ABSTRACT
ITA
Il capitalismo muta, trainato dal progresso tecnologico, e trasforma profondamente anche la sfera pubblica democratica. Perfino l’idea e l’immagine della libertà sembrano cambiare in corrisponden-za: questa è intesa come autonoma costruzione del sé, in assenza di un contesto di relazioni e di limi-ti. Il contributo, a partire da questa suggestione filosofica, analizza il rapporto tra questa idea di libertà, lontana dall’accezione costituzionale, e il potere, soprattutto nella sua dimensione economica e priva-ta.
EN
Capitalism changes, driven by technological progress, and transforms deeply the democratic pu-blic sphere. Even the idea and the image of freedom seem to change in correspondence: freedom is interpreted as autonomous self-construction, in the absence of a context of relationships and limits. The essay, starting from this philosophical suggestion, analyzes the relationship between this idea of freedom, far from the constitutional meaning, and the power, especially in its economic and private dimension.
Sommario: 1. La «psicopolitica»: una suggestione filosofica e il suo rilievo costituzionalistico; 2. Le ricadute nell’ordinamento giuridico; 3. Una nuova idea di libertà?
1. La «psicopolitica»: una suggestione filosofica e il suo rilievo costituzionalistico
Lo sviluppo tecnologico cambia il volto del liberalismo capitalistico[1] e insieme investe i processi di costruzione della sfera pubblica. Su quest’ultima l’impatto è duplice: quello mediato dalle trasformazioni che investono l’organizzazione capitalistica del mercato; e quello immediato, per il tramite soprattutto dell’impatto sulle attività di comunicazione: non a caso, si parla ormai di tele-comunicazioni ed è stato coniato l’acronimo ICT – Information and Communications Technology. Su questo secondo fronte, cresce la preoccupazione per cui la rapida diffusione delle tecnologie nella comunicazione politica abbia paradossalmente prodotto un effetto, se non di occlusione, quanto meno di complicazione della possibilità effettiva del dialogo (dia-logos) nella scena pubblica, la quale – sempre più ospitata dalla «rete» – è affollata e saturata da una cacofonia assordante di voci, singole e talora isolate, di cui è difficile, se non impossibile, ricostruire la titolarità e l’autorevolezza effettive e che è dunque illusorio pensare di accompagnare a prendere parte a processi mediativi e ordinati di costruzione del consenso. Si riduce la possibilità che lo spazio democratico sia il luogo della formazione dialogica del consenso, da intendersi, senza voler accedere a riduzionismi razionalistici che neghino della politica la componente del conflitto[2], come credibilità di una parola verificabile, attorno a cui si possano pertanto costruire alleanze e che esige, in chi la pronuncia, responsabilità. La rete è invece, anche su questioni politiche, il teatro fuori controllo di estremismi, almeno verbali, un brodo di coltura e di diffusione di fake news, il ricettacolo (anche) di una parola irresponsabile, disinvoltamente affermata (più spesso urlata) e negata[3]. E questo è un profilo che meriterebbe, come già invero accade, di essere indagato al fine di pesarne le conseguenze sulla qualità e finanche sulla sicurezza dell’ordinamento democratico della convivenza.