La sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2004 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)- introdotto dall’art. 2 del d.l. 51/2002 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella l. 106/2002- nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.
La sentenza n. 223 del 2004, invece, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del succitato Testo unico- inserito dal comma 1 dell’art. 13 della l. 189/2002 (cd. legge Bossi-Fini)- nella parte in cui stabilisce che è obbligatorio l’arresto per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 (vale a dire l’essersi trattenuto sul territorio italiano oltre i cinque giorni previsti nell’ordine di espulsione del questore).
Le sentenze in oggetto dunque, frutto di un lungo e meditato lavoro e dall’esito in fondo atteso, dichiarano l’illegittimità costituzionale parziale di norme introdotte nel Testo unico sull’immigrazione a partire dalla Bossi-Fini. La normativa vigente perde così due dei suoi pilastri fondamentali per configurare una declamata “tolleranza zero” in materia di polizia degli stranieri.
Non è il caso di soffermarsi sulle misure che, a quel che risulta dalla stampa, il governo è intenzionato ad adottare con decreto-legge a seguito delle due sentenze: attendiamo di leggere il testo del decreto. E non pare neppure il caso di prestare eccessiva attenzione alle reazioni a caldo che le sentenze in oggetto hanno suscitato nei corridoi della politica: da quelle, francamente grottesche, di alcuni esponenti della maggioranza (v. le dichiarazioni di taluni esponenti leghisti riportate ad es. da La Stampa del 16. 7. 2004, pag. 7); a quelle, forse eccessivamente entusiaste, di esponenti dell’opposizione (v. l’art. di Livia Turco uscito su l’Unità dello stesso giorno a pag. 1) che evitano di ricordare le importanti questioni di costituzionalità sollevate contro la disciplina delle espulsioni fissata nella Turco-Napolitano e che peraltro la 189/2002 si è limitata a novellare; ed ancora, a quelle di chi- immaginandosi, forse, “masse” di migranti intenti nei porti di partenza a leggere ed interpretare le decisioni delle corti costituzionali europee prima di decidere la loro destinazione- si dice preoccupato di un effetto boomerang di tali sentenze nell’incentivare l’immigrazione verso l’Italia (v. ad es. la dichiarazione del presidente del Senato Pera, riportata da la Repubblica ancora del 16. 7. 2004, pag. 3).
Tali decisioni hanno al contempo dichiarata la manifesta inammissibilità di altri pur rilevanti profili della vigente disciplina delle espulsioni. La sentenza 222 dichiara infatti inammissibili le questioni sollevate dal tribunale di Roma (r.o. 573/2002) in ordine ai commi 4- nella versione vigente e in quella previgente- e 5 dell’art. 13 del Testo unico. Tali eccezioni di costituzionalità investono infatti norme sostanziali inerenti le diverse ipotesi di espulsione con accompagnamento: tuttavia anche la non manifesta infondatezza di tali eccezioni è sostenuta dal remittente sulla base degli stessi parametri (gli artt. 13, 24 e 111 Cost.) a partire dai quali ha argomentato il dubbio di legittimità costituzionale che investe il comma 5-bis, concernente il procedimento di convalida. Per questa ragione la Corte ha ritenuto le relative eccezioni prive di motivazione e dunque insindacabili nel merito (Cons. 3).
La sentenza 223 ha invece dichiarato inammissibile l’eccezione di costituzionalità sollevata dal tribunale di Firenze (r.o. 72/2003), avente ad oggetto «la previsione del giudizio direttissimo e la disciplina che imporrebbe al giudice di concedere, all’atto della convalida dell’arresto, il nulla osta all’espulsione e di pronunciare quindi sentenza di non luogo a procedere». Con la sospensione del giudizio di convalida dell’arresto- e non potendosi dar luogo a giudizio direttissimo, per la cui celebrazione è invece necessaria tale convalida- il rimettente infatti ha ordinato la restituzione degli atti al pubblico ministero, perché proceda, con rito ordinario. Ma così facendo, il giudice a quo non può applicare le norme sulle quali ha sollevato la questione di costituzionalità, che pertanto è stata dichiarata dalla Consulta manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza (Cons. 4).
Passando ad esaminare un po’ più da presso i principali passaggi argomentativi delle declaratorie di parziale illegittimità costituzionale contenute in tali sentenze, si nota che la 222/2004 muove da una ricostruzione del sistema originario delle espulsioni, e dei connessi meccanismi di tutela giurisdizionale, fissato nel d.lgs. 286/1998 e delle trasformazioni intervenute in tale disciplina con la l. 189/2002 e con la l. 106/2002, che ha introdotto il procedimento di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, oggetto delle censure dei giudici a quibus (Cons. 4).
La Corte a questo punto chiarisce che «il percorso della presente decisione è interamente segnato dalla sentenza n. 105 del 2001». La Corte già allora convenne con i remittenti che l’accompagnamento coattivo, al pari del trattenimento, investisse la libertà personale e dovesse dunque essere assistito dalle garanzie ex art. 13 Cost. e ricorda che «quanto in essa affermato già preannunciava la soluzione di una eventuale questione di legittimità costituzionale che avesse avuto ad oggetto l’accompagnamento alla frontiera». Per colmare questo vuoto, il legislatore è intervenuto con il d.l. n. 51 del 2002, che poi- modificato in sede di conversione- è divenuto il vigente art. 13 comma 5-bis del Testo unico, sul quale vertono le eccezioni di incostituzionalità. A questo proposito, la decisione imputa al legislatore di non aver colto fino in fondo il messaggio contenuto nella sent. 105/2001. La norma in questione infatti «contravviene ai principi affermati … nella sentenza sopra ricordata»: se lo straniero viene allontanato prima che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua libertà personale, viene vanificata la garanzia contenuta nel terzo comma dell’art. 13 Cost. e «insieme alla libertà personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo incomprimibile» (Cons. 5). E, chiarisce in conclusione la Corte, la questione sollevata dai remittenti non è aggirabile neppure ricorrendo alla «teoria del cd. “doppio binario” di tutela per lo straniero» (a dire, convalida “cartolare” dell’accompagnamento, ma possibilità di ricorrere successivamente con adeguate garanzie difensive sul decreto di espulsione, ex art. 13 comma 8 del Testo unico): ciò si tradurrebbe infatti in un’elusione della portata dell’art. 13 Cost., in quanto il ricorso sul decreto di espulsione «non garantisce immediatamente e direttamente il bene della libertà personale su cui incide l’accompagnamento alla frontiera» (Cons. 6).
Anche in questa sentenza, peraltro, la Consulta ribadisce la discrezionalità di cui gode il legislatore nel configurare uno schema procedimentale- anche celere e «articolato sulla sequenza provvedimento di polizia-convalida del giudice-, e non manca di ricordare, come in altre decisioni riguardanti le discipline di polizia degli stranieri (v. ad es. la sent. 353/1997), che flussi migratori «incontrollati» possono compromettere ordine pubblico e sicurezza. Tuttavia, «quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principi della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di ogni garanzia difensiva» (Cons. 5).
Il nodo del contendere della sentenza n. 223- che in certo modo fa sistema, richiamandole in motivazione, tanto con la precedente che con la 105/2001- è abbastanza semplice: «la norma censurata prevede … l’arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale, per di più sanzionato con una pena detentiva … di gran lunga inferiore a quella per cui il codice ammette la possibilità di disporre misure coercitive». Dunque, tale «misura ‘precautelare’ … non essendo finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, si risolve in una limitazione ‘provvisoria’ della libertà personale priva di qualsiasi funzione processuale ed è quindi, sotto questo aspetto, manifestamente irragionevole» (Cons. 3.1). Difficile infatti risultava un’applicazione logica dell’articolo in questione: le forze di polizia erano obbligate ad arrestare, mentre i giudici non potevano che convalidare l’arresto e al contempo scarcerare chi in base ad esso veniva arrestato. La disciplina in questione, conclude la Corte, non è giustificabile neppure come tesa «sia pure impropriamente», ad assicurare l’espulsione amministrativa dello straniero che non rispetta l’ordine del questore: questo infatti può comunque venire nuovamente accompagnato alla frontiera, o “trattenuto” in un cpt e, quando possibile, accompagnato, visti i commi 5-ter e 5-quinquies dell’art. 14 del Testo unico (Cons. 3.2).
In queste sentenze la Consulta, non senza avere avvisato- e, fin dove è stato possibile, non senza aver prima rivolto i suoi inviti ai giudici, con interpretative di rigetto, ad interpretare le norme secondo costituzione- chiama il legislatore a ripensare quelle norme coerentemente con i principi costituzionali che interessano. E nel far ciò non poteva non muoversi con circospezione, cercando un ragionevole compromesso tra sicurezza pubblica e rispetto delle garanzie fondamentali degli individui. Le due decisioni non si mostrano insensibili come si visto alle questioni che, anche in tema di sicurezza e ordine pubblico, pone l’attuale quadro migratorio. Ma la Consulta non poteva non ricordare al legislatore che, libero di scegliere gli strumenti che ritiene più adeguati nell’affrontare tali problematiche, esiste un quadro di garanzie costituzionali in tema di libertà personale e tutela giurisdizionale che valgono per tutti gli individui, cittadini e stranieri, «non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» (sent. 105/2001). Restano aperte, ovviamente, anche dopo queste sentenze le domande di fondo in tema di controllo dell’immigrazione in uno “spazio europeo” che oggi si allarga a quadranti intensamente interessati dai processi migratori: i criteri per un ingresso regolare e quelli per allontanare uno straniero; la pensabilità di strumenti differenti (ad es. meccanismi di regolarizzazione permanente, nuove forme di cooperazione tra Stati interessati); la necessità, questa sì urgente, di avviare un ripensamento dei rapporti tra individui, diritti e ordinamenti orientato alla tutela della dignità umana e alla protezione dei soggetti più deboli. Qui ci si può limitare a rilevare, con favore, che le sentenze in questione sembrano provare a ribadire il primato dei diritti costituzionali delle persone sulle pretese esigenze della sicurezza.
Gianluca Bascherini