Il premier e la Costituzione violata

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Berlusconi si difende. Dichiara, sproloquia, pretende, ordisce. La soglia dell’inquinamento è, ovviamente, travolta. Un’operazione di igiene si impone. Riguarda i principi e le regole della nostra democrazia, risultanti dalla Costituzione.
L’Italia è una repubblica parlamentare. Lo decise la Costituente del popolo italiano eletta il 2 giugno 1946. Ma quattro anni fa, solo quattro anni fa, il popolo italiano lo ha riconfermato, ribadito inequivocabilmente, ridando nuova forza, e attuale, vivente consenso a questa forma di governo, a questo modello di democrazia. Con referendum costituzionale, a stragrande maggioranza degli elettori, fu respinto il progetto berlusconiano di instaurare il premierato assoluto, la monocrazia (quella per Berlusconi ieri, ancora oggi, e poi … chissà). Lo si dimentica. Lo si rinnega. Dalla destra e anche dai feticisti trasversali della personalizzazione del potere. Ma la volontà popolare fu quella, quello è Nomos repubblicano.
Forma parlamentare di governo (come insegnò uno dei massimi teorici del diritto costituzionale, Burdeau) significa: tre organi per due delle funzioni statali. Per quella legislativa, il Parlamento. Per quella esecutiva, il governo, dipendente però dal Parlamento per essergli collegato e subordinato dal rapporto di fiducia. Con il Capo dello stato come garante sia della stabilità, sia della dinamica del sistema, munito perciò dei poteri necessari per l’una e per l’altra.
In questo quadro netto, chiaro, prescritto, è scoppiata la crisi del governo che si formò a seguito delle elezioni del 2008. A provocarla è stata la frattura determinatasi nella maggioranza, evento non certo infrequente in regime parlamentare. Nel quale regime le crisi si risolvono o con la formazione di un nuovo governo o con lo scioglimento delle Camere del Parlamento, previo ed in virtù dell’esercizio dei poteri del Capo dello stato, organo cui è appunto demandato il compito di risolverle. Accertando cioè la verifica di una delle due ipotesi. Quella che al governo “sfiduciato” possa succedere un altro governo legittimato dalla fiducia espressa dalla maggioranza dissolta o da una diversa maggioranza. Quella della impossibilità di formare una nuova maggioranza parlamentare e della connessa necessità, per il Capo dello stato, di assicurare la dinamica del sistema mediante lo scioglimento delle Camere del Parlamento. In qualsiasi Paese civile la questione si sarebbe posta (e infatti si pone) e sarebbe stata risolta (e infatti si risolve) usando l’uno o l’altro rimedio. In Italia, no.
In Italia, c’è Berlusconi, il figlio incontestabile del revisionismo costituzionale.
Le sue dichiarazioni, i sui intenti sono insieme risibili, irritanti, rivoltanti. Risibili perché pretenderebbe lo scioglimento della sola Camera dei deputati ove è sicuro di non avere la maggioranza. Lo pretenderebbe allo scopo di infliggere una punizione a chi lo sfiducia, come se fosse dovere costituzionale, politico, morale, avere fiducia in lui. Come se potesse configurarsi un valore costituzionale nel preservare la Camera che non lo sfiducia, garantendo ai senatori il prosieguo della legislatura. Ma sopratutto assicurandosi che l’elezione anticipata del Senato non gli riservi il risultato che a Prodi costò la maggioranza al Senato, stante il marchingegno escogitato con la legge elettorale che volle imporre e che fu sciaguratamente promulgata, senza il doveroso rinvio alle Camere per le eclatanti incostituzionalità che conteneva e contiene.
Sono irritanti perché ancora una volta mirano ad insidiare, condizionare, incrinare l’esercizio del potere del Presidente della Repubblica, il garante politico della Costituzione e quindi della nostra democrazia. Al quale soltanto spetta perciò il potere di scioglimento delle Camere, come fin dal 1953 insegnò Guarino, maestro del costituzionalismo repubblicano italiano. Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari è “atto non di parte”, non può neanche essere sospettato di parzialità e deve essere funzionale solo alla dinamica del sistema. Limitato ad uno solo dei rami del Parlamento non potrebbe mai esserlo. Permetterebbe infatti la possibilità che si determini una opposta composizione politica di un ramo rispetto all’altro, in ragione dei mutamenti che intervengono negli orientamenti del corpo elettorale. Una preoccupazione del genere non è neanche immaginabile per chi è disceso in politica per sottrarsi col patrimonio accumulato al rigore della legge penale.
Sono infine rivoltanti le dichiarazioni di Berlusconi perché dimostrano la sua concezione delle istituzioni, della politica, della Repubblica. Tutte, tutte distorte, tutte piegate, asservite al suo miserabile interesse personale. Constatarlo è triste, mortificante. Ma farlo è doveroso. Incita alla lotta.