Il Consiglio Superiore di Sanità esprime, su richiesta del Ministro della Salute, il seguente parere tecnico sul caso del Sig. Piergiorgio Welby: il trattamento sostitutivo della funzione ventilatoria mediante ventilazione meccanica, nel caso specifico, non configura, allo stato attuale, il profilo dell’accanimento terapeutico.
Il CSS, in ragione della complessità dell’individuazione dei confini dell’accanimento terapeutico, invita a dettare, in tempi brevi, specifiche linee-guida di riferimento al fine di ricondurre l’accanimento terapeutico ad una sfera di principi e valori definiti e condivisi, così da rendere definiti gli estremi di liceità entro i quali deve necessariamente muoversi la cura del paziente.
MINISTERO DELLA SALUTE
CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITA’
SESSIONE XLVI
Seduta del 20 dicembre 2006
IL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITA’
Assemblea Generale
Vista la richiesta del Ministro della Salute relativa al quesito:”se nel trattamento cui è sottoposto attualmente il Signor Welby non possa ravvisarsi la fattispecie del c.d. accanimento terapeutico”
Preso atto:– dell’appello del Signor Piergiorgio Welby al Presidente della Repubblica (all. 1)
– della risposta del Presidente della Repubblica (all. 2)
– del ricorso d’urgenza presso il Tribunale civile di Roma, volto ad ottenere il distacco del respiratore artificiale sotto sedazione terminale (all. 3)
– del parere della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma circal’ammissibilità del ricorso del Signor Welby, depositato in data 11 Dicembre 2006 (all. 4)
– ordinanza del Tribunale civile di Roma, depositata in data 16 dicembre 2006 (all. 5)
Considerato che il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore di Sanità, nella seduta del 13 dicembre u.s., ha sottolineato quanto segue:
“Davanti alla sofferenza che la richiesta del Sig. Welby manifesta, la prima reazione che avvertiamo in noi è quella di un profondo rispetto, nutrito dalla consapevolezza che la coscienza di ogni singola persona è il sacrario della sua infinita dignità, che a nessuno è lecito profanare. La percezione del dolore e la scelta di come gestirlo si collocano in questo abisso della coscienza personale, che nessun giudizio sommario può presumere di banalizzare. La seconda consapevolezza di cui vogliamo farci voce riguarda il vincolo di prossimità che ci unisce tutti in quanto esseri umani e che ci fa sentire coinvolti anche emotivamente nel dramma reso pubblico dalla testimonianza di Welby: non solo perché si tratta di un evento che potrebbe capitare a chiunque di noi, ma anche e specialmente perché la sofferenza degli altri non è mai estranea o indifferente a chi voglia sentirsi veramente umano. La “pietas” che unisce gli umani nasce precisamente dalla coscienza della comune, infinita fragilità, e dal riconoscere nell’altrui dolore un appello al coinvolgimento di sé, per accompagnare, lenire e condividere. Infine, fra insondabile dignità del singolo e profondità della relazione che tutti ci unisce, sta la consapevolezza di dover sempre cercare una mediazione, che eviti di estrapolare da un caso una legge generale e d’altra parte non presuma di ridurre la singolarità della sofferenza a schemi semplificanti. Su questa via di non facile mediazione, che tiene conto di tutti e di ciascuno, si muovono anche le nostre riflessioni, che non vogliono neanche essere ripetizione arida di principi astratti. Esse vorrebbero offrirsi come un appello a considerare tutti e insieme gli elementi in discussione, tutte e insieme le persone concrete, che sono o potranno essere toccate da questa sfida, nella molteplicità dei suoi profili.
Ed è in quanto persone umane che desideriamo qui pronunciarci, prima ancora che in nome di competenze che riteniamo comunque debbano essere poste al servizio dell’uomo.”
Tenuto conto che nell’audizione effettuata dal Comitato di Presidenza del Consiglio Superire di Sanità con lo specialista curante del Sig. Welby, dottor Federico Sciarra, particolarmente esperto nel settore dell’assistenza a pazienti affetti da distrofia muscolare, sono emersi i seguenti elementi (n.d.r.:peraltro alcuni dei quali già ampiamente noti e diffusi):
– il paziente è assistito in ambiente domiciliare;
– l’idratazione e l’alimentazione, quest’ultima circoscritta ad alimenti liquidi e semiliquidi, avvengono ancora, sia pure con difficoltà, per via orale (essendo il
paziente ancora in grado di deglutire), con l’amorevole aiuto di terzi;
– …omissis…;
– non sono in corso specifici trattamenti psicoterapici né farmacologici, in particolare, con antidepressivi e analgesici, eccettuata l’assunzione di lorazepam, come ansiolitico;
– l’unico trattamento continuativo in atto, mal tollerato dal paziente, ma indispensabile quoad vitam, è la ventilazione meccanica, sostitutiva della fisiologica funzione ventilatoria, gravemente compromessa.
In particolare, la ventilazione meccanica risulta pienamente efficace nel garantire al paziente:
– adeguata funzionalità cardiovascolare e renale;
– funzioni cognitive integre, essendo il paziente lucido e ben orientato;
– buona capacità di elaborazione progettuale, attestata dalla consequenzialità con la quale è in grado di gestire la comunicazione, come testimoniato, ad esempio, dai contenuti della Lettera aperta al Presidente della Repubblica (Allegato).
Sentite le risultanze dei lavori del Comitato di Presidenza del 19 dicembre u.s. relatore Il Presidente dello stesso, Professor Franco Cuccurullo.
Premesso
– che il Sig, Piergiorgio Welby soffre di una grave forma di distrofia muscolare progressiva di incerta classificazione (a detta dello specialista curante, si tratterebbe di una distrofia facio-scapolo-omerale) per la quale, allo stato attuale dell’arte medica, non è disponibile alcuna specifica terapia validata in GCP(Good Clinical Practice) e neppure alcun protocollo sperimentale che lasci intravedere probabilità di successo. Lo stadio patologico in cui versa il paziente è la fase avanzata della malattia che, negli ultimi mesi, ha quasi completamente compromesso la residua funzione motoria del paziente, costringendolo a letto per tutto l’arco della giornata;
– che è rilevante che il paziente non assuma farmaci, se non per terapie sintomatiche occasionali, tra le quali il trattamento estemporaneo con benzodiazepine;
– che è ugualmente rilevante che, nonostante l’indiscutibile gravità della malattia, la situazione clinica attuale sia relativamente stabile e tale da non lasciarne intravedere la conclusione temporale.
Considerato
– che nell’accezione più accreditata, per accanimento terapeutico si intende la somministrazione ostinata di trattamenti sanitari in eccesso rispetto ai risultati ottenibili e non in grado, comunque, di assicurare al paziente una più elevata qualità della vita residua, in situazioni in cui la morte si preannuncia imminente e inevitabile (Santosuosso A., Valutazione medica e autonomia del paziente: accanimento terapeutico e eutanasia, in Medicina e Diritto, a cura di Mauro Barni e Amedeo Santosuosso, Ed. Giuffrè, 1995; Iadecola G. Eutanasia. Profili giuridici e medico-legali. Liviana Editrice, Padova 1991));
– che tale accezione non si fonda su elementi clinici e scientifici rigorosamente oggettivi, né sull’evidenza codificata di netti limiti di demarcazione tra ciò che è
sicuramente auspicabile e vantaggioso per il paziente e ciò che sicuramente non lo è;
– che nel paziente cosciente, con funzioni intellettive integre, capace quindi di esprimere una volontà attuale (ma anche nell’ambito delle c.d. “dichiarazioni anticipate di trattamento”), il concetto di accanimento si interseca con la soggettività percettiva e la volontà dello stesso, che può decidere, in ogni istante, di non intraprendere o di interrompere un trattamento, anche in contrasto con l’indirizzo suggerito in scienza e coscienza dal medico.
Rilevato che questa componente di complessità può rendere particolarmente problematica l’individuazione dei confini dell’accanimento terapeutico, per il sussistere di una gamma di situazioni intermedie difficilmente classificabili nell’eterogeneo ventaglio di opzioni comprese tra due estremi sicuramente condivisibili:
– il trattamento efficace ma rifiutato dal paziente, perché mal tollerato (ad es. la somministrazione di antibiotici, efficace e vantaggiosa per un paziente affetto da malattia infettiva grave, ma agli stessi sensibile),
– il trattamento inefficace e rifiutato dal paziente terminale (ad es. un ulteriore ciclo di chemioterapia, sicuramente non efficace, ne vantaggioso per un paziente
affetto da malattia neoplastica in fase terminale, nell’imminenza ormai indifferibile dell’esito negativo finale).
Ciò ancor più in ragione della ben nota individualità e specificità di ciascun caso clinico che giunge all’osservazione del medico, che rende non solo sconsigliabile, ma anche potenzialmente foriera di tragiche conseguenze, l’adozione e l’applicazione automatica di stereotipi clinici di riferimento.
Rilevato, altresì che queste perplessità interpretative emergono chiaramente anche nel provvedimento cautelare del Tribunale civile di Roma, depositato in data 16 dicembre 2006, ove si dichiara inammissibile il ricorso del Signor Piergiorgio Welby e si sottolinea, tra l’altro, l’attuale assenza di linee guida di natura tecnica ed empirica per orientare il comportamento dei medici.
Tenuto conto che se è vero che il rifiuto del malato di essere curato – quando non interferisce sul bene della salute collettiva – deve essere considerato e rispettato dal medico, che non può fare altro che prendere atto della volontà del paziente e ossequiarla, è parimenti vero che è preciso dovere professionale e morale del medico “prendersi cura” del paziente in ogni circostanza o condizione in cui quest’ultimo si trovi. Egli rende così fattiva, attraverso la sua competente attività clinica e compassionevole umanità, la “cura” che l’intera società è chiamata ad esercitare verso i suoi membri colpiti dalla sofferenza e dalla malattia: una dimensione primaria ed ineludibile della giustizia e della solidarietà sociale.
Considerato
– che il trattamento medico e infermieristico, prestato al Signor Welby come a qualsiasi altro paziente, consiste, propriamente parlando, sia in termini medici, che etici, in una cura. La cura è tutto quello di cui ha bisogno il malato in tutte le fasi della sua vita, anche senza guarire e che – da solo – non può darsi; per portare alcuni esempi, ciò che dà risposta ai suoi bisogni elementari, ciò che elimina o allevia il dolore fisico e la sofferenza psichica, consente al paziente una migliore vita spirituale, cognitiva e comportamentale, favorisce la comunicazione con chi gli è accanto;
– che se non vi è alcun dubbio sul diritto al rifiuto delle cure da parte del paziente capace di autodeterminarsi, non pochi interrogativi sorgono per l’interruzione delle terapie di sostegno alle funzioni vitali, la cui sospensione determini sic et simpliciter la terminazione biologica della vita;
– che sul piano tecnico-professionale ed etico-deontologico nessuna procedura terapeutica va di per sé ritenuta una forma di accanimento terapeutico, compresi i trattamenti che garantiscono meccanicamente il sostegno alle funzioni vitali ventilatorie (come nel caso del Signor Welby) e cardiocircolatorie.
Ritenuto
– che nessun supporto meccanico alle funzioni vitali può garantire il mantenimento in vita, in assenza di un complesso sistema di presidi terapeutici e assistenziali, dalla nutrizione, alla cura delle complicanze, al mantenimento degli equilibri metabolici, emodinamici, al contenimento del dolore, alla cura delle relazioni affettive lacerate, etc.;
– che astenersi dall’accanimento terapeutico non significa abbandonare ogni progetto di cura per il paziente, bensì progettarne e metterne in campo altri che abbraccino tutto il sistema di cure e non una singola procedura.
Ritenuto altresì– che un punto di equilibrio sulle forti tensioni che si vanno accumulando sul tema specifico dell’interruzione delle procedure vitali, possa essere quello di farne,
limitatamente a poche di queste (ad esempio, ventilazione assistita e supporto elettromeccanico alla circolazione), oggetto di una specifica pronunzia di un organismo che comprenda competenze tecnico-professionali, etiche,
deontologiche e giuridiche;
– che questa soluzione potrebbe ben rappresentare il bilanciamento, limitatamente a questo campo molto ristretto, tra il rispetto delle volontà individuali e una cornice di principi etici condivisi, che non può né deve venir meno nelle decisioni di accompagnamento alla fine vita.
ESPRIME PARERE
a larga maggioranza che, per tutti i motivi sopraccitati, nel caso specifico del Signor Piergiorgio Welby, il trattamento sostitutivo della funzione ventilatoria mediante ventilazione meccanica non configuri, allo stato attuale, il profilo dell’accanimento terapeutico.
RITIENE OPPORTUNO
che si proceda in tempi rapidi all’emanazione di specifiche Linee guida di riferimento per ricondurre l’accanimento terapeutico ad una sfera di principi e valori definiti e condivisi, delineandone gli estremi di liceità entro i quali deve necessariamente muoversi la cura del paziente.
Il Segretario generale del CSS
(Dott.ssa Daniela Rodorigo)
Il Presidente del CSS
(Prof. Franco Cuccurullo)