L’emergenza costituzionale che da venti anni sottopone le istituzioni della nostra Repubblica ad uno stress senza precedenti nella storia costituzionale contemporanea[1] sta focalizzando lo scioglimento anticipato delle Assemblee parlamentari come misura, se non risolutiva, almeno iniziale per avviare a soluzione la crisi profonda che sta per travolgere, con gli assetti costituzionali, la vita associata in Italia[2]. Che quello dello scioglimento sia un istituto centrale dello stato rappresentativo che abbia scelto come sua propria la forma parlamentare di governo è del tutto evidente. È più che noto in dottrina che diverse sono le finalità dello scioglimento e diversi sono i criteri che presiedono all’attribuzione del relativo potere e diversi ancora i modi del suo sostanziale esercizio.[3] La sua configurazione in un ordinamento specifico ne segna la forma specifica della democrazia che vi si realizza. Negli ordinamenti di società politicamente omogenee, con Costituzioni indiscusse, specie se rette da monarchie, il potere sostanziale di scioglimento è attribuito sicuramente al governo e, per esso, a chi lo presiede, senza però la scomparsa definitiva della presenza del Capo dello stato dalla procedura che integra l’effetto della conclusione della Legislatura. Diversa è invece è la disciplina prevalente negli ordinamenti repubblicani a democrazia parlamentare[4].