Si ha davvero l’impressione di assistere ad una discussione tra bambini, in cui la surreale atmosfera da favola può essere vissuta in piena libertà. Quando si gioca non c’è bisogno di appellarsi alla responsabilità. Il gioco è finzione, è astrazione, è mera narrazione. Siamo seri. Di cosa stiamo discutendo in questo scorcio di 2010, di cosa ci stiamo preoccupando? La retorica di regime ha davvero travolto tutto, ha davvero trascinato tutti noi, cittadini ed istituzioni, sul terreno delle favole e della fantasia? L’assunto in discussione è che, per garantire un processo equo, per assicurarne la ragionevole durata, i processi si estingueranno. Attenzione, non si prevede – come accadrebbe nel mondo degli adulti – di ridurre gli strumenti ostruzionistici e dilatori delle parti in giudizio, di comprimere i tempi delle diverse fasi processuali, di ampliare le dotazioni organiche e di risorse degli uffici giudiziari in difficoltà per i carichi di lavoro. Non si prevede, insomma, di assicurare personale, mezzi e risorse per garantire che i processi siano effettivamente brevi, ma si assicura all’opposto che, perdurando le condizioni di insostenibilità della mole di lavoro a carico degli uffici giudiziari, i processi si estinguano. La Costituzione impone, all’art. 111, di assicurare la ragionevole durata dei processi? La risposta del governo sarà che i processi in corso non si celebreranno più. Non vi piacciono processi troppo lunghi? Non avrete nessun processo. Dispetti di bambini, direi. Come se la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Costituzione possono consentire che per garantire un processo equo un processo non ci sia affatto. Come potranno essere esercitate in un processo che non c’è più le garanzie del diritto di difesa; la tutela dei beni pubblici e dei diritti delle parti offese dai reati, assicurate dalla extrema ratio della sanzione penale? Se fossimo seri, tutti quanti, se fosse serio il modo di affrontare le questioni importanti – e la tenuta del sistema penale è una questione grave ed importante – converremmo tutti sulla necessità di approntare rapidamente le condizioni per assicurare una giustizia celere e giusta e solo in seguito, discuteremmo di termini di durata dei processi, e con ovvio riferimento ai soli processi che verranno. Non staremmo a prendere in giro noi stessi, il Parlamento, il Capo dello Stato, la Costituzione e i cittadini italiani con la previsione della estinzione automatica dei processi in corso.
Cosa accadrà, realisticamente, invece. Si approverà l’ennesima norma sostanzialmente ad personam – anche se formalmente con efficacia generale – per impedire di concludere i processi del Presidente del Consiglio. La norma è chiaramente incostituzionale. Basta conoscere un minimo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sui diritti all’equo processo, alla difesa, al contraddittorio. Basta leggere la recentissima sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale. Qui è ribadito con vigore il principio per cui “il diritto di difesa e il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie”. Non ha senso comprimere oltre ogni limite il diritto al contraddittorio fino al punto di negare la possibilità materiale della conclusione del processo. “Un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata”. Violare il diritto ad un equo processo, attraverso l’eliminazione addirittura del diritto ad una sua conclusione, rende inutili ai fini delle garanzie costituzionali, tutte le deroghe al sistema finalizzate ad abbreviarne la durata. Noi lo sappiamo. Sappiamo che tutti lo sanno. La norma è incostituzionale, è un espediente retorico infantile. Coincide con l’idea di sterminare i pazienti per abbreviare le liste di attesa negli ospedali. Non potrà che essere dichiarata incostituzionale dalla Corte, in coerenza con la giurisprudenza costituzionale ed europea in tema di giusto processo – ripeto, principio che presuppone un processo – . Ma nelle more della sua entrata in vigore, a causa della sua pretesa incidenza sui processi in corso, dello scontato proliferare di incidenti di costituzionalità e fino ad una pronuncia della Corte costituzionale, sarà la prescrizione dei reati ad aver risolto il problema. Il problema del Presidente del Consiglio, e di qualche altro migliaio di imputati, che andranno esenti da condanna. Al costo, non irrilevante, della catastrofe di sistema, del mancato accertamento della verità in tutte le corrispondenti vicende processuali, e del sacrificio dei diritti delle parti lese. Che danno avrebbero, in effetti, senza una beffa?
Al resto penserà la propaganda, che ancora una volta agirà all’unisono per persuadere gli Italiani che il loro danno è il loro vantaggio, e che l’etica dell’onestà e del rispetto delle leggi su cui in maggioranza fondano la propria azione e i propri giudizi, è un mero fraintendimento. Celebriamo i grandi peccatori, i colpevoli, i latitanti per rifondare un’etica condivisa, costruita sui valori che forse evocano il clima de La Tortuga. Sarà l’Italia la nuova frontiera della Filibusta? E che ne sarà, di noi, che ci siamo nati e che ci vivevamo già? Speriamo almeno in un salvacondotto.
Così almeno, anche per noi, si apriranno le avventurose trame delle favole e della fantasia.