Nell’ esperienza repubblicana i casi di rinvio presidenziale di leggi di conversione di decreti legge sono stati numerosi e hanno avuto molteplici motivazioni, come di recente ha ben documentato Davide Galliani (2011). Regolarizzare l’uso del decreto legge è un’ impresa di Sisifo. Risolto un problema se ne pone un altro, o per meglio dire, lo stesso problema, l’abuso della decretazione d’urgenza da parte dei governi, assume continuamente nuove forme.
Da sempre si è auspicato che i decreti abbiano un contenuto omogeneo e che la legge di conversione non comprenda oggetti diversi da quelli del decreto. Tuttavia, decreti omnibus, con l’aggiunta di qualche vagoncino al momento della conversione, continuano a circolare liberamente. Queste prassi non sono in astratto accettabili, ma spesso l’ordinamento non è in grado di reagire adeguatamente. In via di principio esse contrastano con l’essenza stessa dell’istituto che, presupponendo la straordinarietà di casi necessari ed urgenti, ne prevede una stretta individuazione. Peraltro, tali prassi pongono in discussione anche il ruolo di bilanciamento del Parlamento e del Capo dello Stato. Infatti, il primo si trova dinanzi a un’iniziativa legislativa “troppo rinforzata”, soprattutto se su di essa è posta anche la questione di fiducia, mentre il secondo dovrà promulgare una legge non rispondente al decreto che appena 60 giorni prima ha emanato, stretto in una logica del prendere o lasciare in unico blocco.
Dinanzi a tutto questo, mentre la Corte costituzionale può interviene solo ex post e solo se la sua competenza viene eccitata, il Capo dello Stato non può essere immaginato come una sorta di ammazzasette che sta lì a rinviare una legge di conversione al giorno, soprattutto se, come spesso accade, vi è un largo consenso parlamentare perché ognuno ci mette (e riceve) del suo. E allora i Presidenti della Repubblica spendono innanzitutto la loro moral suasion, invitando a prassi più corrette, poi ogni tanto, quando i casi sono più gravi e sono sostenuti da un minor consenso politico, intervengono con un rinvio. Non a caso, per cercare rimedi meno problematici, e perciò un po’ più efficaci, di recente è stata ipotizza una riforma costituzionale che consenta al Capo dello stato di non emanare o non promulgare singole disposizioni. In questo contesto generale intervengono le vicende relative ai referendum abrogativi sul nucleare e sulla gestione delle risorse idriche indetti, contestualmente a quello sul legittimo impedimento, per il prossimo giugno.
Il decreto legge 13 maggio 2011 n. 70, recante “Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia”, all’art. 10, c. 7 e ss., “al fine di garantire l’osservanza dei principi contenuti nel decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 in tema di gestione delle risorse idriche e di organizzazione del servizio idrico” istituisce l’Agenzia nazionale di vigilanza sulle risorse idriche. In realtà si tratta di una normativa che, andando ben al di là dell’implementazione di principi legislativi già vigenti, pone delicati problemi ricostruttivi in una materia assai complessa e di immediato rilievo per i cittadini. In questo caso è molto probabile che la conversione del decreto intervenga successivamente alla data di svolgimento del referendum. Non credo che un decreto legge sia strumento idoneo ad incidere sulla richiesta referendaria non solo per la sua natura temporanea, ma soprattutto perché metterebbe nelle mani del Governo la pratica possibilità di vanificare la richiesta del referendum stesso, distruggendo ogni funzione di bilanciamento che a questo ultimo istituto è propria. Infatti, basterebbe non convertire il decreto per ottenere il doppio effetto di avere interrotto la procedura referendaria e ripristinare la disciplina anteriore. Quindi, a mio modo di vedere il referendum dovrebbe svolgersi regolarmente, mentre nella conversione bisognerebbe tener conto del suo esito. Naturalmente ove ciò non avvenisse si porrebbe la necessità di esperire gli ulteriori rimedi possibili in sede di promulgazione e di successivo sindacato della Corte costituzionale.
In parte diverso appare il caso del referendum sul nucleare. La conversione del decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, infatti, dovrebbe di necessità intervenire prima dello svolgimento del referendum. Innanzitutto, va evidenziato che tale decreto possiede quasi tutti i difetti che un decreto legge può avere. Esso è rubricato: “Disposizioni urgenti a favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazioni della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo”: l’omogeneità non è il suo forte. Per quanto riguarda specificamente la moratoria nucleare, la cui importanza prevale nettamente rispetto agli altri oggetti del decreto, non mi sembra che essa rivesta le caratteristiche della necessità e dell’urgenza, nel senso che appare paradossale utilizzare un decreto legge per deliberare a rotta di collo la sospensione dell’ efficacia di disposizioni legislative che già stanno ricevendo una lentissima attuazione e sulle quali, comunque, a pochi giorni di distanza deve svolgersi un referendum abrogativo. Basterebbe aspettare due settimane per avere le idee più chiare e operare in modo lineare. Delle due l’una o il decreto, rectius il suo art. 5, è stato adottato solo per cercare di interrompere la procedura referendaria e allora è in frode della Costituzione, oppure non vi è nessuna reale necessità ed urgenza ed è dunque illegittimo. In fine, la legge di conversione che si va preparando, A.C. 4307, disegno di legge già approvato dal Senato in data 20 aprile 2011, sostituisce l’originario art. 5 del decreto, che in sole 13 righe si limitava a disporre la sospensione per un anno dell’ efficacia di alcune disposizioni del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, con un macro emendamento di ben sei pagine, che espande e modifica ampiamente il testo del decreto legge, contravvenendo al canone della massima corrispondenza possibile tra decreto e legge di conversione. Anche per questa ragione credo si debba condividere l’opinione espressa da Gaetano Azzariti secondo cui l’Ufficio centrale per il referendum dovrebbe trasferire il quesito referendario sul primo comma del nuovo articolo 5, ma ancor prima vi è un’altra questione: la promulgazione. Michele Ainis con un articolo sull’ Espresso ha giustamente sottolineato come le valutazioni del Presidente della Repubblica siano relative all’opportunità piuttosto che alla legittimità, ma la valutazione sulla coerenza costituzionale di atti così delicati concorre a formare il giudizio di opportunità. Il tentativo di operare ai danni dell’istituto referendario e in frode alla Costituzione è evidente, stando ai testi normativi, e apertamente esplicitato, stando alle parole del Presidente del Consiglio che pure qualche valore devono avere, tutto ciò senza voler menzionare le connessioni di fatto che si sono venute a creare tra i diversi referendum al fine raggiungimento del quorum. Credo che una parte consistente degli italiani non voglia essere privato della possibilità di rispondere ai quesiti referendari.
In definitiva mi sembra esistano tutte le condizioni giuridiche e di opportunità perché il Capo dello non proceda alla promulgazione e rinvii alle Camere la legge di conversione del decreto legge 31 marzo 2011, n. 34, ove approvata.