Il Consiglio europeo del 16 e 17 giugno prossimi dovrà prendere posizione sul quadro finanziario pluriennale dell’Unione per il periodo 2007-2013. Le prospettive di un accordo di lungo respiro per le sorti dell’Unione appare, tuttavia, incerto. Eppure una sorta di “patto” di bilancio che responsabilizzasse gli Stati membri in relazione al perseguimento dell’obiettivo di profilare, quantomeno, un accettabile compromesso su un possibile modello sociale europeo, sarebbe auspicabile, anche ai fini di compensare gli imprevedibili effetti, in termini di legittimazione politico-costituzionale, derivanti dalle recenti reiezioni francese e olandese del Trattato-Costituzione europeo.
Le proposte che si fronteggiano e che costituiscono il terreno di scontro dei diversi interessi in campo sono le seguenti:
1) Proposta della Commissione del 14 luglio 2004 (COM 2004 498 final), “Document de travail de la Commission. Proposition en vue du renouvellement de l’ACCORD INTERINSTITUTIONNEL sur la discipline budgétaire et l’amélioration de la procédure budgétaire”.
La proposta prevede, in senso conservativo rispetto alla precedente decisione del 29 settembre 2000 (JO L 253/42, 7.10.2000), il mantenimento delle risorse statali da destinare al plafond comunitario in modo da garantire, in sette anni, una copertura di cassa pari all’1,24% del Pil dell’Unione (circa 1022 miliardi di euro). Questo orientamento persegue lo scopo di ottemperare alle necessità derivanti dalle spese aggiuntive provocate dall’allargamento ai paesi meno avanzati entrati nell’Unione già nel maggio dello scorso anno, senza modificare in modo radicale gli equilibri di bilancio esistenti e senza ridurre eccessivamente i sussidi alle regioni più disagiate.
2) Proposta della Presidenza lussemburghese del 2 giugno 2005.
Essa prevede una riduzione significativa delle contribuzioni in favore dell’Unione, rispetto alla proposta della Commissione. Infatti, secondo Junker, le risorse statali da riservare al “bilancio” comunitario dovrebbero attestarsi all’1,06% del Pil dell’Unione (più precisamente all’1,056%, corrispondenti a circa 870 miliardi di euro). In particolare, tale ridimensionamento dovrebbe avvenire, fra l’altro, tramite un congelamento della quota dell’Inghilterra almeno al livello del 2003 (4,6 miliardi di euro) che, appunto, resterebbe invariata (il che, di fatto, determinando una mancata copertura da parte britannica della quota necessaria a raggiungere quell’1,24% proposto dalla Commissione, confermerebbe una situazione di privilegio per il Regno Unito). D’altra parte, il mantenimento della soglia dell’1,06% dovrebbe essere garantito, secondo la Presidenza attuale del Consiglio d’Europa, dal taglio dei fondi strutturali, da realizzarsi mediante un depauperamento delle risorse destinate alle regioni meridionali italiane (nella misura di circa 7-8 miliardi di euro).
3) Proposta del Parlamento europeo dell’8 giugno 2005. Rapporto di R. BÖGE approvato con 426 voti favorevoli, 140 contrari e 122 astenuti. (Vedi documento nella sezione del 9 giugno 2005 intitolato: “European Parliament position on EU budget 2007-2013”).
Tale risoluzione, preso atto dell’iniziale proposta della Commissione e del più recente compromesso avanzato dalla presidenza lussemburghese, prevede di fissare lo stanziamento alle casse europee nella misura di almeno l’1,18% del Pil comunitario (circa 975 miliardi di euro su sette anni). All’interno del Parlamento europeo i deputati italiani appartenenti agli opposti schieramenti hanno sostenuto il rapporto Böge, essi hanno, cioè, ritenuto di dover appoggiare il “compromesso alto” votato dalla Camera europea, al fine di mantenere un equilibrio tra quanto i maggiori Paesi versano e quanto ricevono, e soprattutto al fine di destinare all’incirca 338 miliardi di euro alla politica di coesione economica e sociale, senza subire quel rovinoso tracollo che sarebbe invece derivato da un’accettazione del “compromesso al ribasso” propugnato dalla presidenza lussemburghese.
4) A fronte delle proposte formulate nell’ambito istituzionale dell’Unione, alcuni Stati membri hanno poi espresso diverse volontà. Si possono individuare sostanzialmente due proposte. Quella ascrivibile al gruppo composto da Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria, Svezia e Paesi Bassi (ossia i maggiori Paesi pagatori netti), ove si auspica che il nuovo “bilancio” comunitario non superi l’1% della ricchezza prodotta annualmente dall’Unione. L’altra posizione è, invece, quella espressa dal leader britannico Tony Blair, il quale ha tracciato, sulla questione delle contribuzioni alle casse europee, una “linea rossa” ritenuta invalicabile: lo sconto sui contributi, ottenuto nell’84 dalla Thatcher, non si tocca (“ I want my money back” fu il motto della Lady di ferro che Blair ha fatto proprio).