Ci possiamo dolere della nomina di Romani a ministro allo sviluppo economico?
E con chi?
Provo a rispondere alle domande da comune cittadina e da donna di legge.
Il cittadino assiste impotente all’occupazione d’imperio della cosa pubblica: capitani d’azienda, promossi a uomini di governo per prossimità al loro datore di lavoro, inclini ad assicurare un potere pubblico orientato ai suoi interessi privati piuttosto che al bene comune.
Non bisogna essere una maga per prevedere che Romani incarnerà questo modello, avendolo già dimostrato nei limiti in cui il suo status di sottosegretario con delega alle comunicazioni glielo consentiva.
È suo il rallentamento dell’approdo di Sky sul digitale, è suo l’annacquamento della sentenza della Corte di Giustizia nella vertenza tra Mediaset/Europa 7, è suo il congelamento del piano di investimenti nella banda larga, è suo il tentativo, non riuscito, di scippare la rete a Telecom per darla al suo datore di lavoro e tanti altri affaires: ultimo, ma non di minore rilevanza, l’autorizzazione a Mediaset per avviare in anticipo su tutti gli altri concorrenti la sperimentazione della Tv in Alta Definizione su frequenze, che non si potevano toccare in punto di diritto perché non ancora assegnate dall’Autorità per le garanzie. Diciamo che ci sono tutte le premesse per un governo dell’etere e delle reti a uso ancora più domestico di quanto non lo sia già.
Quindi, è naturale che il cittadino percepisca un insanabile conflitto d’interessi rispetto a Romani. Qui però il contrasto non coinvolge interessi economici propri del neo Ministro, è quello che un giurista definirebbe un confitto per interposta persona. Romani pertanto è solo un tramite per realizzare gli interessi aziendali del suo datore, incompatibili con l’azione oggettiva di un Esecutivo, alla quale pur sarebbe tenuto per vincolo costituzionale.
Quindi, la risposta alla prima domanda è affermativa.
Vediamo ora se esiste un qualcuno al quale rivolgere le nostre lamentele.
All’Antitrust stavolta direi di no, perché è la legge Frattini (L. 215/04) a non prevedere un conflitto d’interessi per interposta persona, e siccome le norme limitative delle libertà fondamentali sono passibili solo di interpretazione restrittiva, tenderei a escludere che l’Antitrust inauguri una lettura estensiva delle stesse. Il suo precedente operato è testimonianza di un’interpretazione strettamente letterale della legge 215; infatti, in più occasioni (si vedano le sue due ultime Relazioni semestrali sul conflitto d’interessi, ad esempio, quella del giugno 2009) l’Autorità ha escluso il conflitto in capo al premier, benché colpevole di dichiarazioni oggettivamente incompatibili con l’interesse di governo in ragione dell’assenza del requisito formale dell’atto. Si pensi a quando il premier invitò pubblicamente gli imprenditori a non investire in pubblicità su testate a lui ostili, o ancora quando con ripetuti contatti con i vertici Rai si accordò per una non belligeranza tra il suo gruppo e la Tv di Stato, condotta questa, identificabile in un patto di non concorrenza tra imprese (art. 2 L. 287/90), le quali invece dovrebbero essere in reciproca competizione. Tutte dichiarazioni, un pour parler, dunque, non atti, i soli aggredibili dalla legge.
Quindi, almeno in questo caso verso l’Antitrust nessuna recriminazione.
E verso il Premier?
Direi che non si può accusare un uomo per aver reclutato personale di governo per contiguità alla cultura aziendale dell’impresa d’informazione grazie al vuoto pneumatico lasciato dalla dissoluzione dei partiti. Nel momento in cui non si diventa più ministri in virtù di un selettivo ed estenuante cursus honorum nel partito di appartenenza, cosa impedisce al premier di scegliere la sua squadra di governo in forza di comprovata fedeltà ai propri interessi aziendali?
Infine, potremmo rivolgere le nostre recriminazioni contro la legge sul conflitto di interessi perché protettiva del premier–imprenditore? Se così facessimo, dimenticheremmo però che l’autore di quelle norme fu proprio la parte politica che aveva bisogno di essere protetta.
Quindi, ci dobbiamo tenere le nostre recriminazioni, confidando in una possibile sostituzione del Premier con i suoi intoccabili conflitti d’interessi, secondo quanto la corretta e fisiologica dinamica di un governo parlamentare ancora consente.
Magra consolazione, ma pur sempre una consolazione.