Lo scontro istituzionale che vede il Presidente del Consiglio contrapporsi al potere giudiziario deve essere fermato. Un appello alla responsabilità deve essere rivolto a tutte le forze politiche e sociali.
Al Capo dello Stato, nella sua qualità di tutore delle regole del gioco e di garante degli equilibri costituzionali, spetta l’arduo compito di intervenire nelle forme proprie che il suo alto magistero impone. Ogni Presiedente della Repubblica – ciascuno secondo il suo temperamento e nelle diverse condizioni storiche nelle quali ha operato – ha sempre utilizzato i suoi strumenti di “intermediazione politica”, di “sollecitazione e stimolo”, di “controllo e verifica” che la costituzione gli fornisce per ricondurre gli organi politici nell’alveo delle regole costituzionalmente imposte e richiamare tutti i soggetti istituzionali al rispetto reciproco. Luigi Einaudi scriveva lettere riservate per svolgere la sua funzione di guardiano delle regole, Francesco Cossiga “esternava”, in modo a volte smisurato e in forme eccessivamente disinvolte. Al nostro attuale Presidente compete scegliere modi e forme per richiamare i soggetti politici che oggi hanno sferrato l’attacco al potere della magistratura: auspichiamo siano interventi che, nell’ambito rigoroso dei propri poteri, risultino idonei a superare l’attuale situazione di crisi costituzionale.
A tutte le forze politiche – quale che sia la loro collocazione politico-parlamentare – spetta mostrare di essere componenti responsabili. Nessuno può avere interesse a mettere in crisi il sistema costituzionale e scatenare una guerra tra poteri dagli esiti imprevedibili, tali da mettere a rischio la sopravvivenza del sistema politico complessivamente inteso. Se c’è un caso in cui è giusto invocare l’unità di tutte le forze politiche, questo è quando si vuole mettere in discussione l’equilibrio del sistema costituzionale, quando si vogliono scatenare conflitti tra le istituzioni. In questi momenti il “patriottismo costituzionale” e la salvezza della repubblica (salus publica) dovrebbero imporre a tutti i soggetti responsabili di far fronte comune.
Alle forze dell’attuale maggioranza politica deve essere chiesto un impegno particolare, che esse dovrebbero sentire come decisivo per poter legittimamente proseguire la loro opera di governo. Non può infatti immaginarsi di potere svolgere la propria opera di riforma del sistema, di definizione del proprio indirizzo politico costituzionale, in una situazione di scontro tra poteri. Riformare la costituzione in articoli fondamentali che riguardano i rapporti economici, modificare la forma di Stato in base ad uno schema federalistico: come può pensare l’attuale maggioranza di conseguire questi così ambiziosi traguardi in un clima di scontro civile? Persino dal loro punto di vista non può sfuggire il fatto che l’ostacolo maggiore non viene tanto da un’opposizione (ahimé) debole e confusa, ma dell’irrequietezza del loro leader.
Alla società civile, nell’attuale fase di tensione istituzionale, spetta il compito più gravoso e delicato: vigilare. Rivendicando, nelle forme che la costituzione garantisce, il proprio ruolo di soggetto attivo della rappresentanza e di partecipazione alle decisioni politiche. Un compito che deve essere sostenuto soprattutto se e quando queste decisioni mettono a rischio la stabilità costituzionale e l’equilibrio tra i poteri.