È certamente irrituale la lettera di Napolitano al presidente della Commissione affari costituzionali del Senato per manifestare forti perplessità in merito alla proposta di legge costituzionale sulla sospensione dei processi. Ciononostante a me pare del tutto giustificata in considerazione dello stato di emergenza costituzionale cui tenta di far fronte. Il presidente della Repubblica – garante degli equilibri politico-costituzionali e del sistema dei poteri – non può rimanere silente dinanzi a ipotesi che appaiono “viziate da palese irragionevolezza”; tanto meno può tacere nel caso in cui esse incidono sullo “status complessivo del Presidente della Repubblica riducendone l’indipendenza nell’esercizio delle funzioni”. Devono dunque essere prese molto sul serio le parole del capo dello Stato che hanno lo scopo di salvaguardare la superiore legalità costituzionale e non possono invece essere ridotte a questioni di mera politica-politicante. Anzi, a ben vedere, il primo significato da attribuire all’intervento presidenziale è proprio quello che non tutto può essere sacrificato sull’altare della politica. Così, il compromesso raggiunto tra le forze di maggioranza (e una parte dell’opposizione) per trovare una via d’uscita alle vicende personali del signor Berlusconi incontra un limite invalicabile: il rispetto dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Sono questi ultimi – quei principi che neppure una legge costituzionale può violare – a essere messi in gioco e su cui richiama la nostra attenzione la lettera del Presidente.
Sarà pur vero – come ha precisato il Quirinale – che le “conseguenze politiche” annunciate dopo la lettera sono “del tutto estranee” agli “intendimenti del capo dello Stato”, rimane fermo però che il significato costituzionale della lettera presidenziale non può essere disatteso dal mondo politico e dall’attuale maggioranza. Il richiamo è stato formulato sia su un piano generale (in relazione alla “scelta d’innovare la normativa vigente prevedendo che la sospensione dei processi penali riguardi anche il Presidente della Repubblica”) sia su un punto specifico (nella parte in cui consente alla maggioranza semplice di far valere la responsabilità penale del Presidente). Alcuni esponenti della maggioranza ritengono sufficiente eliminare il profilo specifico sollevato per risolvere la questione: basterebbe cancellare il voto del Parlamento e rendere automatica (salvo rinuncia dell’interessato) la sospensione dei processi. Un esito che non affronterebbe affatto la questione di fondo denunciata dal presidente della Repubblica. La richiesta è quella di non trascinare il capo dello Stato in una vicenda che non ha nulla a che fare con il ruolo e le funzioni di garanzia. Ciò che si auspica è di lasciare solo il presidente del Consiglio al suo destino e alle sue contorsioni processuali, senza coinvolgere le altre istituzioni repubblicane.
C’è poi un ulteriore problema. Che non poteva essere sollevato da Napolitano, ma che mi sembra l’altra faccia del ragionamento presidenziale. E riguarda la possibilità che la sospensione operi esclusivamente per Berlusconi. Per dare una risposta motivata e non ideologica è opportuno guardare alla finalità della norma, la quale è stata espressa con nettezza pochi giorni addietro con l’approvazione – da parte della Commissione affari costituzionali del Senato – della previsione di retroattività della sospensione dei processi nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri, oltre che del presidente della Repubblica. Francamente sono apparse un po’ ipocrite le lamentele e le sorprese manifestate da parte di “anime belle”. È, infatti, a tutti noto che la ragione principale (per non dire unica) che induce la maggioranza a modificare il testo della Costituzione è proprio quella di impedire lo svolgimento dei processi a carico di Berlusconi per delitti commessi, secondo l’ipotesi accusatoria, prima dell’assunzione della carica di presidente del Consiglio. In certo senso è quasi un bene che si sia resa esplicita la finalità perseguita dal legislatore costituzionale: emerge così, senza possibilità di dubbio, il carattere aberrante della proposta.
Ora, poi, abbandonato anche dal capo dello Stato, si fa palese la finalità della modifica costituzionale proposta. Non uno scudo per le alte cariche dello Stato a garanzia del sereno svolgimento delle funzioni cui esse sono preposte, ma una misura di natura personale che riguarda le specifiche vicende processuali di un singolo esponente politico: l’attuale presidente del Consiglio.
Ed è proprio la vicenda personale del presidente del Consiglio che si mostra sempre più incompatibile con la Costituzione. L’idea di poter modificare il testo della nostra legge “suprema” per impedire che giungano a conclusione dei processi intentati contro Silvio Berlusconi non può trovare cittadinanza in nessun sistema costituzionale degno di tale nome. E che di questo si tratti è orami esplicito, caduti tutti i veli che coprivano la vergogna. Basta pensare alla “sinfonia degli addii” che ha caratterizzato la lunga catena dei “lodi” salva-premier: nella prima versione (“lodo Schifani”) erano quattro le alte cariche che circondavano il vero protagonista della storia, nella versione successiva (“lodo Alfano”) esce di scena il presidente della Corte costituzionale, infine nell’ultima versione “costituzionalizzata”, attualmente in discussione, scompaiono i due presidenti delle Camere. Ora il duetto rimasto si scompone: eclissatosi per sua volontà il capo dello Stato, rimane in solitudine il presidente del Consiglio.
Rimasto solo, in mezzo al palco della politica, sembra che il protagonista della nostra storia non sappia più come continuare a incantare il pubblico, appare incerto, frastornato, stonato. Eppure è chiaro che a questo punto vi è una sola vie d’uscita. Smettere di suonare.