Alla fine, il misfatto si compie. Il governo con decreto-legge modifica le regole in corsa, e stravolge la competizione elettorale a vantaggio della propria parte.
Questo infatti è accaduto. È del tutto inconsistente lo schermo di una norma che si autodefinisce interpretativa. Anzitutto, a nulla vale argomentare che la decisione è lasciata ai giudici. Il problema non è chi deciderà applicando la norma, ma quale norma si dovrà applicare. Perché la norma sia davvero interpretativa, bisogna supporre che in una medesima disposizione preesistente in realtà convivano più potenzialità normative, e che il legislatore scelga tra i possibili e molteplici significati uno compiutamente già presente. Non a caso, una norma interpretativa viene a valle di contrasti giurisprudenziali, di dubbi applicativi, di incertezze evidenziate dall’esperienza. Nulla di questo è alla base dei pasticci degli ultimi giorni. Tutti assumono che vi sia stato pressapochismo da parte dei presentatori, o peggio. E allora cosa dobbiamo mai interpretare?
Emerge anche un dubbio sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza ex art. 77 Cost. È in corso il procedimento elettorale. Sono state assunte decisioni, sono in atto impugnative davanti ai giudici competenti. Nessuno può sapere se sarà adottata una interpretazione o un’altra. E allora dov’è la necessità e l’urgenza di definire ex lege l’interpretazione corretta? Non è invece che si anticipa la certezza di una interpretazione sfavorevole? Ma in tal caso abbiamo un indizio evidente che non si tratta di norma interpretativa volta a chiarire, ma di norma nuova e modificativa di quella esistente.
Non si fermano qui le forzature e violazioni della Costituzione. Anzitutto, in materia costituzionale ed elettorale il decreto-legge è precluso. Lo stabilisce l’art. 72, comma 4, della Costituzione. È già dubbio che con decreto-legge si possa metter mano a marginali tecnicalità della competizione elettorale. Ma di sicuro non si può ricorrere al decreto per fissare l’interpretazione delle regole sulla presentazione delle liste. In nessun modo questa può considerarsi una marginale tecnicalità. Inevitabilmente, si incide sul voto, e questo senza dubbio preclude il ricorso al decreto. Dunque, la stessa definizione che il governo dà del proprio intervento in chiave di norma interpretativa evidenzia di per sé il contrasto con l’art. 72, quarto comma, della Costituzione.
Decisivo è poi che in materia elettorale la forma è sostanza. Il principio di fondo della competizione elettorale è la par condicio delle forze in campo. E il primo indispensabile presupposto perché tale par condicio vi sia è il rispetto assoluto delle regole. Cambiarle in corsa comporta inevitabilmente un vantaggio indebito per l’uno, un danno ingiusto per l’altro. E di sicuro incide – poco o molto non importa – sull’esito. Questo viola molteplici norme della Costituzione. Non solo, com’è ovvio, gli artt. 2 e 3, ma soprattutto l’art. 48 Cost., perché il voto dell’elettore è davvero eguale solo se l’offerta politica in ordine alla quale il diritto si esercita è stata avanzata nel pieno rispetto della par condicio. Ed anche l’art. 51 Cost., perché viene distorta la condizione di parità nell’accesso alla carica elettiva da parte dei candidati. Ancor più l’art. 49, perché si nega il diritto dei cittadini a partecipare “con metodo democratico” alla politica nazionale. Proprio in quel metodo troviamo un connotato indispensabile della partecipazione. Ed è per realizzare anzitutto il fine ultimo dell’art. 49 Cost. che si presentano liste e si compete per il consenso. Ma dov’è il metodo democratico se si usa la clava del decreto-legge per ribattere la palla nell’altra metà del campo? Cosa c’è di democratico se si ricorre alla forza della legge per cambiare le regole a proprio vantaggio, per cancellare gli effetti negativi dei propri errori politici, della propria incapacità di sedare la rissa di tutti contro tutti e formare per tempo le liste secondo quanto prescritto?
Un segnale drammaticamente negativo. Che intanto getta nella precarietà il risultato elettorale, perché rimarrà probabilmente possibile far valere i vizi davanti alla Corte costituzionale. Ma forse per un costituzionalista conta ancor più la prova – e non è certo la prima – che cede uno dei pilastri della Costituzione come armatura dei diritti e delle libertà. Non a caso nella Parte I della Costituzione è centrale la riserva di legge. Non a caso troviamo diritti e libertà presidiati da quella riserva. La ragione la vediamo nella legge come massima espressione di partecipazione democratica. Ma nella confusione politica e istituzionale del nostro tempo e nel bipolarismo coatto con la gruccia del maggioritario in cui viviamo la legge esprime i numeri, ma non la sostanza di una partecipazione democratica. Nella legge non ci siamo tutti, ma solo quelli che hanno i numeri utili nell’assemblea elettiva, magari per consenso gonfiato da un premio di maggioranza. Ancor più quando si tratta di decreti-legge.
Pensavamo di aver toccato il fondo con escort, cacicchi, amici, mogli o segretari particolari in corsa per un seggio. Non sapevamo ancora degli spuntini. Come anche avevamo già sentito di leggi-truffa in materia elettorale. Da oggi abbiamo anche il decreto-truffa.