Abstract
Ita
Il potere di veto del monarca sulla legislazione viene configurato da Montesquieu come una «facoltà di impedire», contrapposta alla «facoltà di statuire» di cui sarebbe invece dotato solo l’autentico titolare del potere legislativo. Per questa ragione Montesquieu, a differenza di Locke, isola il vertice dell’esecutivo dal corpo legislativo, che nella sua visione si compone soltanto della camera del popolo e della camera dei nobili. Tuttavia, il postulato in base al quale il potere di veto non si potrebbe mai tradurre in una facoltà di statuire è contraddetto sia dalle potenzialità intrinseche di ogni facoltà c.d. “negativa” sia dalla prassi dello strumento nella storia costituzionale inglese sia, infine, dalle esperienze costituzionali che hanno tradotto in norma giuridica lo schema teorico montesquieuviano della faculté d’empêcher, come la costituzione degli Stati Uniti e la costituzione francese del 1791. Lo schema montesquieuviano dell’esclusione dell’organo esecutivo dal corpo legislativo, nonostante questa contraddizione, è stato recepito, rimaneggiato e ulteriormente sviluppato dal costituzionalismo democratico che, sulla base del principio della sovranità popolare, lo ha tradotto nella subordinazione dell’esecutivo, ormai privo di autonoma legittimazione, al legislativo, titolato in virtù della sua natura rappresentativa a esprimere la volontà generale. Tale subordinazione è stata dapprima sublimata e successivamente contraddetta dagli sviluppi del regime parlamentare e dalla progressiva emersione della funzione di governo. Eppure molte costituzioni scritte contemporanee continuano ad accogliere una visione riduttiva e fuorviante del corpo legislativo, producendo una contraddizione insanabile rispetto al reale funzionamento dei sistemi di governo e alimentando, paradossalmente, la tendenza dell’esecutivo a usurpare proprio quelle prerogative che dovrebbero essere costituzionalmente riservate al forum parlamentare.
En
The executive’s veto power over legislation is configured by Montesquieu as a ‘faculty to prevent’, as opposed to the ‘faculty of ruling’ which only the true holder of legislative power should have. For this reason Montesquieu, unlike Locke, separates the head of the executive from the legislative body, which in his view consists only of the people’s chamber and the chamber of nobles. However, the postulate according to which the power of veto could never be translated into a power to rule is contradicted both by the potential implications of the so-called ‘negative power’ and by the constitutional practices in comparative perspective (considering the English constitution, the United States constitution and the French constitution of 1791). Despite this contradiction, the Montesquieu’s theory (about the exclusion of the head of the executive from the legislative body) was subsequently implemented, reframed and further developed by the democratic constitutional thought. The principle of popular sovereignty, indeed, translated that theory into the subordination of the executive (devoid of autonomous legitimacy) to the legislative (entitled by virtue of its representative power to express the general will). This subordination was first sublimated and subsequently contradicted by the developments of the parliamentary form of government and by the ‘nearly complete fusion’ of executive and legislative powers. Yet many contemporary written constitutions continue to outline a reductive and misleading vision of the legislative body. So they produce an irremediable contradiction with respect to the real functioning of systems of government. This contradiction, paradoxically, increases the tendency of the executive body to violate precisely those prerogatives that should be constitutionally reserved to the parliamentary forum.