L’ennesimo “revival” della Grande Riforma costituzionale in funzione palingenetica

Professore ordinario di Diritto costituzionale – Università degli Studi di Firenze

 

Nel clima che legge la Costituzione come un compromesso al ribasso ricompare il mito della Grande Riforma come soluzione dei gravi problemi del Paese. Non si ragiona di ordinaria revisione o manutenzione ma di completa riforma della forma di governo, della forma di Stato e del sistema delle garanzie.
Lo scritto analizza criticamente la procedura derogatoria rispetto all’art. 138 Cost. (AS n. 813), dalla costituzione del Comitato di saggi alla compressione dei lavori parlamentari, e conseguentemente del dibattito pubblico, al coinvolgimento del corpo elettorale in chiave plebiscitaria, rilevando la presenza di vari profili di «chiara incostituzionalità».

Seeing the Constitution emerging out as a watered-down compromise makes appear again the myth of the Great Reform as the solution to the big problems of the country. No words about an ordinary revision or about a maintance work, but the focus is on a complete revision of the form of government, the form of State and the guarantee system.
The paper critically analyzes the derogation procedure in art. 138 Const. (AS n. 813), from the creation of the Committee of Wise Men to the compression of parliamentary work, and consequently the public debate, to the involvement of the voters from a plebiscite perspective, detecting the presence of some clear uncostitutional profiles.

Basterebbe leggere quanto ha scritto di recente un notissimo opinionista (Piero Ostellino, Il Corriere della Sera, sabato 21 giugno 2013) per capire per quale ragione, dopo oltre un trentennio di dibattiti, di proposte (in un caso votate dal Parlamento, ma poi rigettate dal corpo elettorale in sede referendaria) torni di nuovo ad occupare la scena politica l’idea di procedere ad una Grande Riforma della Costituzione, dalla quale si fa dipendere la soluzione di gran parte dei (se non di tutti i) gravi problemi che affliggono il nostro Paese , peraltro nel quadro di una crisi che sta investendo da anni l’intera regione europea. Scrive dunque Ostellino: “Abbiamo buttato via oltre sessant’anni di storia repubblicana, la parvenza di democrazia disegnata dalla stessa rabberciata Costituzione, che è peggiore del vecchio Statuto albertino. Bene che vada, ci vorrà più di qualche generazione prima che l’Italia diventi un Paese di democrazia matura “ (il corsivo è mio). A queste affermazioni sarebbe necessario replicare con più di una considerazione, che qui non posso nemmeno impostare. Se le ho richiamate è perché mi sembrano emblematiche di un clima che si è venuto a creare nei decenni che ci stanno alle spalle (almeno da “tangentopoli” in poi) e al diffondersi del quale hanno contribuito in molti. Ostellino non è infatti né un nostalgico di passati regime autoritari, né un fautore dell’avvento di un regime men che democratico. Molto più semplicemente appartiene alla fascia di coloro che, da sempre o da qualche tempo, ritengono la nostra Costituzione repubblicana un compromesso al ribasso, nella quale si sono messi insieme spezzoni di ideologie diverse (quella laico liberale, quella marxista socialista e quella cattolica) dando vita ad un pasticcio che, alla fine,  tutte le tradisce e, per di più, consegna a regole di governo anch’esse confuse ed incerte, appiattite su un accordo politico necessitato dalla mancanza di reciproco riconoscimento tra le forze politiche di allora. Si tratta di un’interpretazione delle nostre vicende istituzionali che ha vecchia data, che è stato il cavallo di battaglia della destra in passato e più di recente del centro destra, ma che (purtroppo) pare oggi aver trovato consensi anche nel centro sinistra, o almeno di buona parte di esso. Scopo delle brevi osservazioni che seguono è mettere in luce i gravi rischi che questo “revival” della Grande Riforma comporta, a partire dalla procedura straordinaria che si sta mettendo in campo per realizzarla.

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