Le ragioni del diritto costituzionale

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Emergenza costituzionale”. È il nome della rubrica che appare accanto alle sezioni della rivista che da sei anni ci impegna a far valere l’essenza, il ruolo, gli ideali del costituzionalismo, i più alti della ragione giuridica. Ci procuriamo così uno strumento agile e rapido di commento e di denunzia oggi che l’emergenza che ci indusse ad inventarci la rivista è giunta al suo acme. Non era un eccesso di “pessimismo della ragione” che ci muoveva. Era l’esatta previsione del precipizio verso cui spingeva la furia revisionista.
Ci sembrò del tutto evidente l’obiettivo reale che si andava perseguendo. Quello di mascherare la incapacità o il rifiuto di formulare e perseguire le strategie volte a perseguire gli obiettivi di libertà, eguaglianza e giustizia del programma della Costituzione. Incapacità e rifiuto che scaturivano dalla scelta di assicurare la perpetuazione dell’esistente così come era, nelle sua indiscutibile struttura dominante. Le domande della democrazia andavano perciò amputate, represse. A precluderlo si ergeva però la configurazione delle istituzioni repubblicane costituzionalmente disegnate. Per abbattere questo ostacolo si ricorse a quanto di più primitivo potesse annidarsi negli umori dell’opinione pubblica, al totem della governabilità. Che voleva dire primato del governo, del suo maggiore esponente. Si tornò a chiamarlo “capo”, la dizione voluta da Mussolini. Il clima era già stato infestato dal riformismo craxiano e “piduista”. L’inquinamento è stato coerentemente proseguito. Ha colpito innanzitutto la rappresentanza politica. La ha capovolta. Al suo posto ha collocato il suo opposto. In nome e per conto del bipolarismo coatto, da rendere poi bipartitismo altrettanto coatto, si è provveduto a penetrare nella composizione umana del Parlamento. La legge elettorale per le due Camere ne ha tramutato i componenti. Da rappresentanti degli elettori che erano (e dovrebbero essere) perché da essi eletti, li ha convertiti in “figuranti” (la denominazione è dell’onorevole Berlusconi) perché assunti dal capo-partito che li ha piazzati in lista nel posto giusto per entrare in Parlamento. Figuranti nel ruolo di legislatori con l’obbligo di recitare rigorosamente, se di maggioranza, il copione che detta per loro il capo del governo, se di minoranza, di fingere la parte dell’opposizione, peraltro inutile, se si dovesse confermare l’esclusione che le crisi di governo si risolvano in Parlamento.
Tanto potere, quanto esattamente corrispondente a quello del Governo e del Parlamento insieme, ad un cittadino solo, il Presidente del consiglio, avrebbe dovuto soddisfare le ansie, i disegni, le idiozie dei corifei della governabilità e dell’alternanza degli equivalenti, che molti politologi italiani hanno ossessivamente predicato in questi anni. Non ha però soddisfatto l’onorevole Berlusconi. Non lo soddisfa pur se è integrato dal potere di cui dispone nella cosiddetta società civile (tre testate giornalistiche di famiglia, tre emittenti televisive più due del servizio pubblico, l’immenso patrimonio economico). Non lo soddisfa. Attacca gli organi di controllo, di garanzia, i contropoteri. Li vuole neutralizzare, isterilire, eliminare. La dinamica del potere è inesorabile nell’incrementarsi e nel concentrarsi. Va respinta, combattuta, incessantemente. È questa la ragione storica, etica e politica del costituzionalismo.
Per queste ragioni chiama qui ed ora i costituzionalisti a pronunziarsi sull’emergenza costituzionale in Italia. Li chiama a difendere la Costituzione. Perché fu voluta secondo il principio di legittimità popolare il 2 giugno 1946. Perché, primo caso nella storia istituzionale d’Occidente, ha ottenuto una seconda legittimazione popolare, il 25-26 giugno di tre anni fa.
Sia chiaro. Nessun costituzionalista ha mai sostenuto che la Carta costituzionale italiana si sottragga alla possibilità di una sua revisione. Contraddirebbe la Costituzione stessa all’articolo 138. Altro hanno sostenuto i costituzionalisti italiani degni di questo nome. Si sono opposti allo stravolgimento della nostra Costituzione. E il popolo italiano tre anni fa li ha confortato con un voto libero e univoco. Sia chiaro. Lo stravolgimento può essere camuffato in mille e mille modi e Berlusconi è un campione dell’arte malefica della manipolazione delle coscienze, della mistificazione di ogni verità, di ogni evidenza. Perciò è necessaria una vigilanza rigorosa, sospettosa, occhiuta, dura, inflessibile.
Anche a fronte delle cosiddette “riforme condivise”. Sia perché “condivise” non significa condivisibili, sia perché non si potrà mai condividere l’assolutismo del premier o di chicchessia, non si può condividere la monocrazia. Non si può condividere l’espunzione della rappresentanza politica dall’ordinamento costituzionale. Non si può condividere la sottrazione alla legge comune di un cittadino investito di un pubblico ufficio per fatti precedenti l’assunzione di tale ufficio. Non si può accettare che il conflitto di interessi nella sua manifestazione più estesa, eclatante, incisiva sulla formazione dell’opinione pubblica si confermi e si consolidi. Non si può condividere la riduzione della magistratura giudicante o inquirente a strumento diretto o indiretto del potere esecutivo o di altro potere. Non si può condividere l’ipocrita declamazione del rispetto dei diritti sanciti nella Prima parte della Costituzione e la deviazione, sottrazione, neutralizzazione degli apparati necessari ad attuarli. Mai truffa istituzionale fu più abominevole.
È per combattere la negazione del costituzionalismo, per difendere la civiltà giuridica e politica conseguita dall’Italia con la Costituzione repubblicana, per la democrazia politica e sociale, che con questa rubrica entriamo nel dibattito politico, con le armi della ragione non manipolata dal potere mediatico.