1. La cultura progredisce solo se anche nelle questioni politiche più delicate vince lo spirito del pacato scambio di argomenti e informazioni. La decisione del cittadino di partecipare o meno ad un referendum popolare presuppone una specifica cultura dell’informazione che, ad opinione di molti, in Italia sembra più problematica che non in altri paesi come ad es. in Svizzera e, forse perfino, negli Stati Uniti. Il ruolo pubblico di chi insegna il diritto pubblico implica il dovere di contribuire in modo imparziale a quello che con un termine sociologico si potrebbe chiamare l’”empowerment” del cittadino legislatore. Può essere doveroso chiarire innanzitutto il senso della controversia sulla “legittimità” dell’astensione (2.). Può essere un compito istituzionale non solo del governo, dei partiti politici e dei mass media pubblici di rendere informazioni sul merito delle scelte, per consentire ai cittadini di votare nel modo più informato possibile. A questo proposito, occorre rendere anche la comparazione giuridica al servizio del cittadino, specialmente quando una delle motivazioni della proposta di referendum asserisce l’incostituzionalità della legge sottoposta a referendum (3.). Pertanto vanno affrontati prima i diritti religiosi (4), per dare poi notizie sulla legislazione statunitense (5.) e su quella europea (6.) e sembra doveroso esprimere infine un giudizio almeno sommario sui dubbi di costituzionalità sollevati nella vicenda referendaria (7.), in particolare al riguardo del referendum apparentemente più “difficile” sulla fecondazione eterologa (8.).
2. L’art. 48 della Costituzione dichiara l’esercizio del diritto di voto un dovere “civico”, perché tramite il voto si dedichi visibilmente alla “civitas”. Essendo state abrogate le sanzioni amministrative previste in passato, questo dovere è oggi rimesso alla virtù repubblicana, semmai resta un potere di garanzia del legislatore che potrebbe inventare nuove sanzioni solo qualora fossero idonee a rafforzare effettivamente il senso di solidarietà politica dei cittadini. Chi si astiene pubblicamente dal voto (e non semplicemente nel segreto della cabina dall’esprimere una preferenza), non osserva la Costituzione, ma non deve neppure essere sanzionato e può anzi pretendere tolleranza, perché la Costituzione preferisce l’adempimento spontaneo e volontario dei doveri di solidarietà (art. 2) a costrizioni che rischiano di incidere sulla libertà di coscienza nelle scelte politiche.
Ora, secondo alcuni giuristi, questo dovere solo “morale” o “politico” di voto varrebbe solo per le elezioni, non anche per le operazioni referendarie, perché l’art. 48 si rivolge agli “elettori” e l’art. 75 della Costituzione (“la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto”) prevede un quorum di validità non richiesto invece per le elezioni. Tuttavia, in virtù del principio di democrazia (art. 1 della Costituzione) il popolo che elegge i propri legislatori deve essere identico a quello che corregge le loro decisioni. Sarebbe poco repubblicano e poco democratico sostenere che i cittadini devono solo eleggere i propri legislatori e non anche partecipare a un controllo su singole leggi fatte (o non rifatte), specialmente se il controllo è richiesto da una minoranza. Il quorum di validità, in assemblea costituente elevato da 40 % a 50 %, peraltro non aveva lo scopo di dispensare i cittadini dal loro dovere civico. Serviva solo ad escludere che la stanchezza delle masse possa agevolare quella parte del popolo che vuole liberarsi dalla legge. In democrazia non si prescrive un quorum per le elezioni, perché il popolo deve sempre poter liberarsi da un governo. Nello stato di diritto invece, per poter liberarsi da una legge, la minoranza promotrice non deve poter sfruttare la stanchezza degli elettori.
Il dovere civico di voto si riflette peraltro anche in una norma di correttezza, rafforzata dal dovere di disciplina ed onore dei titolari di funzioni pubbliche (art. 54 della Costituzione). Chiunque rivesta funzioni pubbliche e sia al servizio dell’intera nazione, si astenga dall’invocare l’astensione sfruttando l’autorità dell’istituzione di cui fa parte. Perfino coloro che hanno rivestito le più alte cariche della Repubblica (e godono privilegi particolari), dovrebbero ricordarsi che gli obblighi dell’onore civico forse non cessano con la carica. Restano liberi di manifestare il loro pensiero da cittadini, ma devono rispettare il buon costume di non fregiarsi della propria carica per diffondere idee strettamente personali.
3. Per poter esercitare il proprio dovere civico di voto in modo democratico, cioè per formarsi un giudizio personale da esprimere in condizioni di eguaglianza, libertà e segretezza, il cittadino necessita di informazioni che non possono derivare esclusivamente dalla propaganda dei promotori e dei comitati interessati, per quanto si sforzino di instaurare un contraddittorio o una dialettica simile a quella parlamentare. I lavori preparatori della legge e la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato ammissibile possono offrire ulteriori elementi di informazione, ma non risultano finora rimossi “gi ostacoli di ordine economico e sociale”, inclusi quelli tecnici, che limitano di fatto l’accesso del cittadino a tali risorse (basta notare le lacune nell’apposita pagina web del Governo). Purtroppo lo stesso parlamento ha finora rinunciato a svolgere una funzione di catalizzatore del dibattito referendario e non promuove neppure studi ed audizioni di esperti al riguardo.
Tollerare l’astensione può implicare anche un dovere di tolleranza nei confronti di chi non vuole informarsi e partecipare allo sviluppo culturale. Tuttavia, è compito delle istituzioni pubbliche adoperarsi per un alto livello di informazione sulle implicazioni dei referendum abrogativi che consenta sia a chi partecipa sia a chi si astiene di decidere con piena conoscenza dei fatti e delle norme.
Particolarmente delicato è questo compito con riguardo al quesito della cd. “fecondazione eterologa”. Il quesito mira all’abrogazione del divieto del “ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” e delle relative sanzioni, mentre lascia in vigore a) il divieto della maternità surrogata (art. 12 co.6 l. n. 40/2004), b) il divieto dell’azione di disconoscimento del marito consenziente alla fecondazione eterologa (art. 9 co. 1 l. n. 40/2004), c) la previsione secondo cui il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi (art. 9 co. 3 l. n. 40/2004).
Ad avviso dei promotori, il divieto di fecondazione eterologa contrasterebbe con il principio di libertà personale, con il diritto alla procreazione delle coppie colpite da sterilità del marito o da infertilità della moglie, con il canone di ragionevolezza e con il principio di uguaglianza, consentendo solo ai più benestanti di ricorrere alla tecnica di fecondazione eterologa mediante l’utilizzo di strutture sanitarie di altre nazioni. Questa posizione viene invece contestata dai fautori della legge che motivano il divieto con la necessità di tutelare la dignità umana e la salute del figlio nonché, nelle parole dell’Avvocatura dello Stato, il dubbio che “innaturali disomogeneità possano alterare i misteriosi equilibri della vita naturale nel corso della gestazione con gravi conseguenze sull’equilibrio psicofisico del nascituro e sulla formazione della sua personalità” (cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2005, peraltro non richiamata nel sito governativo).
Numerosi sono i dubbi ed interrogativi che riguardano sia i più o meno complessi fatti tecnici e sociali delle rispettive pratiche, sia le norme legislative e deontologiche attuali, passate e future che disciplinano tale fenomeno. Prima di affrontare gli aspetti costituzionali, occorre notare che lo stesso termine “fecondazione eterologa” differisce notevolmente da quello originale inglese della “inseminazione artificiale con donatore” (Artificial Insemination, Donor (A.I.D), oggi anche semplicemente “donor insemination”, perché insinua che si tratti di una sostanza organica proveniente da una “specie” biologica diversa ed esclude il richiamo allo spirito di liberalità.
4. Nel 1987, l’istruzione “Donum Vitae” della Congregazione per la fede ha giudicato un “illecito morale” l’inseminazione eterologa:
“La fecondazione artificiale eterologa è contraria all’unità del matrimonio, alla dignità degli sposi, alla vocazione propria dei genitori e al diritto del figlio ad essere concepito e messo al mondo nel matrimonio e dal matrimonio. Il rispetto dell’unità del matrimonio e della fedeltà coniugale esige che il figlio sia concepito nel matrimonio; il legame esistente tra i coniugi attribuisce agli sposi, in maniera oggettiva e inalienabile, il diritto esclusivo a diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro. Il ricorso ai gameti di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma o l’ovulo, costituisce una violazione dell’impegno reciproco degli sposi e una mancanza grave nei confronti di quella proprietà essenziale del matrimonio, che è la sua unità. La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale. Essa costituisce inoltre una offesa alla vocazione comune degli sposi che sono chiamati alla paternità e maternità: priva oggettivamente la fecondità coniugale della sua unità e della sua integrità; opera e manifesta una rottura fra parentalità genetica, parentalità gestazionale e responsabilità educativa. Tale alterazione delle relazioni personali all’interno della famiglia si ripercuote nella società civile. (…). Il desiderio di avere un figlio, l’amore tra gli sposi che aspirano a ovviare a una sterilità non altrimenti superabile, costituiscono motivazioni comprensibili; ma le intenzioni soggettivamente buone non rendono la fecondazione artificiale eterologa né conforme alle proprietà oggettive e inalienabili del matrimonio né rispettosa dei diritti del figlio e degli sposi.”
Il ripudio della fecondazione eterologa viene condiviso dalla Chiesa ortodossa greca e dall’Islam che la equiparano all’adulterio (Norhayati Haji Ahmad, Assisted Reproduction – Islamic Views on the Science of Procreation, Eubios Journal of Asian and International Bioethics 13 (2003), 59-60 si riferisce a una fatwa di Shaykh Mahmud Shaltut di Al-Azar).
Nel diritto ebraico invece, l’inseminazione eterologa è controversa. Secondo Rabbi Feinstein, la donazione di seme non viola il diritto ebraico e non è adulterio, perché la paternità genetica resta quella giuridicamente determinante. Secondo altre fonti rabbiniche (Teitelbaum, Waldenberg, Breish) è invece da considerarsi un adulterio o quanto meno una violazione dei valori di modestia o ancora semplicemente un malcostume pagano (M. Broyde, The Establishment of Maternity & Paternity in Jewish and American Law, 3 Nat’l Jewish L.Rev. 117 (1988) considera la posizione di Feinstein più statunitensi, quella di Teitelbaum più israeliana, v. anche R. Grazi/J.Wolowelsky, Donor Gametes for Assisted Reproduction in Jewish Law and Ethics, The Assisted Reproduction Reviews 2:3 (1992).
Nella religione Hindu si crede destinato a sofferenze eterne colui che muore senza figli maschi. Nel Dharmashastra si suggerisce in caso di sterilità di invitare altri uomini a coabitare con la moglie (cd. niyoga), una pratica simile al cd. “levirato” (cfr. Deuteronomio 25:5-6: Se dei fratelli staranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà fuori, con uno straniero; suo cognato verrà da lei e se la prenderà per moglie, compiendo così verso di lei il suo dovere di cognato; e il primogenito che lei partorirà porterà il nome del fratello defunto, affinché questo nome non sia estinto in Israele). Nella Kathasaritsaga (11. sec. A.C.) si racconta di un re che apprende di essere stato il frutto di una paternità surrogata e nella Bhagvata Purana di un re coinvolto in una maternità surrogata. La fecondazione eterologa viene pertanto tollerata, come dimostra anche l’accettazione del Delhi Artificial Insemination (Human) Act del 1995 che legalizza la donazione di semi e gameti.
Dal punto di vista del protestantesimo, la condanna è meno univoca. Da un lato, anche il sinodo delle chiese protestanti della Germania si è dichiarato contrario all’inseminazione eterologa, in quanto potrebbe “creare tensioni nei rapporti tra i genitori e con il figlio, tale da mettere a rischio l’essere accudito (Geborgenheit) del figlio nella famiglia” (sul rispetto della vita, 1987). Dall’altro lato, uno studio incaricato dalla conferenza delle chiese evangeliche luterane della Germania ha difeso la scelta del legislatore di vietare soltanto la donazione di ovuli e maternità surrogata, evitando invece di “stigmatizzare” una donazione di semi non commerciale registrata e sorvegliata, con limitazioni del numero delle donazioni e conservazione dei dati relativi in modo tale da garantire il diritto del figlio a conoscere anche il padre genetico oltre a quello sociale (K. Grünwald/U. Hahn, Was darf der Mensch?, Hannover 2001).
In conclusione di questa prima frammentaria e incompleta indagine sembra possibile affermare innanzitutto che non esiste un consenso delle grandi religioni mondiali sulla necessità di un divieto legale delle pratiche di fecondazione eterologa, ma sembra prevalere un giudizio etico negativo.
5. Negli Stati Uniti, l’A.I.D. è documentata sin dal 1884. Nella “common law” degli ordinamenti degli Stati Uniti, l’inseminazione di gameti donati consentita dal coniuge è stata in un primo tempo qualificata dalla Corte suprema dello Stato di New York come una sorta di adozione informale (Strand v. Strand, 190 Misc. 786, 78 N.Y.S.2d 390 (Supreme Court 1948). Questa posizione fu successivamente superata da una sentenza della Corte Suprema dello Stato di California secondo cui ragioni di equità precludono al padre sociale di promuovere un’azione di disconoscimento e che anche la tradizionale presunzione di legittimità dai figli nati nel matrimonio deve proteggere il figlio dallo stigma dell’illegittimità (People v. Sorensen, 68 Cal. 2d 280, 437 P.2d 495, 66 Cal. Rptr. 7 (1968)).
La maggior parte degli Stati ha disciplinato con apposite leggi le modalità e i limiti della donazione di gameti che prevedono per lo più l’obbligo di farsi assistere da un medico abilitato, di depositare la dichiarazione di consenso, di rispettare la segretezza di dichiarazioni altrui, l’esclusioni di diritti o doveri del donatore ecc. In alcuni stati, ad es. in Oregon, Arkansas, New Hampshire, New Mexico, New York, New Jersey ecc. sembra consentita anche l’inseminazione di donne non coniugate. Raramente sono stabilite sanzioni penali per la violazione di tali regole. Non è da escludere tuttavia che un divieto totale di donazione di gameti simile a quello della legge italiana sia dichiarato incostituzionale negli Stati Uniti (cfr. ad es. Jordan C. v. Mary K. 179 Cal. App. 3d 386, 224 Cal. Rptr. 530 (App. Div. 1986).
6. Soltanto a partire dagli anni trenta in Europa si è diffuso il sapere medico circa la diffusione dei casi di sterilità maschile. In Inghilterra, una commissione istituita dall’Arcivescovo di Canterbury raccomandò già nel 1948 di sanzionare penalmente le pratiche di AID, soluzione invece successivamente sconsigliata da una commissione governativa presieduta da Lord Feversham nel 1960. Nel 1970, una commissione dell’associazione dei medici consigliò di includere l’A.I.D. nelle prestazioni del National Health Service e nel 1991 fu istituita un’apposita autorità indipendente, la Human Fertilisation and Embriology Agency, con il compito di controllare le istituzioni pubbliche e private che praticano A.I.D. Nel 2004, le Disclosure of Donor Information Regulations hanno rimosso, con decorrenza dal 1 aprile 2005, le garanzie di anonimato per donatori nuovi.
Anche Croazia (CR 1978), Svezia (SV 1984), Spagna (E 1988), Germania (D 1991), Austria (A 1992), Francia (F 1994), Norvegia (N 1994), Danimarca (DK 1997), Svizzera (CH 1998) e da ultimo anche Olanda (NL 2002), Grecia (GR 2002) e il Belgio (B 2003) hanno adottato delle leggi apposite che contengono discipline più o meno articolate dell’inseminazione eterologa. Nel caso svizzero, le norme principali per la tutela della dignità umana, della personalità e della famiglia sono state addirittura incorporate in una legge di revisione della costituzione federale, approvata con referendum nel 2000 (art. 119). Dall’insieme di queste discipline (cfr. H.-G. Koch, Fortpflanzungsmedizin im europäischen Rechtsvergleich, in: Aus Politik und Zeitgeschichte B 27/2001, 48ss.) si possono ricavare una serie di possibili restrizioni alternative al divieto totale dell’inseminazione eterologa:
1) Si rende obbligatoria una consulenza psicologica e legale (CH: con intervallo di riflessione), per valutare l’impatto della fecondazione sulla vita di coppia e
2) Si ammettono solo coppie sposate (CH) o conviventi (F, DK) in modo stabile (F: almeno 2 anni), altrimenti viene richiesta quanto meno una valutazione concreta dei rischi connessi al fatto di crescere senza un padre sociale (UK),
3) Si pratica solo in casi di accertata sterilità, infertilità o in caso di trasmissione di malattie gravi (F, CH).
4) Si prescrive un limite di età per la donna (DK: 45 anni).
5) Si richiede il consenso scritto dei genitori sociali, anche in forma notarile (A, GR),
6) Si vieta l’inseminazione post mortem (F, D, N, SV) o si stabiliscono termini massimi per l’utilizzo dei gameti (A: 1 anno)
7) Si vieta la selezione del sesso, salvo in caso di rischio di malattie legate al genere (DK, D, CH, E, N).
8) Si prescrive un esame preventivo dei gameti (ad es. per HIV: F).
9) Si vieta l’uso di gameti provenienti da più donatori o mescolati con quelli del partner e l’uso di gameti dello stesso donatore per più di tre coppie (A).
10) Si permette il trattamento solo da parte di medici specializzati (A: ginecologo) in un ospedale pubblico (SV) o in enti autorizzati e sorvegliati (UK).
11) Si vieta la fecondazione eterologa in-vitro (A: giudicato costituzionalmente legittimo dalla sentenza della Corte costituzionale austriaca del 14 ottobre 1999).
12) Si stabilisce un limite massimo di donazioni (Austria: 3 coppie, F: 5 figli, UK: 10 figli).
13) Si stabilisce un divieto di retribuire il donatore (UK) e ogni forma di commercio di gameti (CH.
14) Si stabiliscono obblighi di documentazione, in particolare con riguardo al diritto di (A: 30 presso l’ente ospedaliero, S: 70, CH: 80).
15) Si garantisce la segretezza dei dati, riconoscendo tuttavia un diritto all’informazione da parte del nato (GR: solo dati relativi alla salute), che può esercitarlo al momento del raggiungimento della maggiore età (UK, GR) o prima (A: 14 anni).
Deve ritenersi oramai superata la garanzia dell’anonimato totale dei donatori a favore di un diritto di informazione del figlio, in Germania riconosciuto da una sentenza costituzionale (BVerfGE , 56 (61). In Olanda è stato sperimentato anche una sorta di identikit del donatore, contenente 35 caratteristiche psicofisiche e sociali individuate dal donatore e con la motivazione della donazione stessa (J.K. de Bruyn, Social and legal trends in artificial donor insemination in the Netherlands, Ned Tijdschr Klin Chem 2001; 26: 309-313).
Mentre si tende per lo più a vietare la maternità surrogata, non in tutti i paesi, la donazione di ovocita è equiparata a quella di seme (vietata in Svizzera, Germania, Austria, Norvegia, Svezia, in Danimarca ammessa solo per ovocita sopranumerari in altre procedure di inseminazione assistita). Questa breve e incompleta elencazione può bastare per dimostrare da un lato la complessità dei problemi giuridici connessi all’inseminazione eterologa, dall’altro canto tuttavia anche la possibilità di trarre dalle esperienze straniere degli spunti utili per una soluzione bilanciata dei problemi italiani.
7. Il giudizio che determina la decisione politica di “abrogare” o meno una legge spetta in ultima istanza al parlamento e al popolo, mentre il giudizio che determina la decisione tecnica di considerare la stessa legge “incostituzionale” (o meno) spetta in ultima istanza alla Corte costituzionale. Giudicando il referendum ammissibile, la Corte costituzionale ha peraltro escluso “che la eventuale abrogazione delle disposizioni oggetto del quesito sia suscettibile di far venir meno un livello minimo di tutela costituzionalmente necessario”, ma anche questo non significa che le norme create in seguito all’abrogazione non possano incontrare nuovi dubbi di incostituzionalità.
Se per il giurista l’abrogazione va ben distinta dalla dichiarazione d’incostituzionalità, per il cittadino i due problemi possono confondersi. In effetti, l’opinione giuridica di chi ritiene incostituzionale la legge attuale e l’opinione opposta di chi ritiene incostituzionale invece la normativa risultante dalla sua abrogazione possono influenzare il voto, non da ultimo perché implicano un giudizio di disvalore e di ingiustizia.
A questo punto, conviene spiegare al cittadino con chiarezza che il popolo che vota su un referendum non sceglie tra la legge e la Costituzione. Ogni qual volta una maggioranza decide di abrogare una legge (votando si) o di non abrogarla (votando no), o non decide di abrogarla (astenendosi), il corpo elettorale non pretende di rendersi interprete autentico della Costituzione. Può anche ritenere la legge semplicemente migliorabile o viceversa ritenere inopportuno rimuovere la legge in mancanza di un progetto di riforma convincente, lasciando quindi la soluzione dei dubbi di costituzionalità alle istituzioni.
Un primo esame dei dubbi di costituzionalità della legge sottoposta al referendum sarà stato compiuto peraltro sia dal parlamento in sede di esame, sia dal Presidente della Repubblica in sede di promulgazione della stessa (se si tratta di leggi repubblicane). Ne consegue che il cittadino non è tenuto a chiedere un nuova istruttoria sulle questioni di costituzionalità sollevate dai promotori o dagli oppositori del referendum. Tuttavia, potrebbe sussistere un interesse del pubblico ad avere maggiori informazioni sui problemi di legittimità costituzionale delle leggi sottoposte a referendum, ad es. in forma di pareri pro veritate di scienziati cultori del diritto costituzionale che non abbiano svolto funzioni di avvocatura nel procedimento referendario.
8. Nel caso del referendum sulla fecondazione eterologa, servirebbe un’analisi delle censure d’incostituzionalità sia del divieto attuale sia della situazione normativa precedente, entrambi contese dai fautori e dagli oppositori del referendum. In questa sede si può offrire soltanto un esame sommario e un abbozzo di questo compito di ricerca scientifica.
Da un lato, almeno in base alla giurisprudenza costituzionale, occorre affrontare la tesi secondo cui l’ordinamento costituzionale sancisce un “diritto alla procreazione” anche delle coppie colpite da sterilità del marito o da infertilità della moglie. Ora, non basta certo pretendere il riconoscimento di tale diritto apparentemente “nuovo” per provare l’esistenza di un (più o meno naturale) “diritto inviolabile dell’uomo” che, per quanto non esplicitato dal testo della Costituzione, sarebbe incluso da una norma di rinvio implicita nell’art. 2 della stessa. Poco coerente con la lettera e con la giurisprudenza sembra inoltre asserire un diritto “alla famiglia” (o al suo allargamento) compreso nei “diritti della famiglia” (ex art. 29 co. 1 Cost), difendere la fecondazione eterologa come strumento di “ricerca della paternità” (art. 30 co. 4 Cost.) o come un istituto necessario alla protezione della maternità (art. 31 co. 2 Cost.). Anche la ragionevolezza e il principio di eguaglianza non sono direttamente fonti di diritti fondamentali. Allo stato attuale, nessuno può pretendere di essere trattato in Italia come all’estero, essendo il legislatore nazionale sovrano di non uniformarsi alle scelte di altri paesi.
Tuttavia, un diritto alla procreazione potrebbe essere implicito nel diritto alla salute qualora l’inseminazione di gameti donati fosse qualificabile come una “cura” ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, per quanto la donazione non comporti guarigione da sterilità ed infertilità ma solo sollievo per le sofferenze psico-fisiche causate dalla stessa. Non va neppure trascurato che, ai sensi dell’art. 31 Cost., la Repubblica deve “agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia”, dovere che sembra presupporre una libertà di formazione della stessa, restringibile forse solo da leggi a difesa di beni o interessi protetti dalla stessa Costituzione. I legami sociali che si instaurano tramite l’inseminazione eterologa tra i genitori sociali e il nato potrebbero del resto essere qualificabili come “formazioni sociali” (art. 2 Cost., in questo senso anche Corte costituzionale sent. n. 347/1998) nelle quali si svolgono le rispettive personalità. Se lo “sviluppo della persona umana” deve non solo di fatto ma anche di diritto godere “libertà” (art. 3 , secondo comma, Cost.), anche la scelta di formare tali “formazioni sociali” dovrebbe essere in linea di principio libera e solo nella loro conformazione giuridica dipendere dalla volontà della maggioranza politica del popolo. Il divieto della fecondazione eterologa, pur non essendo retroattivo, rischia inoltre di stigmatizzare i figli finora nati da tali pratiche, peggiorando la loro percezione sociale e le loro “condizioni personali e sociali”. Negando legittimità a tali forme di procreazione, si rischia di aggredire perfino la “dignità” della loro vita.
Tuttavia nessuna libertà è garantita dalla Costituzione senza limiti costituzionali e senza possibili restrizioni legislative. A questo proposito, la sentenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum sembra aver già escluso che la protezione della “famiglia” come istituzione imponga il divieto totale della fecondazione eterologa. La dottrina cattolica sopra citata argomenta tuttavia con valori che almeno in parte sembrano coincidere con quelli sanciti dalla Costituzione italiana. L’art. 29 della Costituzione parla a questo proposito di “unità familiare” e di “famiglia come società naturale”. Sarebbe una forzatura della lettera agganciare all’aggettivo “naturale” un divieto di procreazione “artificiale”, come sarebbe una forzatura considerare legittimi solo i figli nati “nel e dal” matrimonio. Semmai l’art. 30 della Costituzione, sancendo “dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli” potrebbe essere interpretato come un principio di sfavore contro una normativa che lasci al donatore dei gameti la possibilità di sottrarsi alla responsabilità del genitore naturale, anche solo ad una responsabilità aggiuntiva rispetto a quella dei genitori sociali. Non dimentichiamo peraltro se l’assistenza privata individuale deve essere “libera” (art. 38 u.c.), questo non significa che debba essere irresponsabile. Inoltre, resta da vedere se il divieto dell’inseminazione eterologa non possa costituire uno strumento di politica legislativa legittima per tutelare l’”unità familiare” e i “diritti dei membri della famiglia legittima” ad es. in presenza di altri figli naturali o adottivi.
Infine, restano dei dubbi se il divieto dell’inseminazione eterologa sia giustificabile dal punto di vista del rispetto dei diritti fondamentali del nato. Quest’ultimo, difficilmente potrebbe citare in giudizio i genitori sociali e il donatore per il risarcimento di danni subiti dalla propria nascita (wrongful life), semmai per aver taciuto l’origine o per non aver chiesto assistenza psicologica nell’infanzia. Inoltre il nato potrebbe forse anche poter rivendicare un minimo di responsabilità e solidarietà del donatore, ad es. in caso di malattie genetiche taciute dallo stesso o in caso di morte di entrambi i genitori sociali. Allo stato attuale della scienza – peraltro non esaminato dai lavori preparatori della legge – non sembra provata né confutata la supposizione che i figli nati da inseminazione eterologa abbiano sempre bisogno di assistenza psicologica, anche se tempestivamente resi edotti delle proprie origini.
In sintesi, ad avviso di chi scrive, i dubbi di costituzionalità relativi al divieto attuale sembrano meno inconsistenti che non quelli relativi alla situazione normativa risultante dall’approvazione della proposta referendaria, in termini tecnici: “non manifestamente infondati”. Non riuscendo a trovare un consenso sulle numerose clausole restrittive che potrebbero rendere accettabile le pratiche di fecondazione assistita, forse il legislatore non è ancora riuscito a individuare “un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana”, come auspicato dalla Corte costituzionale (sent. n. 347 del 1998). Non spetta al cittadino risolvere tali dubbi, semmai potrà valutare se siano sufficienti per incidere sulla sua scelta di partecipare o meno al referendum.