La Corte costituzionale e la Corte di Cassazione si pronunciano sul diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini stranieri

Dopo le recenti bocciature la legge « Bossi Fini » passa un esame davanti alla corte costituzionale. Con la sentenza n. 224 la Consulta ha infatti giudicato infondata la questione di legittimita’ costituzionale sollevata sulla disciplina dei ricongiungimenti familiari. O almeno su quella parte che riguarda i genitori a carico. Il tribunale di Prato aveva contestato la corrispondenza alla carta costituzionale dell’articolo 29, comma 1, lettera c, del Testo unico sull’immigrazione, nella versione modificata appunto dalla legge 189/ 02. La norma permette allo straniero di chiedere il ricongiungimento per i genitori a carico, a condizione che non abbiano altri figli nel Paese d’origine oppure per i genitori con piu’ di 65 anni quando gli altri figli non possono provvedere al loro mantenimento per documentati e gravi motivi di salute. Secondo i giudici toscani la disposizione sarebbe stata in contrasto con gli articoli 2 e 29 della Costituzione, perche’ avrebbe impedito l’esercizio dell’inviolabile diritto a una vita familiare, riconosciuto anche ai cittadini stranieri, pienamente equiparati ai cittadini italiani per quanto riguarda il godimento dei diritti fondamentali. Ma a essere violato sarebbe stato anche l’articolo 3, perche’, quando in gioco c’e’ il diritto del singolo al godimento del diritto familiare, sarebbe irrilevante la presenza di altri figli dei genitori nel Paese d’origine, tanto che, in caso contrario, si verificherebbe un’ingiustificata disparita’ di trattamento tra richiedenti che hanno fratelli e altri che ne sono sprovvisti. Senza tenere conto poi che, sulla base della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, una compressione del diritto al rispetto della vita familiare sarebbe possibile solo in presenza di necessita’ di ordine pubblico. La Corte costituzionale non e’ stata di questo avviso e ha sottolineato innanzitutto come l’inviolabilita’ del diritto all’unita’ familiare deve essere riferita e tutelata in rapporto alla «famiglia nucleare, eventualmente in formazione», favorendo quindi il ricongiungimento dello straniero con il coniuge e i figli minori. Diversa e’ la questione in relazione al rapporto tra figli maggiorenni, allontanatisi dalla famiglia d’origine, e genitori. Per loro l’unita’ familiare perde le caratteristiche di diritto inviolabile, per entrare nel campo della discrezionalita’ del legislatore a un bilanciamento tra «interesse all’affetto» e altri interessi. La stessa Corte costituzionale, nel 2001 ( ordinanza n. 232), aveva avuto modo di ricordare come il legislatore possa porre dei limiti all’accesso di stranieri sul territorio nazionale bilanciando i valori in gioco e con l’unico vincolo che le scelte non fossero evidentemente irragionevoli. Irragionevolezza che alla Corte non risulta neppure oggi, visto che collega il ricongiungimento alle situazione nelle quali e’ presente un effettivo bisogno da parte di familiari stretti che non sono in grado di soddisfare autonomamente le proprie esigenze di vita. «Le stesse argomentazioni — puntualizza poi la sentenza— valgono per le ragioni di solidarieta’ familiare invocate dal rimettente; anzi, in questo caso e’ ancora piu’ ampia la discrezionalita’ del legislatore, in quanto il concetto di solidarieta’ non implica necessariamente quello di convivenza, essendo ben possibile adempiere il relativo obbligo mediante modalita’ diverse dalla convivenza». Quanto poi alla presunta violazione del principio di uguaglianza, la Corte costituzionale osserva che questo non risulta certo compromesso quando si tiene presente che nel paese d’origine possono esserci altri figli e sono quindi possibili altre forme di conservazione dell’unita’ familiare. Il diritto al godimento della vita familiare resta comunque garantito nelle situazioni di grave bisogno in cui si possono venire a trovare i genitori quando non hanno possibilita’ di provvedere al proprio mantenimento.

Corte costituzionale
Sentenza 224/2005
Giudizio
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Fernanda CONTRI Presidente
– Piero Alberto CAPOTOSTI Giudice
– Guido NEPPI MODONA ”
– Annibale MARINI ”
– Franco BILE ”
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), promosso con ordinanza del 10 ottobre 2003 dal Tribunale di Prato sul ricorso proposto da Errafia Mustapha, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 10 ottobre 2003, ha sollevato questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 10 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata dall’Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
Innanzi al Tribunale rimettente, come dal medesimo riferito nelle premesse dell’ordinanza, e’ stato impugnato il provvedimento di diniego del visto d’ingresso, su ricorso di un cittadino marocchino regolarmente residente in Italia con carta di soggiorno a tempo indeterminato, il quale aveva chiesto il ricongiungimento familiare con i propri genitori, negatogli dal Consolato generale d’Italia a Casablanca per difetto delle condizioni richieste dalla legge.
Il giudice a quo precisa anzitutto di essere tenuto alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio del visto, in quanto il ricorrente, oltre alla declaratoria di nullita’ del provvedimento per difetto di motivazione, ha chiesto anche l’emanazione del visto, ai sensi dell’art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998. A tal fine il rimettente osserva che l’art. 29, lettera c), del citato decreto legislativo, nel testo modificato dalla legge n. 189 del 2002, consente il ricongiungimento per i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel paese di origine o di provenienza ovvero per i genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute e che, nella fattispecie, la domanda non potrebbe essere accolta, in quanto il ricorrente, oltre a due fratelli soggiornanti regolarmente in Italia e ad un’altra sorella residente in Spagna, risulta avere in Marocco un fratello e due sorelle, anche se questi non sono in grado di mantenere i genitori, l’uno per il modesto reddito e le altre per l’assenza di redditi propri.
Ad avviso del rimettente, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 29 della Costituzione, perche’ la limitazione contenuta nella disciplina del ricongiungimento familiare impedisce a chi sia desideroso di adempiere gli obblighi di solidarieta’ familiare nei confronti dei genitori anziani ed indigenti, come nella specie, l’esercizio dell’inviolabile diritto ad una vita familiare, il quale e’ riconosciuto dalla Costituzione anche agli stranieri, pienamente equiparati ai cittadini, come e’ stato piu’ volte affermato da questa Corte in relazione al godimento di diritti fondamentali.
Il requisito della assenza di altri figli nel paese di origine dei genitori costituisce, secondo il rimettente, un elemento privo di rilievo ai fini del diritto del singolo al godimento della vita familiare e darebbe luogo ad una ingiustificata disparita’ di trattamento tra richiedenti che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano.
Vi sarebbe inoltre una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, espressamente affermato dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata dall’Italia con la legge n. 848 del 1955, la quale avrebbe forza privilegiata rispetto alla normativa ordinaria, in virtu’ dell’art. 10 della Costituzione, che impone al legislatore di regolare la condizione giuridica dello straniero in conformita’ delle norme e dei trattati internazionali.
Tale diritto, come previsto nel comma 2 dell’art. 8 della Convenzione, potrebbe essere compresso dall’autorita’ pubblica solo qualora l’ingerenza costituisca una misura che, in una societa’ democratica, e’ necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle liberta’ altrui. L’unico profilo invocabile a sostegno della limitazione introdotta dalla legge in questione potrebbe essere quello relativo al benessere economico del paese, in quanto, ai sensi dell’art. 30, comma 2, il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l’accesso ai servizi assistenziali.
2. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per sostenere la infondatezza della questione.
La difesa erariale sottolinea anzitutto come questa Corte, nell’ordinanza n. 232 del 2001, abbia affermato che il legislatore puo’ legittimamente limitare il diritto al ricongiungimento al fine di equamente bilanciare l’interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare con gli altri valori sottesi dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri.
Poiche’ nella fattispecie viene in considerazione l’ipotesi del ricongiungimento dei genitori a figli non gia’ minorenni bensi’ maggiorenni, l’Avvocatura rileva come siano diversi in questo caso gli obblighi di solidarieta’ familiare, i quali devono ritenersi limitati all’assistenza verso i genitori che ne abbiano bisogno; sarebbe percio’ pienamente ragionevole la limitazione del ricongiungimento dei genitori alle sole ipotesi in cui questi siano a carico del figlio richiedente e non abbiano altri figli nel paese di origine o provenienza ovvero siano ultrasessantacinquenni e gli altri figli siano impossibilitati a mantenerli per ragioni di salute.
La difesa erariale esclude poi la sussistenza della dedotta violazione dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, rilevando come la Corte di Strasburgo abbia affermato che il diritto al rispetto della vita familiare puo’ subire varie limitazioni, poiche’ spetta agli Stati contraenti assicurare l’ordine e il benessere pubblico nell’esercizio del loro diritto al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri.
L’Avvocatura osserva infine che la limitazione del ricongiungimento dello straniero maggiorenne ai genitori, nei soli casi previsti dalla norma impugnata, appare non solo consentita ma anche rispondente al modello di famiglia tutelato nel nostro ordinamento.

Considerato in diritto
1. – La questione sollevata dal Tribunale di Prato ha ad oggetto l’art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), il quale consente allo straniero di chiedere il ricongiungimento per i genitori a carico qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero per i genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute.
Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 29 della Costituzione, perche’ impedirebbe l’esercizio dell’inviolabile diritto ad una vita familiare, riconosciuto dalla Costituzione anche agli stranieri, pienamente equiparati ai cittadini in relazione al godimento di diritti fondamentali; con l’art. 3 della Costituzione, poiche’, sotto il profilo del diritto del singolo al godimento della vita familiare, sarebbe irrilevante la presenza o meno di altri figli dei genitori nel paese di origine, la cui previsione darebbe anzi luogo ad una ingiustificata disparita’ di trattamento tra richiedenti che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano; con l’art. 10 della Costituzione, in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, in quanto il diritto al rispetto della vita familiare potrebbe essere compresso dall’autorita’ pubblica solo qualora l’ingerenza costituisca una misura che, in una societa’ democratica, e’ necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle liberta’ altrui.
2. – La questione non e’ fondata.
Il testo originario della disposizione impugnata consentiva allo straniero – che avesse la disponibilita’ di un alloggio e di un reddito annuo rispondenti a determinati parametri – di chiedere il ricongiungimento familiare per i genitori, ponendo quale unica condizione che essi fossero a carico del medesimo richiedente.
A seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 189 del 2002, la norma impugnata, con previsione evidentemente piu’ restrittiva rispetto alla precedente, indica ulteriori requisiti ai fini del ricongiungimento con i genitori, rappresentati dall’assenza di altri figli nel Paese di origine o provenienza ovvero dall’impossibilita’ degli altri figli, per documentati gravi motivi di salute, di provvedere al sostentamento dei genitori ultrasessantacinquenni.
Nella previsione di questi nuovi e diversi requisiti il Tribunale rimettente ravvisa un contrasto con gli indicati parametri della Costituzione, invocando una pronuncia parzialmente caducatoria che ripristini l’originaria formulazione della norma.
2.1. – La principale censura che il rimettente muove alla norma sospettata di incostituzionalita’ riguarda la lesione del diritto all’unita’ familiare (artt. 2 e 29 Cost.).
Come e’ stato affermato da questa Corte nelle sentenze n. 28 del 1995 e n. 203 del 1997, «la garanzia della convivenza del nucleo familiare» si radica «nelle norme costituzionali che assicurano protezione alla famiglia e in particolare, nell’ambito di questa, ai figli minori»; si e’ inoltre affermato che «il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e percio’ di tenerli con se’, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unita’ della famiglia, sono […] diritti fondamentali della persona che percio’ spettano in via di principio anche agli stranieri».
Mentre l’inviolabilita’ del diritto all’unita’ familiare e’ certamente invocabile e deve ricevere la piu’ ampia tutela con riferimento alla famiglia nucleare, eventualmente in formazione e, quindi, in relazione al ricongiungimento dello straniero con il coniuge e con i figli minori, non puo’ invece sostenersi che il principio contenuto nell’art. 29 della Costituzione abbia una estensione cosi’ ampia da ricomprendere tutte le ipotesi di ricongiungimento di figli maggiorenni e genitori; infatti nel rapporto tra figli maggiorenni, ormai allontanatisi dal nucleo di origine, e genitori l’unita’ familiare perde la caratteristica di diritto inviolabile costituzionalmente garantito e contestualmente si aprono margini che consentono al legislatore di bilanciare “l’interesse all’affetto” con altri interessi di rilievo.
Questa Corte ha gia’ sottolineato come il decreto legislativo n. 286 del 1998 tuteli il diritto dello straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato a mantenere l’unita’ del suo nucleo familiare, prevedendo la possibilita’ del ricongiungimento familiare che, nella sussistenza delle condizioni regolate dall’art. 29, puo’ essere chiesto in particolare per il coniuge e per i figli minori a carico; ed ha riconosciuto che il legislatore puo’ legittimamente porre dei limiti all’accesso degli stranieri nel territorio nazionale effettuando un «corretto bilanciamento dei valori in gioco», poiche’ sussiste in materia un’ampia discrezionalita’ legislativa limitata solo dal vincolo che le scelte non risultino manifestamente irragionevoli (ordinanza n. 232 del 2001).
E nella specie non risulta irragionevole la scelta effettuata dal legislatore del 2002 di limitare il ricongiungimento alle ipotesi in cui vi sia una effettiva e grave situazione di bisogno di quei familiari che non possono in alcun modo soddisfare autonomamente le proprie esigenze primarie di vita, non avendo nemmeno altri figli nel paese di origine in grado di sostentarli.
Le stesse argomentazioni valgono per le ragioni di solidarieta’ familiare invocate dal rimettente; anzi, in questo caso e’ ancora piu’ ampia la discrezionalita’ del legislatore, in quanto il concetto di solidarieta’ non implica necessariamente quello di convivenza, essendo ben possibile adempiere il relativo obbligo mediante modalita’ diverse dalla convivenza.
2.2. – Un ulteriore motivo di illegittimita’ della norma in esame e’ ravvisato dal rimettente nel contrasto con l’art. 3 della Costituzione, poiche’, sotto il profilo del diritto del singolo al godimento della vita familiare, sarebbe irrilevante la presenza di altri figli dei genitori nel paese di origine, la cui previsione darebbe anzi luogo ad una ingiustificata disparita’ di trattamento tra richiedenti il ricongiungimento che abbiano fratelli e quelli che non li abbiano.
Si e’ gia’ detto che il diritto al godimento della vita familiare deve essere garantito senza condizioni a favore dei coniugi e dei nuclei familiari con figli minori, mentre negli altri casi esso puo’ anche subire restrizioni, purche’ nei limiti della ragionevolezza. Tale limite non risulta superato nella previsione normativa in esame, ove si consideri ad esempio l’ipotesi che vi siano altri figli nel paese d’origine e siano pertanto possibili altre forme di conservazione dell’unita’ familiare.
Nella legge in esame tale diritto e’ invece garantito nelle situazioni di grave bisogno in cui versano i genitori quando non abbiano alcuna possibilita’ di provvedere al proprio mantenimento, ma non in altri casi.
E’ dunque infondata la censura relativa alla disparita’ di trattamento, che sussisterebbe tra il richiedente il ricongiungimento che non abbia altri fratelli o sorelle e quello che invece li abbia, avuto riguardo alla diversita’ delle situazioni poste a raffronto, che giustifica una disciplina differente.
2.3. – L’ultimo profilo dedotto dal giudice a quo a sostegno della illegittimita’ costituzionale della norma denunciata concerne la pretesa violazione dell’art. 10 della Costituzione in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, in quanto, a parere del medesimo rimettente, il diritto al rispetto della vita familiare potrebbe essere compresso dall’autorita’ pubblica solo qualora l’ingerenza costituisca una misura che, in una societa’ democratica, sia necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle liberta’ altrui.
In merito a tale censura e’ sufficiente osservare che non e’ invocabile l’art. 10 della Costituzione, poiche’, secondo l’indirizzo di questa Corte, «esorbita dagli schemi del diritto internazionale pattizio» (sentenza n. 32 del 1999).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 23 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 10 della Costituzione, dal Tribunale di Prato, con l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.
F.to:
Fernanda CONTRI, Presidente e Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’8 giugno 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Suprema Corte di Cassazione,
Sezione Prima Civile,
sentenza n.209(2005)

(Presidente: A. Saggio; Relatore: P. Giuliani)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 29/5/2002, la cittadina albanese D. R. (o R.) Z. impugnava davanti al Tribunale di Firenze il provvedimento mediante il quale l’Ambasciata italiana in Albania aveva denegato il rilascio del visto di ingresso a favore dei propri genitori, D. R. e D. R., nel quadro del procedimento, avviato dalla stessa ricorrente, volto ad ottenere il ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 del decreto legislativo n.286 del 1998 [1].
Lamentava la predetta l’illegittimità del suindicato provvedimento di diniego, fondato sulla carenza del requisito della vivenza a carico, così come disciplinato dall’art. 29, primo comma, lett. c), del citato decreto legislativo n. 286/1998.
Il Tribunale adito, con decreto emesso il 14/10/2002, accoglieva il ricorso.
Avverso la decisione, proponeva reclamo il Ministero degli Affari Esteri, deducendo la carenza delle prove offerte ex adverso in merito alla sussistenza del requisito in parola.
La Corte di Appello di Firenze, con decreto in data 7-25/2/2003, dichiarava inammissibile il reclamo, assumendo: che il visto di ingresso si palesasse quale atto assolutamente vincolato, il cui rilascio doveva necessariamente conseguire al nulla osta del Questore; che non sussistendo dunque una potestà discrezionale della rappresentanza consolare tale da estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilascio del visto, non sussistesse neppure una legittimazione della stessa Amministrazione (rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giudiziario che, riconosciuta la sussistenza dei requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, aveva ordinato il rilascio del visto.
Avverso il decreto anzidetto, ricorre per cassazione il già indicato Ministero, deducendo due motivi di gravame ai quali non resiste la cittadina straniera sopra nominata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente l’illegittimità del decreto impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 30 del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., assumendo: che il ricorso avverso i provvedimenti di diniego del rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare è proposto, ai sensi dell’art. 30, sesto comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nei modi del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e seguenti c.p.c., laddove la previsione dell’iter camerale non vale di per se stessa ad escludere la natura contenziosa del procedimento stesso, essendo anzi evidente che il relativo giudizio non possa essere ricondotto nell’ambito della mera giurisdizione volontaria; che, pertanto, all’autorità che ha deciso il rifiuto del visto di ingresso, ritenuto lesivo del diritto soggetto all’unità familiare, non può non riconoscersi, nel rispetto del principio del contraddittorio, la facoltà di intervenire in giudizio per difendere il provvedimento contestato, essendo evidente come, nella specie, l’Amministrazione sia legittimata ad impugnare l’ordinanza emessa dal giudice di primo grado per resistere contro l’annullamento del provvedimento di diniego del rilascio del visto di ingresso; che, nel caso in esame, del resto, il Ministero ricorrente ha resistito in primo grado, assumendo per ciò solo la qualità di parte del procedimento avviato ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo n. 286 del 1998, onde la legittimità dell’azione intrapresa dal medesimo ricorrente, il quale, come ha legittimamente resistito innanzi al giudice di prime cure per difendere il provvedimento impugnato, altrettanto legittimamente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, ha proposto reclamo, assumendo la qualità di parte anche nel successivo grado di giudizio.
Con il secondo motivo di impugnazione, del cui esame congiunto con il precedente si palesa l’opportunità involgendo ambedue la trattazione di questioni strettamente connesse, lamenta ancora il ricorrente l’illegittimità del decreto legislativo n. 286 del 1998, nonché dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., deducendo: che appaiono infondate le argomentazioni tratte dal giudice di merito, a sostegno del difetto di legittimazione al reclamo da parte dell’Amministrazione, dal carattere assolutamente vincolato, rispetto al previo accertamento dei requisiti ai fini della concessione del nulla osta di competenza della Questura, del provvedimento di rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare, onde non sussisterebbe alcuna potestà discrezionale della rappresentanza consolare italiana in merito all’opportunità del rilascio stesso; che quest’ultimo deve essere configurato come l’atto conclusivo di un procedimento a formazione complessa, il quale coinvolge sia le determinazioni espresse dalla Questura sia le valutazioni dell’Autorità consolare, cosicché occorre l’intervento, in senso favorevole, delle une e delle altre; che, tuttavia, quand’anche si volesse considerare il provvedimento di rilascio del visto di ingresso, da parte dell’Autorità da ultimo indicata, come un atto vincolato, tale circostanza non avrebbe ad escluderne la giustiziabilità ne potrebbe essere invocato per sostenere che, nel giudizio avente ad oggetto censure contro l’atto amministrativo, l’Amministrazione non possa partecipare difendendo il proprio operato.
I due motivi sono fondati.
Giova, al riguardo, permettere come la materia dei visti relativi ai ricongiungimenti familiari trovi la propria analitica regolamentazione nell’art. 6 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, ai sensi del quale il richiedente deve munirsi preventivamente del nulla osta della Questura, indicando le generalità delle persone per le quali chiede il ricongiungimento e presentando la documentazione meglio specificata al primo comma dello stesso art. 6, onde, verificata la sussistenza degli altri requisiti e condizioni, la Questura medesima rilascia, entro novanta giorni dalla ricezione della domanda e della documentazione anzidetta, il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell’Autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza (art. 6, secondo comma), laddove tale Autorità, ricevuto il nulla osta di cui al già richiamato comma secondo (ovvero, se sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione della domanda di nulla osta, ricevuta copia della domanda medesima e degli atti contrassegnati a norma del comma primo) ed acquisita la documentazione comprovante i presupposti di cui al comma secondo, rilasciano il visto di ingresso, previa esibizione del passaporto e della documentazione di viaggio (art. 6, terzo comma).
Tanto premesso, si osserva come, dalla lettura della disposizione sopra riportata, sia dato di ricavare: che alle Questure, chiamate a rilasciare preventivamente il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza (art. 6, secondo comma, del D.P.R. n. 394 del 1999), compete la verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni segnatamente risultanti dalle lettere a), b) e c) del primo comma del già citato art. 6; che all’Autorità consolare compete, invece, la verifica degli anzidetti presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza, di cui al secondo comma del medesimo art. 6, laddove, però, simili presupposti sono da intendere non soltanto nel senso dei presupposti d’identità e di qualità soggettiva intrinseci alla persona destinataria del visto di ingresso, ma altresì nel senso delle ulteriori condizioni, di natura economica, in cui quest’ultima si trovi nei rapporti con il richiedente, postulando la lettera c) del primo comma dell’art. 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dall’art. 23, primo comma, lettera a), n. 2, della legge 30 luglio 2002, n. 189), che trattasi di genitori a carico.
Ad una simile conclusione induce il rilievo secondo cui, giusta quanto traspare dal terzo comma dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999, le Questure risultano in possesso della (sola) documentazione di cui al primo comma del medesimo art. 6, mentre l’acquisizione della documentazione comprovante i presupposti di cui al già richiamato secondo comma compete esclusivamente alle Autorità consolari, non apparendo, del resto, ragionevole una interpretazione la quale finisca per demandare alle Questure una verifica mal suscettibile, per sua stessa natura, di essere compiuta in Italia, quando, invece, una simile verifica, trattandosi di requisiti (di natura economica) da accertare essenzialmente in relazione a soggetti che si trovano all’estero, meglio si presta ad essere quivi effettuata, ovvero appunto dalle rappresentanze diplomatiche e consolari.
Ne varrebbe, in contrario, osservare che, a norma dell’art. 29, settimo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il Questore emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta, verificata l’esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, atteso che il riferimento a tali requisiti deve essere inteso come relativo a quelli di cui al terzo comma del medesimo art. 29 (corrispondenti a quelli di cui al primo comma, lettere c) e b), dell’art. 6 del D.P.R. n. 394 del 1999), costituiti dalla disponibilità rispettivamente, di un alloggio rientrante nei parametri minimi e di un reddito annuo sufficiente derivante da fonti lecite.
Appare, dunque, palese come, qualora si riconosca, secondo le considerazioni di cui sopra, che la verifica circa la sussistenza delle condizioni soggettive di cui all’art, 29, primo comma, lettera c), del decreto legislativo n. 286 del 1998 (ivi compreso il rapporto economico, oltre quello strettamente parentale, intercorrente tra i due interessati, ovvero tra lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare ed il genitore per il quale detto ricongiungimento è domandato), compete all’Autorità consolare italiana, detta Autorità ben possa (impregiudicato, evidentemente, il relativo sindacato giurisdizionale richiesto sul punto dall’interessato, a norma dell’ultimo comma dell’art. 30 del già richiamato decreto legislativo n. 286/1998, a seguito del diniego del rilascio del visto di ingresso per siffatto ricongiungimento) disattendere la valutazione eventualmente compiuta al riguardo dalla Questura, senza con ciò sostituirsi a quest’ultimo ufficio che, come si è visto, non gode in proposito di alcuna competenza specifica ed esclusiva oltre quella che si incentra, sulla base della verifica della sussistenza degli altri requisiti e condizioni meglio sopra indicati (quelli, cioè, di cui all’art. 29, terzo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e all’art. 6, primo comma, del D.P.R. n. 394 del 1999, non solo a ricevere il nulla osta di cui al secondo comma dello stesso art. 6, ma altresì ad acquisire la documentazione comprovante i presupposti (ulteriori) di cui a quest’ultimo comma.
In termini siffatti, non può, dunque, essere preliminarmente condiviso l’assunto della Corte territoriale la dove detto Giudice ha ritenuto che all’accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 29 del decreto legislativo n. 286 del 1998 è preposta la Questura e che il rilascio del successivo visto di ingresso, deve necessariamente conseguire al nulla osta del Questore.
Peraltro, anche l’ulteriore affermazione secondo cui non sussistendo… una potestà discrezionale della rappresentanza consolare, che possa estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilascio del visto, non sussiste neppure una legittimazione della stessa Amministrazione (qui rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giurisdizionale che, riconosciuta la sussistenza di quegli stessi requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, ha ordinato il rilascio del visto, non va esente da censura.
Alle considerazioni già svolte, infatti, occorre aggiungere che, ove pure si debba ammettere come l’Autorità diplomatica i consolare, in sede di rilascio del visto, difetti di potestà discrezionale… che possa estrinsecarsi nella valutazione dell’opportunità del rilasci stesso (una volta, tuttavia, verificata, giusta quanto precede, non già la sussistenza di quegli stessi requisiti già accertati dalla Questura in sede di emanazione del nulla osta, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale, bensì la sussistenza degli ulteriori presupposti di cui all’art. 6, secondo comma, del già richiamato D.P.R. n. 394 del 1999), una simile conclusione varrebbe esclusivamente ai fini del riconoscimento, in capo al soggetto richiedente, di un vero e proprio diritto soggettivo (azionabile davanti al giudice ordinario a norma del sopra menzionato art. 30, ultimo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998), non già, però, ai fini di escludere una legittimazione della stessa Amministrazione (qui rappresentata dal Ministero degli Esteri) a proporre gravame avverso il provvedimento giurisdizionale che… ha ordinato il rilascio del visto.
Ai fini, infatti, della suddetta legittimazione, è da osservare: che, per un vero, anche nel procedimento camerale, come è appunto quello di cui al già citato art. 30, ultimo comma, del decreto legislativo n. 286/1998 (il quale si svolge nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile), al pari di quanto accade nel giudizio contenzioso ordinario, la veste di parte processuale, e quindi di soggetto legittimato al reclamo ex art. 739 c.p.c., si determina, nei gradi successivi al primo, esclusivamente per relationem, rispetto, cioè, alla qualità di parte formalmente assunta nello stesso primo grado, essendo siffatta qualità il presupposto giuridico formale che legittima attivamente e passivamente al reclamo stesso; che, per altro verso, del resto, la dove venga impugnato per via giurisdizionale un provvedimento amministrativo, deve ritenersi investito della legittimazione a contraddire in giudizio, a difesa del medesimo provvedimento oggetto di contestazione davanti all’autorità giudiziaria e, quindi, all’operato stesso dell’Amministrazione, l’organo di vertice gerarchicamente sovraordinato (nella specie, il Ministero degli Affari Esteri) rispetto a quello (nella specie, l’Ambasciata italiana in Albania) che ha emanato il provvedimento anzidetto (nella specie, di diniego del rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare), la dove quest’ultimo organo non sia di per se investito (come nel caso, invece, del prefetto riguardo al decreto di espulsione dello straniero, ex art. 13 bis, secondo comma, del decreto legislativo n. 286 del 1998) di una propria ed autonoma legittimazione.
Pertanto, il ricorso merita accoglimento, onde l’impugnato decreto va cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, al altra sezione della Corte di Appello di Firenze, affinché detto Giudice provveda a statuire sulla controversia demandata alla sua cognizione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche ai fini delle spese del giudizio di cassazione, al altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Roma, 3 novembre 2004.
Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2005.