L’ordinanza del Tribunale de L’Aquila sulla rimozione del crocifisso con nota di Stefano Sicardi

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Si pubblica l’ordinanza del Tribunale de L’Aquila 1383/2003 sulla rimozione del crocifisso nelle scuole. Nell’ordinanza – particolarmente articolata, puntualmente motivata e argomentata – si afferma che il RD 30 aprile 1924, n. 965 che prescrive l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche sia “una normativa regolamentare di esecuzione di una legge che (…) appartiene … a un sistema costituzionale, quale quello disegnato dallo Statuto Albertino, che all’art. 1 sanciva che la religione cattolica era la sola religione dello Stato”. Il principio statutario della religione di Stato e gli intenti confessionali sottesi alla previsione del crocifisso nell’arredo scolastico sono stati superati con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (art. 8, comma I). Il Concordato, pur modificato solo nel 1984, riconferma il carattere non confessionale dello Stato italiano sorto con la Costituzione del 1947. La laicità dello Stato, la rilevanza costituzionale del pluralismo religioso e della libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo possono realizzarsi “solo se l’istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso”.

Stefano Sicardi
IL CROCIFISSO IN CROCE ?

Sarà ancora possibile parlare del problema dell’esposizione dei crocifissi nei locali scolastici senza farneticare sull’illuminismo, senza spedire ispettori tutte le volte che le sentenze non piacciono, senza creare un clima a senso unico, nel quale sia solo permesso dare all’untore ?
E’ proprio quello che voglio cercare di fare. Voglio cioè cercare di ragionare, di comprendere la natura del problema (indubbiamente delicato) e prospettare una gamma di possibili risposte, ovviamente molto diverse tra loro. L’importante è che si resti sul terreno del confronto, mentre troppe voci sembrano prospettarci un brutto futuro di invettive (spesso oscenamente strumentali) e un preoccupante muro contro muro di malintesi ed incomprensioni.
Il problema dell’esposizione di simboli religiosi nelle scuole pubbliche (di cui l’esposizione dei crocifissi è una specificazione) non è solo italiano. E’ stato affrontato o è tutt’ora oggetto di controversie in molti paesi, a cominciare da Francia, Germania e Svizzera, con una serie di pronunce delle rispettive Corti supreme o costituzionali. Un elemento importante che ha contribuito a complicare le cose è che, nel corso dell’ultimo decennio, la questione dei crocifissi (e, più in generale, dei simboli religiosi), da una questione anzitutto di laicità è divenuta una questione anzitutto di identità.
E’ ben vero che all’identità si faceva ricorso anche in passato quando, in particolare da parte cattolica, si faceva notare (come accade anche oggi) che il crocifisso era non solo un simbolo religioso, ma culturale e sociale, riassuntivo di una certa civiltà. Ma queste considerazioni avevano ben altro impatto in un contesto nel quale i contrasti (peraltro allora marginali) sull’esposizione dei crocifissi (e senza che altri simboli religiosi venissero in questione) riguardavano società non esposte alla sfida multietnica e multiculturale, non soggette alle ansie della globalizzazione, ma società completamente europee, rassicurate nella loro identità occidentale e traversate da differenze tra opinioni prettamente occidentali.
Il problema cambia profondamente nei suoi connotati (almeno in relazione ad alcuni paesi e, specificamente, al nostro) quando sulla disputa inerente alla laicità si aggroviglia quella relativa all’identità. Una cosa è che un connazionale, sulla base di una certa opzione ideale europeo-occidentale, ritenga più laico ed imparziale, in una democrazia liberale, che nella scuola pubblica non debbano entrare simboli religiosi (il che peraltro non significa che nella scuola pubblica si debba ignorare il pensiero religioso), altra cosa è che richieste di questo genere – come è avvenuto in questi giorni in forme particolarmente esasperate – sembrino, almeno di fatto, imposte da un personaggio eccentrico, provocatore, grottescamente estremista e portatore di messaggi volutamente alieni e conflittuali; e poco importa che Abel Smith (tanto per fare nomi) non abbia che misere truppe al seguito, sia un isolato invaso da protagonismo, sia un personaggio cinicamente costruito dalle TV commerciali che vogliono fare audience sulle sue bravate; nessuno meglio di lui è fatto per vestire i panni caricaturali di un nemico che ci vuole rapire la nostra identità a suon di colpi di mano, mediatici e giudiziari. Nel modo più plateale (ed allarmante) il problema del crocifisso è quindi diventato oggi un problema di identità; le debolezze, le incertezze della nostra società si sono coagulate nella difesa di un simbolo di fronte al timore dell’invasione dell’altro, dell’alieno. Che la Lega sguazzi in questo clima non stupisce ma, io credo, molti altri, che pur sono convinti della opportunità e legittimità del crocifisso nelle scuole, dovrebbero non darle spago e differenziarsi molto chiaramente.
Ancora due osservazioni mi paiono importanti. La prima riguarda il problema di diritto vigente in Italia. La normativa in proposito è soprattutto fatta di regolamenti e circolari, di parecchi decenni antecedenti alla Costituzione repubblicana (con la quale ben potrebbe risultare in contrasto per non poche ragioni) e c’è pure da chiedersi se possa considerarsi ancora in vigore (si vedano le discussioni cui tale normativa sta dando luogo nel sito del Forum della rivista Quaderni Costituzionali, “temi di attualità”, “stato laico e libertà religiosa”: http://web.unife.it/progetti/forumcostituzionale); e, negli ultimi anni, si sono registrate prese di posizioni discordanti in tema di crocifisso da parte del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione (quest’ultima sul tema non identico, ma finitimo dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche destinate a seggio elettorale). Insomma, un settore regolato in modo del tutto inadeguato, su cui i governi di ieri e di oggi hanno preferito “glissare”. Mi sembra allora grottesco che – solo perché gli è capitato di inciampare, sia pur un po’ maldestramente, su un nervo scoperto nella pubblica opinione – si prenda la bella soluzione – visto che siamo in materia di crocifissi – di crocifiggere il giudice dell’Aquila per un provvedimento giudiziario intervenuto su una materia mal disciplinata e quindi più che mai aperta all’interpretazione e alla ricerca del precedente giurisprudenziale (e su cui comunque il magistrato doveva pronunciarsi); un provvedimento che, come è noto, può essere oltretutto corretto con il meccanismo delle impugnazioni. Criticare un giudice è legittimo (ma bisognerebbe farlo a ragion veduta e non sulla base dei propri umori, parlando a casaccio di sentenze abnormi), intimidirlo, scatenandogli immediatamente dietro gli ispettori del ministero perché non ha cantato la canzone che voleva il Governo, è deragliare dai binari della separazione dei poteri.
Una seconda questione riguarda il merito del problema, e cioè la presenza dei simboli religiosi nella scuola pubblica. Le alternative che si prospettano sono tra loro molto diverse e provo qui di seguito a schematizzarle rapidissimamente: 1) nella scuola pubblica non devono trovar posto i simboli religiosi di nessuno, perché essa è uno spazio aperto per tutti (si pensi, ad esempio, alle dichiarazioni di Giorgio La Malfa o alla soluzione francese, dove non sono appesi i crocifissi ma è pure vietato qualsiasi simbolo religioso, compresi i chador, quando tale simbologia assuma carattere ostentativo); 2) nella scuola pubblica devono coesistere i simboli religiosi di tutti, come in una sorta di nuovo Pantheon; 3) nella scuola pubblica devono distinguersi i simboli religiosi da quelli storico-culturali, che non devono essere posti sullo stesso piano (così, mi pare, gli esponenti del cattolicesimo). Come si vede posizioni molto diverse – che possono poi essere ulteriormente articolate e affinate al loro interno – sulle quali però occorre discutere (e poi, ovviamente, decidere) alla luce dei principi costituzionali, ma non in un clima da caricatura della battaglia di Lepanto o da “fuori i barbari”. Se la metteremo in questo modo i veri barbari saremo noi.
E, in conclusione, aggiungo la mia di opinione a proposito della scuola pubblica (al di là della questione specifica del crocifisso, che, se esasperata, rischia di far perdere di vista i grandi problemi di sostanza che ci stanno di fronte): una scuola di tutti e per tutti, capace di far dialogare su un terreno sì neutrale, ma ricco di valori; una scuola in cui le grandi opzioni del pensiero laico e religioso possano confrontarsi nella loro pienezza ed articolazione (che è cosa diversa da una scuola proporzionalmente lottizzata tra confessioni di maggioranza e di minoranza), in un clima di rispetto reciproco e nell’obbedienza a “regole del gioco” valide per tutti, italiani e stranieri, non credenti e credenti. Un tipo di scuola che, pur con tutte le sue difficoltà, ha costituito nel corso del Novecento, un vanto per il nostro Paese, e a cui hanno dato il loro apporto cattolici, ebrei, protestanti, laici delle più diverse opinioni; una scuola che rischiosissime parole d’ordine nel segno della libertà d’impresa, della libertà educativa spinta all’estremo e della libertà di farsi ognuno il proprio fortilizio, si sta facendo di tutto per impoverire e sconquassare. Facciamo invece tutto il possibile perché questo non avvenga.