisico-chimico, che perciò non la si trova in qualche anfratto emerso o sommerso del pianeta terra, né nell’atmosfera, né nell’iperuranio. Che, insomma, in natura, il diritto non c’è, e non si può far finta che ci sia, come desidererebbero quei filosofi che ne scrivono come se lo avessero intravisto, evidentemente … in sogno, quando le umane pulsioni, se nobili, indulgono a disegnare creature esemplari in regni ordinati. L’esperienza umana, commista a ragione, sa invece che è irrefutabile la deduzione che il diritto è da includere nel mondo dell’artificiale, e va considerandolo per quello che è: un dato non naturale della realtà, perciò un prodotto culturale, storico, tutto e solo umano e, come tale, storicamente determinato, conformato, manipolabile, manipolato. Sia quando si presenta aggettivandosi come ‘oggettivo’, sia nel suo significato ‘soggettivo’ – i diritti reali attengono in ogni caso a rapporti inter/individuali su cose – il diritto emerge nella storia come un portato del processo di civilizzazione, meglio: di umanizzazione della specie.