Le conseguenze del trasferimento del quesito referendario sul nucleare. Il caso del voto già espresso degli italiani residenti all’estero (di Gaetano Azzariti)

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Il 12 e 13 giugno gli italiani potranno recarsi alle urne per votare – oltre che sull’acqua e sul legittimo impedimento anche – sul nucleare. Così ha stabilito l’Ufficio centrale della Cassazione, adottando una decisione la cui soluzione era attesa, e che questa Rivista aveva indicato subito dopo l’approvazione dell’emendamento “truffa” da parte del Senato (vedi, nella rubrica “Emergenza costituzionale”, G. Azzariti, Una soluzione per il referendum sul nucleare, inserito il 30.4. 2011). Per salvare il diritto ad esprimersi sulla questione nucleare la Corte “Suprema” ha però dovuto operare il “trasferimento del quesito” su una parte della normativa appena approvata dal Parlamento; quella parte della nuova disciplina all’origine dell’inganno anti-referendario e perciò ritenuta non sufficiente per impedire la pronuncia del corpo elettorale. In tal modo si è rigorosamente applicato quanto, in tempi non sospetti (nell’ormai lontano 1978), venne a stabilire la Corte costituzionale. Dunque del tutto infondata è la solita accusa rivolta ai giudici di avere operato “una scelta politica, tentando l’ultima spallata al premier”.
La via anzi è apparsa obbligata, non potendosi certamente conservare il quesito originario che aveva ad oggetto leggi non più esistenti (abrogate proprio dal Parlamento per tentare di aggirare il referendum), dovendosi però conservare il “principio ispiratore” che aveva indotto i cittadini a richiedere l’abrogazione della normativa filo-nucleare, ribadita anche nella nuova legge.
Anzi, in qualche modo può dirsi che la questione sottoposta agli elettori è ora addirittura più chiaramente definita. Non verte tanto su una specifica normativa (che può sempre essere cambiata, conservando però lo stesso spirito, come dimostra l’attuale vicenda), ma sul “principio” della scelta nucleare. Ciò renderà politicamente più difficile – dopo il referendum, se questo avrà successo – al Governo e a qualsiasi futura maggioranza di tornare a proporre una pur diversa strategia filo-nucleare. In fondo una garanzia ulteriore affinché il responso popolare venga poi rispettato.
Vero è però che la nuova situazione in cui ci si viene a trovare genera alcuni delicati problemi pratici e di natura interpretativa. Oltre alla necessità di predisporre entro il breve tempo che ci separa dal 12 giugno le nuove schede sui quesiti modificati per assicurare il diritto di voto a tutti gli italiani aventi diritto, anche – e soprattutto – di garantire il diritto di voto già espresso dagli italiani residenti all’estero. I quali si sono già pronunciati, ma sul “vecchio” quesito, non invece su quello introdotto tramite il “trasferimento” operato dalla Cassazione. Non starò qui a dire che ciò avrebbe dovuto impedire l’approvazione della nuova legge oggi oggetto del referendum, in quanto, se è vero che il Parlamento è libero di modificare la legge anche successivamente all’indizione del referendum abrogativo (lo ha affermato proprio la citata sentenza della Corte costituzionale del 1978), è da dubitare però che tale potere possa estendersi anche dopo l’inizio delle operazioni che riguardano l’elettorato residente all’estero. Sarebbe stata questa un’altra ragione di invalidità della legge “truffa”, che avrebbe potuto ostacolare la promulgazione. Ma tant’è.
Si tratta ora di individuare la migliore soluzione giuridica che possa garantire il rispetto dei valori costituzionali coinvolti. Anche per evitare il rischio che al danno si aggiunga la beffa. Poiché non ritengo possibile riaprire la procedura elettorale solo per gli italiani che hanno già espresso il voto fuori dai confini nazionali (non ci sono i tempi e neppure le condizioni), poiché inoltre sarebbe lesivo del diritto fondamentale al voto dei nostri concittadini residenti all’estero invalidare le loro schede, ritengo che la soluzione sia quella di considerare validi i voti espressi in base al “principio ispiratore” comune che giustifica il referendum stesso. Se è vero infatti, come ha affermato l’Ufficio centrale, che ciò che dà senso al quesito referendario non è la sua formulazione letterale (che è stata infatti modificata), bensì il rispetto del “principio” che sostanzia la domanda posta al corpo elettorale, non vi è dubbio che chi ha votato o voterà “sì” vuole escludere l’opzione nucleare in Italia. È questo il “principio ispiratore” comune che va salvaguardato e che accomuna il voto dei residenti e di chi non lo è.
Un’ultima annotazione. È evidente che la soluzione proposta guarda alla sostanza e al rispetto dei valori costituzionali in gioco e cerca una risposta in una situazione di difficile o impossibile soluzione in base a canoni giuridici esclusivamente formali. A tal proposito però credo non sia irrilevante notare che dinanzi ad una forzatura costituzionale accertata – sia dall’Ufficio centrale, ma anche dalla Corte costituzionale che martedì dovrà esaminare l’operato della Cassazione – diventi necessario far valere il rispetto dei superiori principi costituzionali per ribadire il valore delle regole e delle forme giuridiche ordinarie.