Leggendo le “Previsioni economiche d’autunno della Commissione 2005-2007” e fermando l’attenzione sulle prime nove pagine, che costituiscono l’Overview del documento, ci si accorge che una parola ricorre più volte nel testo, ossessivamente. Si tratta del termine inglese «confidence», fiducia.
«Unlike business confidence, the indicators for consumer confidence have continued to provide little encouragement for a near-term acceleration in consumer spending. While the Commission’s consumer confidence indicator has edged up recently, this follows a decline since the beginning of the year. The index remains below its long-term average, as well as below the levels recorded at a similar stage in previous upswings. The retail confidence index also witnessed an increase in recent months, but its longer-term trend has been flat since the end of 2003» (p. 5).
Oppure: «In general, although the trends are similar, the Commission’s overall economic confidence indicator for the EU has exceeded that for the euro area since the third quarter of 2003. This is mainly due to the consistently higher level of consumer confidence in the EU, while the levels of the industrial and services confidence indicators have been almost indistinguishable from their euro-area counterparts in recent months» (p. 5).
E ancora: «The projected pick-up in private consumption over the forecast horizon is more gradual in view of the subdued level of consumer confidence» (p. 5). «The resilience of many of the world’s economies in the face of soaring oil prices has also served to boots investor confidence in the prolongation of the current phase of strong demand. The return of confidence in the business sector should permeate through to consumers as employment grows further and unemployment declines. Indeed, the fact consumer confidence has not lost further ground following the surge in oil prices over the summer could imply that this process has already started» (p. 5).
«Business confidence», «consumer confidence», «services confidence indicators», «return of confidence in the business sector», sono tutte espressioni in cui la parola “fiducia” non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha un valore morale di preferibilità (il ritorno della fiducia delle imprese e dei consumatori non è dovuto a una scelta diversa rispetto a quella del “mercato” – anche perché i soggetti di questa relazione sociale di fiducia derivano la loro qualifica dal “mercato”), ma coincide – soprattutto in un documento di questo genere e con queste finalità – con la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento dell’incertezza sociale.
Qui, la “fiducia” è, per dirla con Luhmann, un riduttore della complessità sociale (N. LUHMANN, Vertrauen. Ein Mechanismus der Reduktion sozialer Komplexität (2000), tr. it. di L. Burgazzoli, La fiducia, Bologna, il Mulino, 2002).
In questo senso, la “fiducia” altro non è che il tentativo di fornire un orientamento (un’anticipazione che orienta l’agire e l’esperire), per cercare di dipanare una rete che lo stesso sistema economico-istituzionale comunitario ha prodotto e continua a produrre e nella quale è oggi costretto, con una certa difficoltà, a districarsi, in un momento di pericolosa impasse politica e sociale. “Fiducia”, in questo caso, è un sostegno che si regge su se stesso, è una costruzione fragilissima (al di là dei dati tecnici posti a supporto della crescita economica preconizzata). Ma dietro di essa si scorge il vuoto, un vuoto che la società pare non più tollerare.
In questa fase di reiezione sociale dell’architettura istituzionale europea (rifiuto appuntatosi in particolare sulla Parte III del Progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, e di cui sono espressioni forti i “no” francese e olandese), torna, dunque, la fiducia del mercato, dell’economia, del business.
Forse le due cose non sono così slegate come sembrerebbe ad un primo, rapido, sguardo.
Nel documento della Commissione si legge che l’attività economica dell’Unione europea è destinata a crescere dell’1,5% nel 2005, per ritornare nel 2006 al suo livello potenziale del 2,1%, e accelerare ulteriormente nel 2007 al 2,4%. Le previsioni 2005-2007, per l’area dell’euro, sono, percentualmente, dell’1,3%, dell’1,9% e del 2,1%.
Il principale impulso proviene dalla domanda interna, in particolare dagli investimenti privati, stimolati da una marcata ripresa della fiducia dell’economia a partire dalla metà del 2005.
Si dovrebbero così creare nell’UE, in un triennio, sei milioni di nuovi posti di lavoro, che contribuiranno a ridurre la disoccupazione all’8,7% nel 2005 e all’8,1% nel 2007, dopo il picco del 9,0% registrato a fine 2004. L’inflazione aumenterà leggermente quest’anno, nell’UE, salendo al 2,3%, a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio, per poi scendere all’1,9% nel 2007.
Il commissario, responsabile degli Affari economici e monetari, Joaquìn Almunia ha così dichiarato: «Dopo un primo semestre deludente, l’area dell’euro e l’UE si trovano in una posizione tale da poter beneficiare delle prospettive mondiali che rimangono positive. Si prevede che il ritorno della fiducia dell’economia e la continua diminuzione della disoccupazione incoraggino i consumi e stimolino gli investimenti, che beneficiano delle condizioni finanziarie favorevoli e dei buoni profitti delle imprese. Il dato della crescita, pari allo 0,6%, conferma ulteriormente questa tendenza».
Questa evoluzione, in particolare, è legata a tre fattori.
Innanzitutto alle prospettive positive dell’economia mondiale: la crescita mondiale è prevista al 4,3%, quest’anno e nel prossimo anno, e dovrebbe diminuire leggermente nel 2007. Nel 2004 la crescita è stata del 5%. Anche se in calo, poi, la crescita in Asia rimarrà, comunque, elevata, attorno al 7-7,2% nel periodo di riferimento. Questo dato non comprende il Giappone (che invece si attesta al 2,5% quest’anno e 2,2% nel 2006). Lo stesso si può dire per il commercio mondiale, nuovamente in fase di accelerazione, dopo un debole avvio, e per il quale si prevede una crescita di circa il 7% nel periodo di riferimento.
Gli altri due fattori riguardano direttamente l’Unione europea, e sono l’aumento degli investimenti e la disoccupazione in costante calo.
Cosa si intende per aumento degli investimenti? La Commissione è chiara: la ripresa degli investimenti è dovuta, in particolare, alla ritrovata fiducia delle imprese e al continuo miglioramento dei bilanci delle aziende (nonché alla crescente necessità di investimenti di sostituzione). I principali fattori di fiducia delle imprese sono: «un insieme di politiche macroeconomiche favorevoli, condizioni finanziarie propizie, margini di profitto più ampi, un tasso di cambio nominale effettivo più debole e un contesto internazionale ancora robusto».
Non si comprenderebbe, tuttavia, appieno l’operatività e la produttività di questi fattori senza considerare l’altro elemento portante della crescita economica e della fiducia ritrovata del mercato, ossia l’ «improvement in labour market conditions», il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro. Un “miglioramento” che la Commissione intende in un duplice significato: come possibile generico aumento dell’occupazione e come strumento di rafforzamento della fiducia dei consumatori, che consentirebbe la graduale ripresa dei consumi privati.
Il nesso tra il ritorno della fiducia da parte degli investitori privati e il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro resta, nel documento della Commissione, opaco, nella migliore delle ipotesi non sufficientemente esplicitato, chiarito.
Il senso comune ci dice che la creazione giuridico – istituzionale (attraverso una normazione comunitaria dettagliata) di un contesto favorevole agli investimenti privati, tale che le imprese possano realizzare ampi margini di profitto e contare su strumenti finanziari in grado di garantire una rapida circolazione di capitali, non potrà non prevedere un certo sviluppo del correlato mercato del lavoro. E, dunque, non potrà non connotare, secondo precise e specifiche modalità, quel “miglioramento” delle condizioni del labour market che la Commissione ritiene sufficientemente scontato, e, addirittura, già in atto.
Anche perché ciò che risulta invece cristallino nel ragionamento della Commissione è l’immediato collegamento tra il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro e la ripresa dei consumi privati, come se la crescita economica saltasse (proprio come nesso logico), meglio, fosse totalmente indipendente dalle condizioni e (paradossalmente) dalla stessa figura del lavoratore.
La prosperità dell’economia, anzi, dipende proprio dalla cancellazione sistematica (a livello di sistema) dell’influenza di tale figura sul processo di “gradimento” delle politiche economiche e del lavoro. Prendiamo, ad esempio, la rete di rapporti sociali che, una certa impostazione, ritiene indispensabili per la creazione e il mantenimento della c.d. constituency economica: «Sono i singoli in quanto soggetti economici che in ultima analisi giudicano il governo dell’economia: come risparmiatori, esprimono il tasso al quale sono disposti a far credito alla Stato acquisendone i titoli; come consumatori, decidono se avvalersi del servizio pubblico o di quello privato in materie quali i trasporti o i servizi sanitari; come imprenditori, decidono se investire, assumere personale, esportare, importare. Persone e imprese contribuiscono a fissare il valore esterno della moneta secondo la fiducia e le aspettative loro circa l’andamento complessivo dell’economia» (T. PADOA-SCHIOPPA, Il governo dell’economia, Bologna, il Mulino, 1997, p. 26).
Il concetto stesso di “persona” si riassume nelle voce consumatore-risparmiatore-imprenditore. Dov’è il lavoratore? Non è forse un soggetto del processo produttivo? O la presunta immaterialità del lavoro lo ha fatto evaporare?
Il discorso è assai complesso e non può essere affrontato in questa sede.
Qualche osservazione è, però, indispensabile. La frantumazione del lavoratore nel binomio risparmiatore-consumatore risulta funzionale alla decostruzione del lavoro come «potere collettivo». Per usare le parole di Kahn-Freund, nella relazione tra lavoro e capitale, «dal lato del lavoro, tutto il potere è potere collettivo» (O. KAHN-FREUND, Labour and the Law, (P. DAVIES-M.FREEDLAND eds.), London, 1983, cit. in G. ORLANDINI, Sciopero e servizi pubblici essenziali nel processo d’integrazione europea. Uno studio di diritto comparato e comunitario, Torino, Giappichelli, 2003, p. 3).
Il punto è tutto qui: le prospettive economiche di crescita dell’Unione possono basarsi, in blocco, sulla «confidence» dei consumatori e delle imprese? L’Unione può limitare il proprio ruolo, in questa crescita, a mero supporto tecnico-giuridico degli investimenti privati? Quali sono le conseguenze di questa politica sul piano sociale?
«La scelta di fondo da compiere è tra un diritto del lavoro che riconosca ancora una funzione “autonoma” ai diritti collettivi, ed uno che li riduca a variabili dipendenti degli obiettivi di politica economica e dei vincoli di competitività del mercato» (G. ORLANDINI, op. cit., p. 8).