Il potere di scioglimento delle Camere come atto complesso

EMERGENZA COSTITUZIONALE

Cominciamo dal noto e dall’ovvio. Secondo la nostra Costituzione, nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non viene controfirmato dal Governo, dunque anche il decreto di scioglimento delle Camere. Ciò non comporta però che il Governo possa essere considerato a pieno titolo contitolare del potere di scioglimento. La controfirma, di per sé, individua solo il modo ordinario di esercizio dei poteri presidenziali, nessuno escluso. Non indica invece il ruolo che in concreto possono esercitare i soggetti coinvolti. Dunque, come ha ammesso la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del 2006, è necessario distinguere gli atti del Presidente secondo criteri sostanziali. A volte gli atti sono solo formalmente presidenziali, ma sostanzialmente di altri organi dello Stato, del Governo in particolare. Si pensi ai decreti legge ove la firma del Capo dello Stato non comporta certamente una sua partecipazione diretta al merito dell’atto, bensì è apposta solo a garanzia e controllo dell’attività dell’esecutivo. In altri casi le parti s’invertono e al Governo in sede di controfirma spetta solo certificare la validità dell’atto senza che esso possa entrare nel merito della scelta presidenziale (com’è ad esempio nel caso della nomina dei giudici costituzionali). Vi è, infine, una terza categoria di atti presidenziali: quelli in cui la decisione assunta dal Capo dello Stato è espressione di un concorso di volontà. Così la nomina del Governo ovvero lo scioglimento anticipato delle Camere.
Se questo è il quadro d’insieme e di fatto comunemente accettato in sede di ricostruzione degli atti presidenziali, c’è da dire che appare mal formulata la domanda troppo secca, riproposta con insistenza nel dibattito politico: “Può il Capo dello Stato sciogliere le Camere contro la volontà del Governo?”. Essa tende a non considerare la complessità costituzionale della scelta di interrompere il corso della legislatura, che non può dipendere né dal volere assoluto del Presidente, né può essere impedita in ogni caso dal potere di veto del Governo. Alcuni scioglimenti delle Camere, in passato, hanno provocato vivaci discussioni politiche, ma è vero che sino ad ora essi sono sempre stati concordati con i Governi in carica, perlopiù dimissionari. Dirò di più: anche oggi, la previsione di uno scioglimento contro il Governo in carica appare difficilmente configurabile. Dinanzi al rifiuto del Governo di controfirmare il decreto di scioglimento la crisi politica precipiterebbe e la strada di sollevare un conflitto tra poteri di fronte alla Corte costituzionale non sarebbe, almeno nell’immediato, risolutiva.
Come fare allora per impedire che il Governo utilizzi la controfirma come potere di veto assoluto? La risposta è semplice nella sua formulazione, ben più complessa per la sua realizzazione. Si tratta di determinare le condizioni politiche e istituzionali che rendono necessaria la decisione di sciogliere le Camere.
Quando Napolitano denuncia “l’asprezza raggiunta dai contrasti istituzionali e politici”, invitando tutte le parti a uno sforzo di contenimento delle attuali tensioni, “in assenza del quale sarebbe a rischio la stessa continuità della legislatura”, egli fotografa una situazione di crisi estrema, che non può proseguire. La stessa convocazione di tutti i capigruppo, effettuata senza l’apertura di una crisi di Governo, e dunque non per consultazioni formali, esprime il forte disagio del Capo dello Stato. Se l’attuale situazione dovesse proseguire e i rischi di paralisi istituzionale permanere, si può prevedere che Napolitano possa utilizzare anche in modo più incisivo i propri poteri di stimolo per richiamare alla responsabilità i soggetti politici, non limitandosi più ai soli comunicati, lettere o esternazioni informali, egli potrebbe rivolgersi anche in modo più diretto al Parlamento. Tutto ciò, però, non porterà allo scioglimento delle Camere se il Presidente continuerà a rimanere solo a manifestare l’insopportabilità della crisi istituzionale e politica.
Non dico che non sia sostenuto dalle esangui opposizioni parlamentari (condizione questa necessaria, ma non sufficiente), sono tutti gli altri soggetti che pure partecipano alla formazione della volontà presidenziale ad essere assenti. Lo scioglimento è un atto complesso, in cui non concorrono solo due volontà, quella del Capo dello Stato e quella del Governo (come pure ritiene parte della dottrina, quando evidenzia il carattere duumvirale, anziché complesso dello scioglimento), bensì vi partecipano un insieme di soggetti, dai presidenti delle Camere (i quali devono essere consultati), ai gruppi parlamentari (decisivi nel rapporto con il Governo e la maggioranza), ai singoli parlamentari (i quali rappresentano ciascuno l’intera nazione ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato). Credo che non possa ritenersi estranea neppure la società civile (il popolo, che esercita la sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione). A questi spetta creare le condizioni per superare l’attuale fase di emergenza costituzionale. Entro una dialettica anche aspra, in cui si garantisca il rispetto dei ruoli di ciascuno: delle istituzioni, delle maggioranze e delle opposizioni, delle singole rappresentanze. Ma che almeno si mostri una chiara comprensione delle ragioni che sostengono le fondate preoccupazioni presidenziali.
Sino a che il Capo dello Stato sarà lasciato solo a salvaguardia della legalità costituzionale, a combattere contro le ormai insopportabili tensioni che mettono a rischio non solo l’attuale legislatura, ma la stabilità costituzionale nel suo complesso, non credo possano auspicarsi forzature istituzionali. Quando – e se – le parti si invertiranno, e il Governo dovesse trovarsi isolato a difesa di una impossibile continuità della legislatura, allora si riaprirà la questione dello scioglimento e potrà farsi valere la pretesa che nessuno è titolare di un potere di veto. È in questa particolare situazione politica e sociale che quella controfirma dovrà essere apposta oppure un altro Governo si formerà.
Massimo D’Alema ha “auspicato” che il Presidente utilizzi il potere di scioglimento, meglio sarebbe “attivarsi” affinché ciò possa avvenire. Nessuno è senza colpa se la democrazia italiana deperisce. Un appello ai “responsabili” di ogni partito, a ogni parlamentare, a ciascuno di noi deve essere rivolto: è il momento di far sentire la propria voce. Un Presidente – dal Colle – ascolta, l’altro – al Governo – ascolterà.