1. Premessa.
Le attribuzioni pubblicistiche nel settore televisivo non sono esaustivamente suddivise tra Ministero delle comunicazioni (di seguito, “Ministero”) e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito: “AGCom” o “Autorità”).
Com’è noto, un’importante parte di tali competenze sono attribuite al Parlamento e -dopo l’approvazione della Legge Gasparri (l. 3 maggio 2004, n. 112)- soprattutto alla Commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (di seguito, “CPIV”), che si occupa specificamente della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo (la Rai).
Ma anche a voler restare nell’ambito delle attribuzioni di area governativa, si riscontrano funzioni attribuite al Consiglio dei ministri, aventi come destinataria la Rai1, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento sia alla Rai che ai concessionari privati2.
Altre funzioni pubbliche verranno certamente ad essere svolte dalle Regioni, in applicazione del nuovo testo dell’art. 117 Cost., che ha affidato l’“ordinamento della comunicazione” (al riguardo, si v. anche l’art. 16, l. n. 112/2004), alla legislazione concorrente Stato/regioni.
2. Le due fasi evolutive del riparto di attribuzioni tra AGCom e Ministero.
Ciò posto, non v’è dubbio però che la gran parte delle competenze in materia sia effettivamente ripartita tra il Ministero e l’Autorità.
Più precisamente, nel riparto di tali attribuzioni possono individuarsi, in prima approssimazione, due fasi: la prima che va dal 1997 al 20013; la seconda che va dal 2001 ad oggi.
Ed infatti, la legge istituiva dell’AGCom (l. 31 luglio 1997, n. 249) aveva fatto una scelta piuttosto netta nel senso di attribuire una “competenza generale” sul settore radiotelevisivo all’Autorità, lasciando al Ministero un ruolo tendenzialmente “residuale”, ancorché fosse comunque il Ministero a rilasciare le concessioni radiotelevisive via etere terrestre, anche secondo la disciplina del 1997.
Tuttavia, tale scelta legislativa si è, dapprima, “appannata” nel 2001, dopo appena tre anni dall’entrata in funzione dell’Autorità4, e poi ha invertito decisamente “rotta” cominciando a restituire -o ad attribuire ex novo– al Ministero competenze già assegnate all’Autorità o che plausibilmente avrebbero dovuto spettarle5, in considerazione della sua natura di autorità di regolazione del settore.
Questa “parabola” del riparto di competenze nel settore ha toccato -per così dire- il suo culmine prima nel Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259; di seguito “Codice” o “cod. com. el.”) che -com’è noto- ha recepito le direttive comunitarie del 2002 in tema di reti e servizi di comunicazione elettronica e, poi, nel d.lgs. n. 366/2003.
Ed infatti, nel Capo II del Codice, benché solo l’AGCom venga esplicitamente definita “Autorità nazionale di regolamentazione”6 -deve ritenersi- ai sensi della direttiva quadro (2002/21/Ce), il Ministero è trattato -a tutti gli effetti7– come una seconda autorità nazionale di regolazione, con un continuo intrecciarsi -se non sovrapporsi- di funzioni e competenze.
L’obiettiva confusione derivante da questo intreccio (o sovrapposizione) di attribuzioni nella normativa italiana è stato oggetto di critica da parte di organismi internazionali e in dottrina8, nonché, da ultimo, da parte della Commissione europea, ancorché senza espliciti riferimenti all’Italia9.
Certamente, il risultato ultimo che si è ottenuto con gli ultimi interventi legislativi è ben lontano da quegli obiettivi di chiarezza e di semplificazione perseguiti anche dal nuovo quadro regolamentare. In effetti, scorrendo le competenze attribuite al Ministero anche dal recente d.lgs. n. 366/2003 e comparandole con quelle attribuite all’AGCom dalla l. n. 249/1997, non ci si può sottrarre ad una netta impressione di confusione.
Il Ministero dovrebbe, infatti, occuparsi: di “politiche nel settore delle comunicazioni”; dei “rapporti con l’UE e con le organizzazioni e le agenzia internazionali nel settore delle comunicazioni”; di “disciplina del settore delle comunicazioni elettroniche”; di “gestione di programmi comunitari” nello stesso settore; di “radiodiffusione sonora e televisiva pubblica e privata anche nelle forme evolutive”; di “concessioni, licenze e autorizzazioni nei settori delle comunicazioni”; di “controllo del mercato, vigilanza sul rispetto delle normative di settore e applicazione delle sanzioni”; di “adeguamento periodico” e “verifica degli obblighi” in campo di servizio universale nei settori delle comunicazioni; di “tutela delle comunicazioni”; di elaborazione del “piano nazionale di ripartizione delle frequenze e relativa attività internazionale”; di “assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze” e “delle reti ed orbite satellitari” e dei relativi accordi internazionali; di “controllo di emissioni radioelettriche e delle interferenze”; di “tecnologie dell’informazione (ICT)” e della relativa ricerca scientifica e normazione tecnica; di “servizi multimediali”10 …; solo per citare le competenze più attinenti al tema dell’intervento.
Ma, piuttosto che occuparsi di tutte le possibili sovrapposizioni di competenze (il che darebbe luogo ad un noioso, oltre che inutile, catalogo di attribuzioni), sembra più produttivo occuparsi di uno specifico campo di attribuzioni: vale a dire, quello della c.d. gestione dello spettro radioelettrico, tanto più che -anche secondo la recente Legge Gasparri- le frequenze costituiscono una “risorsa essenziale ai fini dell’attività radiotelevisiva” (art. 12, co. 1, l. n. 112/2004).
Ciò consentirà, tra l’altro, anche di verificare se non vi siano altri aspetti di possibile contrarietà al nuovo quadro regolamentare europeo.
3. Il riparto di competenze nella gestione dello spettro radioelettrico, con specifico riferimento alla televisione.
3.1. Com’è ben noto, le caratteristiche di propagazione delle onde radioelettriche (che si diffondono in vista ottica senza rispettare i confini politici degli stati) hanno fatto sì che da lungo tempo sia stato affidato all’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (Uit) il compito di pianificare a livello planetario lo «spettro radioelettrico»11, ripartendolo tra i vari servizi (ad es., radiotelevisione, comunicazioni mobili personali, radioastronomia, etc.) ed assegnando “lotti” di frequenze ai singoli stati aderenti. Queste attività di ripartizione ed assegnazione dello spettro radioelettrico (o di sue porzioni) danno luogo rispettivamente all’adozione di due strumenti pianificatori internazionali: il piano di ripartizione delle frequenze ed il piano di assegnazione delle frequenze.
Da tali atti internazionali di pianificazione deriva, poi, a livello nazionale, innanzitutto, il piano nazionale di ripartizione delle frequenze, con il quale anche lo Stato distribuisce le porzioni di spettro radioelettrico assegnategli in sede internazionale tra i vari servizi.
“A valle” del piano di ripartizione vengono, poi, adottati i piani di assegnazione delle frequenze.
Per quel che specificamente interessa la televisione, il piano di assegnazione suddivide il territorio nazionale in bacini di utenza (coincidenti, per la radiodiffusione televisiva, con il territorio delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano), individua la localizzazione degli impianti e delle relative aree di servizio e, quindi, individua il numero dei programmi televisivi o radiofonici numerici per la radiodiffusione, nonché delle reti televisive o radiofoniche, prefigurandone la struttura, senza però ancora assegnarle concretamente (a dispetto del suo nome) ad un determinato operatore: ciò che dovrebbe essere realizzato -come si dirà- con il rilascio del titolo abilitativo in favore del singolo operatore.
Si possono, quindi, individuare tre livelli dell’intervento pubblico nella gestione dello spettro radioelettrico:
Piano di ripartizione
(di competenza del Ministero)
↓
Piano di assegnazione
(di competenza dell’ AGCom)
↓
Rilascio del titolo abilitativo
(di norma, di competenza del Ministero).
Quanto a quest’ultimo livello (non affrontato in precedenza), va soltanto ricordato che attualmente si riscontra una vasta (quanto disordinata) tipologia di titoli abilitativi nel settore radiotelevisivo. Ed infatti, vi si annoverano almeno: a) le concessioni per l’emittenza analogica, rilasciate dal Ministero nel 1999 e nel 2001, rispettivamente, alle emittenti nazionali e locali; b) le abilitazioni “temporanee” rilasciate nel 1999 dal Ministero alle emittenti nazionali c.d. “eccedenti” (cioè, Retequattro e, all’epoca, Telepiù Nero); c) le autorizzazioni per la diffusione di programmi televisivi via satellite (rilasciate dall’AGCom); d) le autorizzazioni per la distribuzione televisiva via cavo (rilasciate dal Ministero); e) le abilitazioni per la sperimentazione di trasmissioni televisive via etere terrestre in tecnica digitale terrestre (rilasciate dal Ministero); f) le autorizzazioni per le attività di fornitore di servizi e di fornitore di contenuti in tecnica digitale terrestre (rilasciate dal Ministero); g) le licenze per operatore di rete in tecnica digitale terrestre (rilasciate dal Ministero), che dovrebbero essere sostituite da nuove autorizzazioni, ma solo dopo il termine di scadenza per la conversione delle trasmissioni via etere terrestre in tecnica esclusivamente digitale.
Peraltro, la vigilanza ed il controllo sull’assolvimento degli obblighi derivanti dai titoli abilitativi sono esercitati dal Ministero, anche relativamente ai titoli rilasciati dall’AGCom.
In definitiva, anche sotto questo profilo, la confusione è notevole.
3.2. Ebbene, il Codice delle comunicazioni elettroniche ha riconfermato l’attuale ripartizione di competenze, prevedendo che al Ministero spetta la predisposizione del piano nazionale di ripartizione delle frequenze ed all’Autorità la predisposizione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze (art. 14, comma 1).
Però, qualora sia necessario concedere diritti di uso delle frequenze radio, la competenza relativa alla concessione di tali diritti spetta nuovamente al Ministero o ad un comitato di ministri (artt. 27, comma 3, e 29)12.
Senonché la soluzione “conservativa” adottata dal Codice non sembra in linea con il nuovo quadro regolamentare, non solo (e non tanto) perché tale soluzione ripropone l’ “intrico” di competenze tra AGCom e Ministero che connota ormai da anni il settore, ma anche perché la direttiva quadro richiede che gli Stati membri debbano «garantire» che la allocazione e l’assegnazione delle frequenze vengano effettuate dalle «autorità nazionali di regolamentazione» (art. 9, co. 1).
Ora, è ben noto che la direttiva quadro (n. 21/2002/Ce) ha innovativamente dettato regole specifiche relativamente all’organizzazione, ai compiti, alle procedure ed alle attività che gli stati membri devono rispettare nel disciplinare le autorità di regolazione.
Quanto all’organizzazione, la direttiva quadro richiede in particolare: che tutti i compiti assegnati alle autorità nazionali dalla direttiva siano affidati a un organismo competente; che esso sia legalmente distinto e funzionalmente indipendente dagli operatori; che esso eserciti i suoi poteri imparzialmente e in modo trasparente (art. 3, co. 1, 2 e 3). Le direttive del 2002 hanno così tendenzialmente ridotto la discrezionalità che la disciplina comunitaria, di norma, lascia agli stati membri riguardo all’attuazione delle disposizioni relative all’istituzione delle autorità di regolazione13. Tanto più che, con specifico riferimento alle comunicazioni elettroniche, la Commissione europea ha specificato che il requisito della “indipendenza” deve intendersi anche come “separatezza” dalle influenze politiche14.
A prima vista, potrebbe sembrare che l’aver affidato all’AGCom l’adozione del Piano di assegnazione abbia soddisfatto le condizioni richieste dalla direttiva quadro, tanto più che l’attività di allocazione (alias ripartizione) delle frequenze è in prevalenza il “riflesso” dell’attività svolta in sede Uit a livello sovranazionale (e sovracomunitaria).
Tuttavia, come si evince anche da una recente comunicazione della Commissione in tema di switchover digitale15, in sede comunitaria l’attività di assegnazione coincide con «la concessione del diritto di utilizzare determinate radiofrequenze ad imprese, organizzazioni o privati …»; pertanto, con il termine “assegnazione” non si fa riferimento alla omonima fase pianificatoria (effettivamente affidata e effettuata dall’AGCom), bensì all’attività di rilascio dei titoli abilitativi, che è invece attualmente affidata al Ministero.
Per giunta, come è stato giustamente osservato dall’AGCM16, l’attribuzione al governo (Ministero delle comunicazioni o comitato dei ministri, ai sensi dell’art. 29) della funzione di concedere i diritti d’uso all’esito di una gara, che può anche essere coordinata dallo stesso governo, sembra porsi in contrasto anche con l’art. 3 della direttiva quadro, nella parte in cui si richiede che sia garantita l’indipendenza dell’autorità di regolazione dalla proprietà e dal controllo sugli organismi che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, specie quando detengono diritti speciali. Non può, infatti, dimenticarsi, al riguardo, che lo Stato italiano detiene nello specifico settore radiotelevisivo la proprietà ed il controllo della Rai, alla quale è affidato in esclusiva -e senza il previo espletamento di alcuna procedura competitiva- il servizio pubblico radiotelevisivo.
Inoltre, una volta interpretata correttamente la portata della funzione della assegnazione delle frequenze (nel senso di farla coincidere con la concessione agli operatori del diritto di utilizzare determinate frequenze), non dovrebbe essere difficile constatare la contrarietà al nuovo quadro comunitario di un (ipotetico) futuro procedimento di rilascio di titoli abilitativi che dovesse “ricalcare” il procedimento seguito nel 1999 e nel 2001, per il rilascio delle concessioni televisive nazionali e locali. Com’è noto, in quell’occasione, l’AGCom si limitò ad individuare genericamente quattro “aree” sulla cui base si sarebbero dovuti selezionare gli aspiranti concessionari17, laddove fu invece il Ministero con il c.d. Disciplinare18 a specificare ed individuare concretamente i criteri di selezione e ad assegnare a ciascuno di tali criteri un preciso peso ponderale.
È vero che si potrebbe obiettare che neanche l’AGCom è un’autorità del tutto indipendente (essa è stata, infatti, significativamente qualificata, da autorevole dottrina, come “semi-indipendente”19), stante i metodi di nomina dei commissari (che ne rendono possibile l’individuazione dell’appartenenza addirittura partitica) e del presidente (che è proposto dal capo del governo). Ma è altrettanto vero che ciò, semmai, dovrebbe indurre ad una “rimeditazione” della struttura dell’AGCom non ad affidare tout court al Ministero tali competenze.
3.3. La (auspicabile) maggiore sensibilità comunitaria dell’Autorità avrebbe forse reso più evidente l’altro palese scostamento tra direttive comunitarie e disciplina nazionale, in materia di concessioni televisive per le trasmissioni via etere terrestre in tecnica analogica.
Com’è noto, il nuovo quadro regolamentare richiede che la fornitura di una qualsiasi rete di comunicazioni elettroniche (e, quindi, anche di una rete di radiodiffusione circolare) possa essere assoggettata esclusivamente ad autorizzazione generale, laddove solo la concessione di diritti d’uso delle frequenze può avvenire con provvedimenti individuali.
Ne consegue che le concessioni per la radiotelevisione analogica via etere terrestre avrebbero dovuto essere già adeguate al nuovo quadro entro il 25 luglio 200320, visto che le concessioni hanno ad oggetto cumulativamente la installazione e l’esercizio della rete e -almeno in linea di principio- l’assegnazione delle frequenze su cui opera la rete. Ai sensi della direttiva autorizzazioni, lo Stato italiano avrebbe potuto eccezionalmente prorogare la validità dei titoli preesistenti, ma non risulta che l’abbia fatto; e, in ogni caso, tale proroga non avrebbe potuto oltrepassare il 25 aprile 2004 e sarebbe stata legittima solo a condizione che tale proroga non ledesse i diritti delle altre imprese, nonché previa motivata informativa alla Commissione (art. 17, co. 2).
Tuttavia il Codice, non soltanto non è intervenuto sulla disciplina dei titoli abilitativi, ma addirittura ha disposto esplicitamente che «[r]estano ferme le norme speciali sulle concessioni ed autorizzazioni preesistenti in materia di diffusione sonora e televisiva» (art. 38, co. 4).
A ciò si aggiunga che la Legge Gasparri prefigura, addirittura, l’ulteriore proroga dei titoli abilitativi già rilasciati: e ciò, sino allo switch-off delle trasmissioni (art. 25, co. 10) e, quindi, ben oltre il luglio del 2005 (data di scadenza natura delle concessioni televisive nazionali).
Ma non è certamente questa, né la sola, né la più grave delle discrepanze tra la normativa interna e quella comunitaria, specie dopo l’approvazione di una legge che -come la Gasparri- finirà con il perpetuare ed anzi rafforzare il carattere duopolistico del nostro sistema radiotelevisivo.