La scomparsa di Valerio Onida lascia un vuoto incolmabile non solo nella comunità dei costituzionalisti ma anche nelle istituzioni e nella società civile.
Nel suo modo di essere giurista, infatti, la difesa dei principi di libertà, uguaglianza e solidarietà, su cui si fonda la Costituzione della Repubblica, animavano tanto gli scritti e gli interventi scientifici quanto l’impegno generoso nelle istituzioni, la partecipazione al dibattito politico-sociale, la dedizione all’attività di volontariato e persino l’esperienza professionale. Come se tutte le varie espressioni dell’attività intellettuale fossero a servizio di quei principi che gli erano tanto cari quanto suscettibili di essere realizzati in concreto con ottimismo e apertura al futuro e al mondo.
Per queste ragioni, la coerenza delle sue posizioni si manifestava nella nitidezza essenziale dei suoi scritti come nella mite radicalità delle sue battaglie a tutto tondo per i diritti delle persone e la democrazia costituzionale.
Per ricordare Valerio Onida, su invito del Comitato di direzione, la scuola bresciana ha proposto di ripubblicare lo scritto di Antonio D’Andrea, uscito nel volume a lui dedicato Idee in cammino col titolo A fianco degli altri. La lezione del “nostro” Valerio Onida.
Adriana Apostoli
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A fianco degli altri. La lezione del “nostro” Valerio Onida
di Antonio D’Andrea
Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli Studi di Brescia
Non è certo la necessità di un omaggio ulteriore all’acclarata statura accademica di Valerio Onida che spiega la riproduzione di alcuni suoi scritti – in verità non sempre di facile reperimento e comunque spesso disvelatori di incredibili doti “profetiche” del Professore – seguiti da alcune circostanziate notazioni dei costituzionalisti dell’Ateneo di Brescia.
Il bel tomo, Alle frontiere del diritto costituzionale. Scritti in onore di Valerio Onida (Milano, 2011), curato da Marilisa D’Amico e Barbara Randazzo (che tra l’altro ne ricorda la biografia che lo ha visto salire alla presidenza della Corte costituzionale e le numerose, svariate pubblicazioni che sono continuate ben oltre le riviste specializzate, il che lo ha reso nel tempo uno dei costituzionalisti italiani più noti presso il grande pubblico), ha in effetti assolto nel modo più pieno ed efficace al doveroso tributo che la dottrina giuridica, non solo costituzionalistica, ha voluto dedicare ad un autentico Maestro del diritto – un giurista a tutto tondo – quale è tuttora Valerio Onida. Non è neppure mancata l’occasione agli studiosi bresciani qualche anno fa di dedicare un ampio volume collettaneo, curato dal sottoscritto insieme a Lorenzo Spadacini e intitolato La rigidità bipolare del parlamentarismo italiano. Cinque anni di centrodestra (2001-2006) (Gussago, 2008), «a Valerio Onida, Maestro infaticabile che ci ha sempre esortato ad avere fiducia nella forza dirompente della democrazia e a non esitare nel difenderla». In tanti scritti miei e di altri colleghi bresciani, oltretutto, è ricorrente il riferimento a saggi e riflessioni del Professore, imprescindibile riferimento dei nostri studi, anche di quelli recenti che si devono ai più giovani tra noi. Molto ci aveva incoraggiato l’avere, Valerio Onida, accettato di accompagnare con la sua Presentazione (p. XV ss.) il volume, da me curato, Verso l’incerto bipolarismo. Il sistema parlamentare italiano nella transizione 1987-1999 (Milano, 1999), pubblicato nella collana del Dipartimento giuridico dell’Università bresciana, con il quale si è provato a rilanciare dopo un ungo silenzio la “cronaca costituzionale” quale genere letterario da coltivare per i costituzionalisti proprio secondo l’impostazione promossa e difesa (nei confronti di tanti studiosi scettici per questa “apertura” considerata frettolosamente solo sponda politologica) dal Professore sin dalla metà degli anni Settanta, quando insegnava a Pavia e si confezionava davvero artigianalmente (a scadenza più o meno mensile, con l’aiuto di una piccola cooperativa libraria) il Bollettino di attualità costituzionale. E ciò per meglio indagare l’effettività dell’ordinamento e non già per metterla al di sopra della normatività del testo costituzionale! Oltretutto, nel corso di questi anni – da quando ho assunto nel 1986, presso l’Università bresciana, il ruolo di ricercatore nell’allora Facoltà di Economia – e, da ultimo, in occasione della prolusione (A settant’anni dalla Costituzione repubblicana e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) tenuta il 7 dicembre 2018 nel corso della cerimonia per la consegna dell’attestato ai dottori di ricerca, sono state molteplici le occasioni nelle quali il Professor Onida è intervenuto nell’Ateneo e anche in altri contesti bresciani per incontrare studenti, partecipare a convegni, animare dibattiti. Dunque il marchio di fabbrica onidiano contraddistingue da oltre trent’anni tutti coloro i quali sono, a vario titolo, coinvolti in questo vasto territorio lombardo nello studio, nella ricerca e nella didattica universitaria. Non vi sarebbe stata, dunque, nessuna ragione supplementare per rivendicare puntigliosamente un’appartenenza di Scuola ostentata e riconosciuta non solo tra i costituzionalisti.
Si potrebbe, forse, aggiungere che la nostra determinazione nel richiamare e riprodurre alcune (che a noi sono sembrate) “intuizioni” di Valerio Onida, alle quali far seguire qualche nostra considerazione suggerita dal tempo nel frattempo trascorso, speriamo sia letta, prima di tutto dal Maestro, come una piccola dimostrazione di quanto il “buon vento” possa talvolta favorire il germoglio fuori dal “recinto” dove è stato originariamente piantato il “seme” (Onida non ha mai insegnato a Brescia) ma, nel contempo, ricordare a noi tutti, che abbiamo riletto e “ripreso” le riflessioni del Professore, come il germoglio sia destinato fatalmente a rinsecchirsi senza accudimento operoso.
Resta che la ragione sostanziale di ritornare a riflettere sul pensiero “spiccio” di Valerio Onida si spiega con una nostra esigenza di ordine “spirituale” che ha poco di strettamente accademico, vale a dire quella di ricaricare noi stessi – quasi di riorientarci – nel tempo presente che pare costringa anche le democrazie più evolute e consolidate a balzi all’indietro per fronteggiare le difficili sfide in avvio del terzo millennio, a cominciare dai progressivi squilibri economico-sociali che generano massicce migrazioni dalle zone più povere del globo verso gli Stati più ricchi, sino alla minaccia terroristica ramai portata all’interno dei nostri confini con modalità brutali e non facilmente contrastabili. Balzi all’indietro sono sicuramente le spinte, anche culturali, definite sovraniste e nazionaliste e, sul piano economico-finanziario, l’invocazione di un ritorno a politiche ultraliberiste da correggere solo per fronteggiare contingenti preoccupazioni di segno sempre sovranista.
A dire il vero mi era già capitato di spingermi a definire i tratti della ortodossia onidiana cui ricorrere quale possibile antidoto per provare a difendere il carattere democratico-sociale della nostra Costituzione – si era nel vivo della dura contrapposizione sul terreno costituzionale che sarebbe sfociata nel referendum del 4 dicembre 2016 – proprio perché mi sembrava evidente il “cambiamento del vento” anche tra quanti, amici e colleghi di prossimità, spingevano sorprendentemente per assecondare profondi mutamenti di ordine istituzionale (in gioco era anche la riforma elettorale) a loro giudizio indispensabili per consentire all’Italia di mettersi in linea con la modernità che innegabilmente avanza seguendo nuovi schemi. Tutto ciò, com’è noto, induceva allora e credo induca ancora una percentuale significativa – maggioritaria o minoritaria non importa ai nostri fini – della pubblica opinione, inclusi naturalmente intellettuali e costituzionalisti, a reclamare quantomeno di ricalibrare l’organizzazione strutturale della Repubblica rinunciando perciò alla strenua difesa dell’attuale “bizantinismo democratico” non più in grado di assicurare – banalizzo – né un Governo efficiente che risponda al popolo (nella versione più evoluta sotto il profilo istituzionale si parla di “maggioranza degli elettori” e di Governo indicato dal corpo elettorale) né la cura adeguata degli interessi nazionali nell’inevitabile contesto globale e, innanzitutto, europeo.
Contro questa vulgata avevo perciò sentito il bisogno di ricorrere al richiamo “identitario” in difesa della nostra democrazia costituzionale, proprio alla presenza del Professor Onida, intervenendo il 16 ottobre 2015 presso l’aula magna del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Verona in occasione di una ricorrenza accademica e, nel contempo, familiare quale è stata la consegna a Maurizio Pedrazza Gorlero, il primo allievo onidiano, degli Studi in suo onore. Molti sono portati all’esaltazione del proprio Maestro e della sua dottrina e sicuramente io stesso non sfuggo a questa tentazione; devo però ricordare che davvero nel caso del Professor Onida si rischia, parlando di lui in termini elogiativi, più che di compiacerlo – è nota la sua avversione per l’eccesso di zelo – di indispettirlo e di questa circostanza anche a Verona sapevo di dover tenere conto. Continuando tuttavia a parlare, per come facciamo, di “orizzonti” e “aperture” in chiave democratica dell’ordinamento è impossibile dimenticare che quelle finestre si sono aperte nelle nostre menti grazie al suo insegnamento convincente e coinvolgente e al suo limpido esempio anche quando si è trovato a stare fuori dalle aule universitarie in svariati ruoli, certamente di preminente responsabilità istituzionale. Ecco perché è possibile parlare senza imbarazzi di ortodossia onidiana, almeno per chi ne è stato davvero forgiato.
A maggior ragione dopo che proprio Maurizio Pedrazza Gorlero ha condiviso e ripreso quello stralcio del mio intervento («Intorno alle affinità elettive e all’impegno di chi ha creduto – e crede ancora – nella forza salvifica del contagio costituzionale») che non era destinato alla pubblicazione e che, in un’atmosfera per lo più intimistica provava soltanto a rintrecciare i fili di vite ormai adulte che erano state e venivano spese inevitabilmente in autonomia e certo non al riparo da acuti dolori e delusioni ma sotto la stessa bandiera ideale. Non a caso Maurizio ha inteso portare all’esterno le mie parole nel suo contributo Il ‘respiro’ della Costituzione nella diacronia dell’epoca (p. 628 ss.) pubblicato negli Studi in ricordo di Paolo Cavaleri (Napoli, 2016), l’altro allievo veronese del Professore, fraterno amico purtroppo prematuramente scomparso.
Abbiamo perciò inteso promuovere in questa realtà universitaria di provincia il recupero di alcuni scritti del Professore, più che per ribadirne, su scala ridotta, lo spessore dell’Autore e testimoniare la freschezza del suo pensiero – operazione di per sé banalmente autoreferenziale e persino arrogante – per ricordare a noi stessi le ragioni più autentiche del nostro impegno culturale. In definitiva per non lasciarci alle spalle le tante sollecitazioni che si possono rinvenire in quei testi e per rinnovare in piena libertà l’impegno ad aderire pienamente ai principi di fondo della nostra democrazia repubblicana già nitidamente richiamati in altri scenari da Valerio Onida ma oggi più di ieri da salvaguardare. Quello che mi pare indiscutibile è volersi riflettere nella regola onidiana di base consistente nella promozione di una forma evoluta di democrazia di prossimità, cioè “a fianco degli altri”. Essa, pur partendo dalla centralità della persona, rifugge dalla esasperazione individualistica per incoraggiare la socialità della e nella comunità politica, anzi, più esattamente, la concordia tra le comunità – da quelle di base fondate su vincoli volontari a quelle maggiori che contemplano appartenenze necessarie e osservanza di regole comuni dettate da un’autorità politica – nelle quali naturalmente si collocano, l’uno a fianco dell’altro, gli individui. Tale regola è tratta da Onida da una lettura progressista e non neutrale, non solo della nostra Costituzione ma del costituzionalismo occidentale, giustificata prima di tutto sul piano storico generale con la sconfitta politico-militare del nazifascismo e delle aberranti teorie (o non teorie) istituzionali che avevano alle spalle quei regimi impiantatisi nel cuore dell’Europa agli inizi degli anni Venti e sino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
In secondo luogo, la democrazia di prossimità di marca onidiana è fondata sugli esiti più avanzati cui potrebbero dare luogo le virtualità interpretative dei vigenti testi costituzionali (non solo dunque la Costituzione italiana ma anche le Carte e le Convenzioni internazionali che promuovono la dignità umana), tanto più ove fossero adeguatamente sostenute da indirizzi politici conseguenti alla visione comunitaria che accetti davvero di farsi carico delle esigenze altrui (la formula utilizzata da Onida per spiegare questo concetto è: «i miei doveri sono i diritti degli altri»). La ricerca del bene comune, rappresentato dalla possibilità di ottenere condizioni di accettabilità esistenziale per ciascun individuo a prescindere dal suo stato (incluso quello di cittadino almeno ove si tratti di assicurare diritti fondamentalissimi quali la vita e l’integrità fisica di quanti cittadini non sono), dovrebbe costituire l’orizzonte verso il quale tendere da parte del potere politico. E se le risorse pubbliche sono scarse e comunque insufficienti, secondo questa visione è ovvio che queste poche debbano essere utilizzate per alleviare i disagi dei meno abbienti e che di ciò debbano legittimamente farsi carico coloro i quali dispongono di mezzi maggiori (l’art. 53 della Costituzione italiana richiede al sistema tributario di informarsi a criteri di progressività). Più volte, specie in questi ultimi tempi, ho sentito il Professore invocare l’appartenenza di ciascuno di noi alla famiglia umana. Si comprende perciò̀ molto bene l’estremo favore con il quale Valerio Onida ha sempre guardato all’apertura internazionalistica dell’ordinamento nazionale accolta dalla nostra Costituzione (la c.d. cessione della sovranità ai sensi degli artt. 10 e 11) ritenendola decisiva per potere allargare il fronte rispetto ad esigenze e bisogni che non si possono rinchiudere nel territorio del singolo Stato (si pensi appunto alle migrazioni collegate alla povertà accentuatasi in tanta parte del globo terrestre e ai conflitti su base etnica e religiosa che si riverberano ed espandono fuori dai territori strettamente coinvolti) così provando a rinsaldare spicchi di fratellanza tra popoli e Paesi che sono destinati a restare diversi (ma non quando si tratta di rispettare l’integrità e la dignità dell’uomo) e apprestando soluzioni normative più efficaci per disciplinare materie che investono interessi comuni, sperabilmente non solo economici, almeno su scala europea. La capacità del Professore di indignarsi e reagire sempre contro le prevaricazioni, da quelle minute che avvengono sotto i nostri occhi a quelle più rilevanti che a molti appaiono lontane nel tempo e nello spazio, ha comportato, almeno credo, un ulteriore corollario al suo approccio nei confronti del potere politico (anche se non solo quello): la naturale diffidenza e la necessità del suo controllo, evitando eccessi di concentrazione in mani singole di autonomia decisionale, sviluppando piuttosto un accentuato interesse per le tecniche finalizzate a correggere l’abuso del potere battendo la strada maestra rappresentata dalla giurisdizione, a partire da quella costituzionale. Resta inteso che Valerio Onida se muove da una diffidenza, quasi obbligata per il costituzionalista nei confronti di chi è chiamato ad esercitare quote di potere politico, non demonizza affatto l’esercizio di quest’ultimo e dimostra una ancor più netta avversione per ogni forma di antagonismo almeno nel contesto democratico garantito dalla Costituzione italiana in quanto giudicato inutile e dannoso rispetto a qualsiasi “battaglia” compatibile con il quadro ordinamentale vigente. Da parte del Professore non si riscontrano forme di contestazione di natura pregiudiziale a danno dei governanti che pure potrebbero per tanti motivi non piacere e anzi la sua attenzione è sempre stata rivolta a consentire, proprio nella sede parlamentare (da molti di noi considerata un luogo oramai occupato dal Governo), la individuazione di strumenti di per sé utili a consentire il concretizzarsi più prima che poi della decisione politica di maggioranza (penso al favore con il quale Onida ha guardato proprio con riferimento alla riforma costituzionale renziana, in generale avversata con decisione, all’introduzione del c.d. voto a data certa che poteva essere richiesto dal Governo con ampia libertà nonostante fosse chiaro che quello strumento avrebbe ulteriormente rafforzato la posizione di maggioranza dinanzi alla Camera dei deputati). Del resto Valerio Onida non si è mai sottratto alla fatica di spiegare agli altri apertamente e pazientemente le proprie ragioni, non rinunciando al dialogo e alla considerazione delle opinioni contrarie alle sue senza mai inneggiare, scomposto, al “catastrofismo irreversibile”, ma semmai preoccupandosi di alimentare la “speranza” necessaria per riuscire a correggere le storture che esistono e che è sempre possibile lasciarci alle spalle.
Il Professore è sempre stato “messianicamente” rivolto alla difesa dei principi sopra richiamati nei quali continua a credere e per i quali non cessa di spendersi generosamente anche adesso che è fuori dal ruolo universitario. Egli è convinto più che mai che le buone idee, malgrado le apparenze e la contingenza, camminano sempre, magari sotto traccia, senza perciò arrestarsi fintantoché qualcuno continua a diffonderle – comunque in ogni luogo possibile, non necessariamente le roboanti ribalte dei grandi teatri mediatici oggi in voga – cosicché, prima o poi, riusciranno a trovare la strada per riemergere o affermarsi.
L’attitudine di una società evoluta democraticamente a rispettare l’individuo che si incontra sul proprio cammino e a difenderne l’inalienabile, naturale diritto a vivere con dignità e libero dal bisogno è dunque destinata a vincere su quella che ci sembra talvolta essere, anche laddove il costituzionalismo dovrebbe avere solide radici, incredibile disumanità: è solo questione di tempo, benché il tempo non sia affatto nel nostro dominio, come non lo sono gli orientamenti politici e quelli istituzionali – neppure tranquillizzanti – che affiorano qui e là non solo nel nostro Paese. La stagione che ci tocca di vivere tuttavia non la si sceglie e non deve essere sprecata nella più o meno rassegnata lamentazione. In sostanza, quando si tratta di diffondere e difendere il “credo” democratico, non è mai finita: questa la lezione esemplare e più significativa che proviene dal Maestro!
Lo dobbiamo ricordare sempre, sforzandoci di essere conseguenti senza perciò mai dismettere per ben più effimere convenienze la “casacca” del costituzionalista in “servizio permanente effettivo” che Valerio Onida ci ha aiutato a indossare; non è ovviamente compito che possa agevolmente svolgersi senza passione civile e fideistica fiducia nell’uomo in quanto tale. Noi allievi bresciani di prima e seconda generazione ci proviamo, motivati, sereni e persuasi che alla fine la luce del giorno è destinata a bucare il buio della notte!
Per ciascuno di noi dare un piccolo contributo all’inevitabile diffondersi di qualche buona idea è di per sé gratificante rispetto all’impegno che profondiamo giorno per giorno dentro e fuori le aule universitarie, così come ci è stato insegnato e testimoniato dal “nostro” Professore.