SENTENZA N.45
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Valerio ONIDA Presidente
– Carlo MEZZANOTTE Giudice
– Fernanda CONTRI “
– Guido NEPPI MODONA “
– Piero Alberto CAPOTOSTI “
– Annibale MARINI “
– Franco BILE “
– Giovanni Maria FLICK “
– Francesco AMIRANTE “
– Ugo DE SIERVO “
– Romano VACCARELLA “
– Paolo MADDALENA “
– Alfio FINOCCHIARO “
– Alfonso QUARANTA “
– Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), giudizio iscritto al n. 141 del registro referendum.
Vista l’ordinanza del 10 dicembre 2004 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 10 gennaio 2005 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Nicolò Zanon per i presentatori Bernardini Rita, Montevecchi Luigi, Sponza Christina e Caforio Alessandro, Giovanni Giacobbe per il “Movimento per la vita italiano”, Giovanni Pitruzzella per il “Comitato per la difesa dell’art. 75 della Costituzione”, Isabella Loiodice e Giuseppe Abbamonte per il “Comitato per la tutela della salute della donna”, Federico Sorrentino per il “Comitato per la difesa della Costituzione”, Tommaso di Gioia e Raffaele Izzo per la “Consulta nazionale antiusura – ONLUS”, Aldo Loiodice per il “Forum delle associazioni familiari”, Luigi Manzi e Andrea Manzi per “Umanesimo integrale – Comitato per la difesa dei diritti fondamentali della persona” e l’avvocato dello Stato Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni, con ordinanza pronunciata il 10 dicembre 2003 ha dichiarato conforme alle disposizioni di legge la richiesta di referendum popolare (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2004, serie generale, n. 72), promossa da venti cittadini italiani, sul seguente quesito: «Volete voi che sia abrogata la legge19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”?».
Il quesito è stato ammesso senza alcuna modificazione ed il referendum è stato denominato «Legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” – Abrogazione».
2. – Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale, il Presidente della Corte costituzionale ha fissato la data del 10 gennaio 2005 per la deliberazione in camera di consiglio sull’ammissibilità del referendum, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta e al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3. – In data 31 dicembre 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha presentato memoria in cui – premessa la ricostruzione delle esigenze (espresse anche a livello sopranazionale ed internazionale) che hanno condotto il legislatore italiano a disciplinare la procreazione medicalmente assistita ed analizzato il contenuto della legge n. 40 del 2004 – deduce l’inammissibilità della richiesta referendaria in quanto: a) diretta all’abrogazione di una legge costituzionalmente vincolata, con la conseguente eliminazione della tutela minima dei diritti del concepito, intesa come limite alla tutela di tutti gli altri interessi privati e pubblici compresenti (si richiamano in particolare le affermazioni delle sentenze n. 27 del 1975 e n. 35 del 1997 in tema di bilanciamento dei diritti dei soggetti coinvolti nella interruzione volontaria della gravidanza), e con la immediata liberalizzazione di qualunque sperimentazione sugli embrioni umani; b) concernente norme che costituiscono osservanza di precetti derivanti da norme internazionali o europee, o quantomeno in stretto collegamento con esse (vengono citati in particolare la Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina del 4 aprile 1997 ed il suo Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione degli esseri umani, ratificati e resi esecutivi con la legge 28 marzo 2001, n. 145, nonché la direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998); c) riguardante un complesso non omogeneo di norme (che vanno dal diritto di famiglia allo stato civile dei nascituri, alla organizzazione sanitaria, alla sperimentazione, alla ricerca scientifica, alla fecondazione assistita vera e propria), sicché la disomogeneità del quesito comporterebbe la coartazione della libertà decisionale dell’elettore.
4. – In data 5 gennaio 2005, i presentatori del referendum hanno depositato ampia memoria illustrativa, nella quale si conclude per l’ammissibilità della richiesta referendaria.
Premessa, in termini generali, la corrispondenza al modello costituzionale del proposto referendum sull’intera legge n. 40 del 2004, soprattutto in considerazione della naturale funzione oppositiva che lo strumento referendario manifesta allorquando – come nella specie – esso cada contro una legge appena varata e la cui approvazione è stata particolarmente contestata sia in Parlamento che in vari settori sociali; premesso inoltre che, sempre dal richiamato modello costituzionale, dovrebbe desumersi che il criterio generale è quello dell’ammissibilità della richiesta referendaria e che quindi i limiti dettati dall’art. 75 Cost. devono essere ritenuti di stretta interpretazione, i promotori affermano, innanzitutto, che la legge de qua (oltre a non essere legge tributaria o di bilancio, ovvero di amnistia e di indulto) non sarebbe di attuazione, né sarebbe collegata all’ambito di operatività di un trattato internazionale e quindi la sua eventuale abrogazione non esporrebbe lo Stato ad una responsabilità di tipo internazionale.
In particolare, i presentatori escludono che la legge in oggetto costituisca attuazione delle norme (che comunque sarebbero già self-executing in ragione dell’ordine di esecuzione contenuto nella legge di ratifica n. 145 del 2001) della Convenzione di Oviedo e del Protocollo aggiuntivo; anzi, l’art. 3 della legge di ratifica n. 145 del 2001 autorizzava il Governo italiano ad emanare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi recanti ulteriori disposizioni per l’adattamento ai principî ed alle norme della Convenzione e del Protocollo. Comunque, essendo stata lasciata ai legislatori delle Parti contraenti ampia scelta discrezionale in ordine ad eventuali altri limiti più rigorosi o a forme di tutela più estese di quelle minimali previste dalla Convenzione (art. 27 della Convenzione), la richiesta di abrogazione referendaria non riguarderebbe norme la cui emanazione è imposta da impegni internazionali. Anzi, secondo i promotori, la legge n. 40 del 2004 si porrebbe in contrasto (nella parte in cui impedisce ogni ricerca scientifica sull’embrione umano, anche se a fini terapeutici) con le linee dettate dall’Unione europea in materia di ricerca scientifica e segnatamente con la direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998, in materia di protezione giuridica delle innovazioni biotecnologiche; nonché – nella parte in cui limita, anche con sanzioni penali, l’attività medica – con il principio comunitario di libera prestazione dei servizi.
Quanto all’omogeneità del quesito, i promotori (al di là della considerazione secondo la quale il modello referendario costituzionale porterebbe a ritenere che la richiesta di un referendum abrogativo che coinvolge un’intera legge è per definizione omogenea) affermano la omogeneità del quesito referendario, in quanto i vari elementi di cui si compone l’oggetto della legge n. 40 del 2004 sarebbero naturalmente legati e attraversati da una matrice razionalmente unitaria, resa evidente non solo dal titolo della legge ma dal suo contenuto normativo, diretto (come in altri Paesi europei) ad una complessiva disciplina delle forme e delle procedure di procreazione medicalmente assistita. Pertanto – poiché la legge n. 40 del 2004 avrebbe una sua organicità, compattezza, coerenza ed obbedirebbe ad una ratio [condivisibile o meno, ma tuttavia] ben riconoscibile che la percorre in tutti gli articoli che la compongono – risulterebbe «chiara, evidente, limpidamente dilemmatica e binaria anche la scelta cui sono chiamati gli elettori».
Sotto diverso profilo – escluso che la legge de qua dia attuazione all’interesse (o diritto) costituzionale alla procreazione – i promotori negano altresì che essa possa essere considerata come contenente misure di tutela minime, costituzionalmente dovute, a favore dell’embrione in vitro, poiché la Costituzione non si pronuncia sul problema, eticamente e scientificamente controverso, dell’inizio della vita. Rilevata, infatti, la non comparabilità dell’embrione in vitro rispetto a quello vivo impiantato nell’utero materno e contestata la concezione fatta propria dal legislatore italiano che utilizza la parola “embrione” per qualificare tutti gli stadi della fecondazione, i promotori asseriscono che – proprio trattandosi di una scelta discutibile – quel che davvero non potrebbe essere ritenuto accettabile è invece che questa particolare tesi venga rivestita di forza costituzionale, fino a considerarla e a irrigidirla come soluzione costituzionalmente necessaria e imposta, e perciò non abrogabile per via referendaria.
Quand’anche dalla Costituzione fosse desumibile la necessità della tutela anche dell’embrione in vitro, la legge in questione non la realizzerebbe in modo effettivo, poiché l’embrione verrebbe considerato isolatamente e protetto in modo generico ed astratto, a prescindere dai diritti e dalle aspettative degli altri soggetti coinvolti, in primo luogo della madre. Pertanto, tale “grave sbilanciamento di tutela” dei diritti dei diversi soggetti coinvolti confermerebbe, per i promotori, la mancanza di un contenuto costituzionalmente vincolato.
Infine, il contenuto costituzionalmente obbligatorio o vincolato della legge de qua viene escluso sia con riferimento alle norme che disciplinano lo status dei figli nati col ricorso alle tecniche della fecondazione assistita, sia in relazione alla regolamentazione ed al controllo delle strutture mediche pubbliche e private autorizzate a praticare i relativi interventi.
5. – Hanno depositato scritti i seguenti soggetti, tutti sollecitando la declaratoria di inammissibilità del quesito referendario: il “Movimento per la vita italiano”, il “Forum delle associazioni familiari”, il “Comitato per la difesa dell’art. 75 della Costituzione”, il “Comitato per la salute della donna”, il “Comitato per la difesa della Costituzione” la “Consulta nazionale antiusura – Onlus”, “Umanesimo integrale – Comitato per la difesa dei diritti fondamentali della persona”.
6. – In una seconda memoria depositata il 7 gennaio 2005, i presentatori della richiesta referendaria – rilevata la presenza di numerose richieste di intervento di “comitati” o “associazioni” tutte contrarie all’ammissibilità del quesito e pur prendendo atto dell’apertura alla partecipazione al contraddittorio in camera di consiglio avutasi con la sentenza n. 31 del 2000 – chiedono che la Corte verifichi preliminarmente l’ammissibilità delle richieste di intervento, ammettendo alla discussione di merito solo i soggetti dotati dei requisiti opportuni.
7. – Nella camera di consiglio del 10 gennaio 2005 sono intervenuti, in base all’ordinanza di questa Corte pronunciata nella medesima data, gli avvocati Nicolò Zanon per i presentatori Rita Bernardini, Luigi Montevecchi, Christina Sponza e Alessandro Caforio, e l’avvocato dello Stato Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
In base alla medesima ordinanza, sono stati altresì sentiti gli avvocati Giovanni Giacobbe per il “Movimento per la vita italiano”, Giovanni Pitruzzella per il “Comitato per la difesa dell’articolo 75 della Costituzione”, Isabella Loiodice e Giuseppe Abbamonte per il “Comitato per la tutela della salute della donna”, Ferderico Sorrentino per il “Comitato per la difesa della Costituzione”, Tommaso di Gioia e Raffaele Izzo per la “Consulta nazionale antiusura – Onlus”, Aldo Loiodice per il “Forum delle associazioni familiari”, Luigi Manzi e Andrea Manzi per “Umanesimo integrale – Comitato per la difesa dei diritti fondamentali della persona”.
Considerato in diritto
1. – La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata conforme alle disposizioni di legge dall’Ufficio centrale per il referendum con ordinanza del 10 dicembre 2004, ha ad oggetto l’intera legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita).
2. – Con l’ordinanza letta nella camera di consiglio del 10 gennaio 2005 questa Corte ha disposto, oltre che di dar corso – come già avvenuto più volte in passato – all’illustrazione orale delle memorie depositate dai soggetti presentatori del referendum e dal Governo, ai sensi del terzo comma dell’art. 33 della legge n. 352 del 1970, di ammettere gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dalla disposizione citata, e tuttavia interessati alla decisione sulla ammissibilità del referendum, come contributi contenenti argomentazioni ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte.
Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non si traduce però in un potere di questi soggetti di partecipare al procedimento – che comunque deve «tenersi, e concludersi, secondo una scansione temporale definita» (sentenza n. 35 del 2000) – con conseguente diritto ad illustrare le relative tesi in camera di consiglio, a differenza di ciò che vale per i soggetti espressamente indicati dall’art. 33 della legge n. 352 del 1970, vale a dire per i promotori del referendum e per il Governo; ciò salva la facoltà della Corte, ove lo ritenga opportuno – come è avvenuto in base all’ordinanza letta il 10 gennaio 2005 – di consentire brevi integrazioni orali degli scritti pervenuti in camera di consiglio, prima che i soggetti di cui all’art. 33 citato illustrino le rispettive posizioni.
3. – Quanto alla ammissibilità del quesito referendario, è anzitutto opportuno ribadire che nell’ambito del presente giudizio questa Corte è chiamata a giudicare della sola ammissibilità della richiesta referendaria e che tale competenza si atteggia per costante giurisprudenza «con caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, ed in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti con forza di legge» (cfr. sentenze n. 251 del 1975 e n. 16 del 1978). Non è quindi in discussione in questa sede la valutazione di eventuali profili di illegittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004, cosicché dalla presente decisione non è certo lecito trarre conseguenze circa la conformità o meno a Costituzione della menzionata normativa, né è questa, parimenti, la sede di un giudizio sulla illegittimità costituzionale dell’eventuale disciplina di risulta derivante dall’effetto abrogativo del referendum (cfr. sentenze n. 24 del 1981 e n. 26 del 1987).
Sotto quest’ultimo profilo, ciò che può rilevare, ai fini del giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria, è soltanto una valutazione liminare e inevitabilmente limitata del rapporto tra oggetto del quesito e norme costituzionali, al fine di verificare se, nei singoli casi di specie, il venir meno di una determinata disciplina non comporti ex se un pregiudizio totale all’applicazione di un precetto costituzionale, consistente in una diretta e immediata vulnerazione delle situazioni soggettive o dell’assetto organizzativo risultanti a livello costituzionale.
4. – La richiesta di sottoporre a referendum abrogativo l’intera legge n. 40 del 2004 è inammissibile.
5. – Nella sentenza n. 16 del 1978, successivamente sempre confermata da questa Corte, si è affermata l’esistenza di «valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell’art. 75 secondo comma della Costituzione».
Una delle categorie allora individuate consisteva nei «referendum aventi per oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)».
Tale categoria di leggi non si riferisce, come questa Corte ha chiarito fin dalla medesima sentenza, a «tutte le leggi ordinarie comunque costitutive od attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti o previsti dalla Costituzione», ma solo a quelle «che non possono venir modificate o rese inefficaci, senza che ne risultino lese le corrispondenti disposizioni costituzionali».
La naturale difficoltà a distinguere in concreto le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato da quelle semplicemente riferibili a norme e principi costituzionali ha anzitutto condotto questa Corte ad affermare che «occorre che la legge ordinaria da abrogare incorpori determinati principi o disposti costituzionali, riproducendone i contenuti o concretandoli nel solo modo costituzionalmente consentito (anche nel senso di apprestare quel minimo di tutela che determinate situazioni esigano secondo la Costituzione)» (sentenza n. 26 del 1981).
Peraltro, con la sentenza n. 27 del 1987 sono state enucleate “due distinte ipotesi” all’interno di questa categoria di norme legislative che non possono essere oggetto di richieste referendarie: «Innanzitutto le leggi ordinarie che contengono l’unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest’ultima (cfr. sentenze n. 16 del 1978 e n. 26 del 1981); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio od un organo costituzionale la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25 del 1981)».
Successivamente la sentenza n. 35 del 1997 ha riferito quest’ultima ipotesi anche a quelle «leggi ordinarie la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione». Da ultimo le sentenze n. 42 e n. 49 del 2000 hanno dichiarato l’inammissibilità anche in ipotesi nelle quali la legislazione oggetto della richiesta referendaria garantisce solo il “nucleo costituzionale irrinunciabile” di tutela di un principio costituzionale.
In particolare la sentenza n. 49 del 2000 ha affermato che le «leggi costituzionalmente necessarie», «in quanto dirette a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona, una volta venute ad esistenza possono essere dallo stesso legislatore modificate o sostituite con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, così da eliminare la tutela precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo precetto costituzionale della cui attuazione costituiscono strumento».
Dai casi appena presi in considerazione emerge che il vincolo costituzionale può anche riferirsi solo a parti della normativa oggetto del quesito referendario o anche al fatto che una disciplina legislativa comunque sussista.
6. – La legge n. 40 del 2004 è composta di diciotto articoli suddivisi in sette Capi (“Principî generali”; “Accesso alle tecniche”; “Disposizioni concernenti la tutela del nascituro”; “Regolamentazione delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”; “Divieti e sanzioni”; “Misure di tutela dell’embrione”; “Disposizioni finali e transitorie”). Essi, nel loro complesso, disciplinano analiticamente una molteplicità di differenziati profili connessi o collegati alla procreazione medicalmente assistita, materia in precedenza non disciplinata in via legislativa.
Si tratta della prima legislazione organica relativa ad un delicato settore, che negli anni più recenti ha conosciuto uno sviluppo correlato a quello della ricerca e delle tecniche mediche, e che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa. Esigenza questa già sottolineata da questa Corte nella sentenza n. 347 del 1998.
Analoghe finalità di bilanciamento e di tutela sono affermate a livello internazionale, in particolare con alcune disposizioni della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 (Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina. Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina) e del relativo Protocollo addizionale stipulato a Parigi il 12 gennaio 1998 (Sul divieto di clonazione di esseri umani), testi sottoscritti anche dalla Comunità europea e di cui il legislatore nazionale ha autorizzato la ratifica e determinato l’esecuzione tramite la legge 28 marzo 2001, n. 145 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, nonché del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani), nonché con alcuni contenuti dell’art. 3 (Diritto all’integrità della persona) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata nel 2000, in tema di consenso libero e informato della persona interessata, di divieto di pratiche eugenetiche, di divieto di clonazione riproduttiva degli esseri umani.
La richiesta di sottoporre a referendum abrogativo l’intera legge n. 40 del 2004 coinvolge quindi una normativa che è – ai sensi di quanto prima precisato – costituzionalmente necessaria. Tale motivo di inammissibilità è assorbente rispetto agli altri parametri di giudizio.
Né può obiettarsi che successivamente all’esito referendario, in ipotesi favorevole ai richiedenti, potrebbe essere adottata una diversa legislazione in tema di procreazione medicalmente assistita, ma pur essa idonea a garantire almeno un minimo di tutela agli interessi costituzionalmente rilevanti nella materia: questa Corte ha già avuto occasione di notare nella sentenza n. 17 del 1997 che – mentre «sono irrilevanti» … «i propositi e gli intenti dei promotori circa la futura disciplina legislativa che potrebbe o dovrebbe eventualmente sostituire quella abrogata» – «ciò che conta è la domanda abrogativa, che va valutata nella sua portata oggettiva e nei suoi effetti diretti, per esaminare, tra l’altro, se essa abbia per avventura un contenuto non consentito perché in contrasto con la Costituzione, presentandosi come equivalente ad una domanda di abrogazione di norme o principi costituzionali, anziché di sole norme discrezionalmente poste dal legislatore ordinario e dallo stesso disponibili (sentenza n. 16 del 1978 e n. 26 del 1981)».
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, richiesta dischiarata legittima con ordinanza del 10 dicembre 2004 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
F.to:
Valerio ONIDA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
ALLEGATO
Ordinanza pronunciata nella Camera di consiglio del 10 gennaio 2005 nel giudizio relativo alla richiesta di referendum abrogativo iscritto al n. 141 del registro referendum.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Considerato che l’art. 33 della legge n. 352 del 1970, nell’ambito di un procedimento a carattere officioso diverso da un giudizio di parti, conferisce solo ai presentatori delle richieste di referendum e al Governo il potere di depositare memorie, di cui la Corte, nella sua prassi, ha consentito l’ulteriore illustrazione in Camera di consiglio;
che eventuali scritti di soggetti ulteriori, interessati a sollecitare una decisione della Corte nel senso dell’ammissibilità o dell’inammissibilità dei quesiti, possono assumere solo il carattere di contributi contenenti “argomentazioni potenzialmente rilevanti” ai fini del giudizio (sent. n. 31 del 2000), ma non si configurano come espressione di un potere di partecipazione al procedimento, né quindi la loro presentazione comporta il diritto ad illustrarli oralmente in Camera di consiglio;
che tuttavia, nella specie, la Corte ritiene utile, in conformità a quanto già ritenuto in precedenti casi consentire eventuali integrazioni orali agli scritti presentati;
riservata alle sentenze la precisazione dei limiti di ingresso nel procedimento di documenti di soggetti diversi dai presentatori e dal Governo
dispone
di dare corso alla illustrazione delle memorie presentate dai soggetti di cui all’art. 33 della legge n. 352 del 1970, previe eventuali integrazioni orali degli scritti presentati da altri soggetti.