Primo Round
Eravamo convinti che il diritto alla libera informazione prevalesse sul diritto allo sfruttamento dell’opera d’ingegno.
Ritenevamo che le regole sulle libertà fondamentali fossero riservate alla legge.
Confidavamo che le decisioni contro un soggetto non potessero essere prese senza prima sentirlo.
Ritenevamo che l’affidamento in esclusiva di una materia litigiosa al potere giudiziario impedisse l’intervento di ogni altro potere.
Certezze giuridiche tutt’ora corrispondenti a regole costituzionali scritte e non, ma da ultimo indebolite dal D.lgs. 44/2010 e dai Lineamenti di provvedimento a tutela del diritto d’autore on line dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, All. B alla Delibera 668/10/CONS).
Esaminiamole una per volta.
1 – La Costituzione ha distribuito secondo un ordine gerarchico i diritti fondamentali e le libertà economiche, ammettendo in caso di conflitto il sacrificio di queste ultime. Decreto e Lineamenti, invece, allineano il diritto di informare di un sito web con la legittima pretesa allo sfruttamento economico dell’autore di un film, per poi affidare all’Autorità il compito di ordinare la rimozione del materiale illecito o disporre l’inaccessibilità del sito, interamente pirata. Quindi, l’interesse per Costituzione prioritario è stato retrocesso in seconda linea, e quello che invece doveva essere sacrificato è stato protetto.
C’è un’alternativa a questa ipotesi regolatoria dell’Autorità? Potremmo pensare a ristorare il pregiudizio patrimoniale del titolare del diritto d’autore con una misura economica, compensativa del danno da lui subito e maggiorata con un quid aggiuntivo in funzione punitiva del trasgressore. In tal modo senza sacrificare il diritto d’autore si manterrebbero integri tanto il diritto di parola dell’impresa di comunicazione quanto quello di noi utenti di acquisire informazioni in rete, cioè rispettivamente l’aspetto attivo e passivo della stessa libertà consegnata nell’art. 21 Cost. Infatti il Digital Millenium Copyright Act (Digital millennium copyright act, Pub. L. No. 105-304, 112 Stat. 2860 (Oct. 28, 1998), promosso, almeno a parole, dai Lineamenti a loro riferimento, prevede proprio la sanzione pecuniaria in prima battuta, indicando quella ripristinatoria come estrema ratio.
2. Chiariamo i valori in gioco: da un lato, il diritto allo sfruttamento economico dell’opera d’ingegno, espressione della più ampia libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.; dall’altro, il diritto fondamentale alla libera informazione del sito web o del fornitore di servizi media audiovisivi, oppure quello alla segretezza della comunicazione intersoggettiva, nel caso in cui la violazione del diritto d’autore si consumi all’interno di una comunità circoscritta di utenti (Facebook et alii) e non interessi la collettività indifferenziata delle persone fisiche e non. Quindi, entrambi i valori antagonisti al copy right sono libertà fondamentali, come tali presidiate dalla garanzia della riserva assoluta di legge (artt. 21 e 15 Cost.), la quale impone un inderogabile ordine di intervento tra legge e regolamento. Prima parla la legge, che non si dovrà limitare a un mero conferimento del potere normativo all’Autorità, dovendolo specificare in oggetto, soggetti, presupposti, limiti, nonché completare con una disciplina immediatamente conformativa del rapporto intersoggettivo. Esaurito il compito del legislatore, la parola normativa passerà all’Autorità, che dovrà chiudere con regolazione di dettaglio il disegno già compiuto a livello primario.
Il nostro Decreto 44 è affetto da una grave incostituzionalità perché assomiglia di più a un “colabrodo” che non a una legge di sistema sul copy right in Internet.
Mi si potrebbe facilmente obiettare che secondo autorevole dottrina le libertà fondamentali godano della più lieve protezione offerta dalla riserva relativa di legge, la quale si accontenterebbe che il legislatore dettasse le linee guida della futura disciplina normativa, cioè che si limitasse a orientare il potere secondario verso precisi fini da lui prestabiliti. In questa seconda ipotesi, pur dilatandosi gli spazi per il potere secondario, questo non si potrebbe però spingere fino a definire ex se la misura di composizione del conflitto tra i valori in gioco, perché la massima realizzazione possibili degli opposti è un compito proprio del legislatore, non delegabile al potere secondario, pena la violazione del principio di gerarchia, la creazione di una fonte sostanzialmente primaria e con essa l’elusione della responsabilità politica.
E il fatto che fino a oggi il legislatore abbia omesso di compiere il suo dovere e che di contro le Autorità abbiano occupato il vuoto di potere lasciato dal primo, non rende conforme a Costituzione tale sequenza di atti normativi, pure rilevato da tempo da un’esigua parte della dottrina.
Vediamo cosa è accaduto con la prima versione della proposta di regolamento dell’A.G.Com. In assenza di indicazioni puntuali del legislatore, l’Autorità se le è date, come appunto recita il nome dell’atto “Lineamenti”, e poi le ha tradotte in disciplina precettiva del rapporto tra il titolare del copy right e i soggetti antagonisti, siti web, fornitori di contenuti audiovisivi e internet service provider (da ora con l’acronimo ISP).
Peraltro, l’Autorità si è anche dimenticata che la violazione del copy right può essere giustificata da esigenze connesse all’esercizio di altro fondamentale diritto: quello di cronaca, anch’esso qui sacrificato sempre in nome della pretesa lucrativa dell’autore dell’opera d’ingegno.
Quindi, si può affermare “niente di nuovo sotto il cielo”? La consueta sostituzione di ruoli tra Autorità iperattiva e decisore politico indolente, di cui si è già detto prima? Ritengo proprio di no. La novità c’è e non è da poco, essa si risolve nel superamento dell’ambito competenziale disegnato dalla legge, vizio quest’ultimo quasi sconosciuto agli atti normativi di un’Autorità Indipendente, perché tra Parlamento e Autorità vigeva la tacita regola, che in presenza di un legislatore avaro di indicazioni, le Autorità si impegnavano almeno a rispettare quelle poche prescrizioni imposte loro dalla fonte primaria.
Con questa proposta si compromette, non la sola la riserva di legge, ma anche il principio di gerarchia tra le fonti del diritto, perché l’Autorità, in un delirio di onnipotenza, regolamenta anche uno spazio che non le era stato affatto assegnato, anzi direi che le era stato implicitamente escluso dal Decreto 44 (art. 6). Faccio riferimento al dovere di vigilanza successiva imposto nella prima proposta di regolamento agli ISP, i quali ai sensi del Decreto non sono i destinatari delle sue norme, rivolte esclusivamente ai fornitori di contenuti audiovisivi. Io leggo in questa proposta una escalation di illegittimità, che dal soggetto destinatario del suo potere normativo si comunicano anche all’oggetto del comportamento imposto. L’ISP, nel momento in cui riceve la notifica circostanziata di violazione del copy right, dopo un sommario accertamento della sua fondatezza, deve rimuovere il contenuto illecito, diversamente diventa corresponsabile della violazione del diritto d’autore. L’Autorità nella previsione di questo dovere di pulizia del sito si dimentica anche del D.lgs. 70/2003 (art.17), che, come la Direttiva 2000/31/CE voleva, imponeva all’ISP, reso edotto di una violazione in rete, i soli obblighi collaborativi verso i giudici o altra autorità, consistenti nell’informarli e, solo in caso di ordine impartitogli da questi ultimi, di darvi esecuzione, e quindi, se del caso, anche di rimuovere i contenuti illeciti. La prima versione del regolamento, in contrasto col principio comunitario e nazionale di esenzione generalizzata di responsabilità a favore degli ISP, rende i providers giudici di prima istanza sulla querelle.
In un solo colpo l’Autorità ha commesso almeno tre illegittimità: ha violato il principio di gerarchia, ledendo la norma primaria attributiva del potere (art.6 del Decreto 44/10); ha concorso con detto Decreto a svuotare la riserva di legge, divenendo al tempo stesso legge e regolamento di se stessa; e, infine, ha ignorato la riserva di giurisdizione – non solo per quanto dirò al punto 4 – affidando la prima verifica sulla fondatezza della lite addirittura a un soggetto privato, l’ISP.
3 – La regola del contraddittorio, che dovrebbe assistere ogni procedura definitoria della lite tanto se decisa da un giudice che da un’autorità amministrativa, salta perché i Lineamenti, pur generosi nel minuzioso disegno del procedimento paragiurisdizionale dinanzi all’Autorità, dimenticano di chiamare a controbattere proprio il soggetto che ha caricato il materiale presuntivamente illecito. Con buona pace del due process di stampo americano, la nostra autorità invece, deciderà inaudita altera parte.
4 – Infine, la riserva di giurisdizione posta in Costituzione per le libertà fondamentali è disattesa dal decreto che rimette la vertenza all’Autorità. Anche a voler intendere il rimedio amministrativo una via non preclusiva del trasferimento della lite in tribunale, tale addizione di mezzi è compatibile con la riserva di giurisdizione? Se riserva significa affidamento in esclusiva al giudice della decisione su A, B e C, su quei punti nessun altro potrà interloquire, e un eventuale cumulo dovrà necessariamente partire da D.
Riserva e cumulo sono in un rapporto di incompatibilità reciproca. Né il divieto appare superabile con l’argomento che il privato con la scelta del rimedio amministrativo implicitamente rinuncia alla riserva. Questa protegge non un bene individuale, e, come tale, disponibile, ma il valore oggettivo delle libertà fondamentali. Connotando la forma di Stato, le libertà ne sono attributi ineliminabili, intangibili nel loro nocciolo duro anche dalla volontà normativa di revisione costituzionale o sovranazionale, e limitabili solo su decisione motivata dell’autorità giudiziaria alle condizioni poste dalla legge.
Ci sono ordinamenti, come quello statunitense o francese, che, senza riconoscere esplicitamente in Costituzione la riserva di giurisdizione, hanno affermato – quello francese a seguito di una pronuncia del Conseil Constitutionnel (Conseil Constitutionnel, Décision n° 2009-580 DC du 10 juin 2009) – il monopolio del giudice sul complesso intreccio tra libertà di parola in internet e diritto d’autore. Noi, che disponiamo di una privativa costituzionalmente dettata, preferiamo cederla contro un provvedimento amministrativo di una Autorità indipendente, la quale, per posizione istituzionale e regime giuridico dei suoi atti, non appartiene però al potere giudiziario. Siamo dinanzi a una irragionevolezza, o piuttosto a un frammento di un disegno ragionato tendente a indebolire la tutela delle libertà?
Secondo round
Quanto descritto finora è già un pezzo di archeologia giuridica? Oppure conserva immutata la sua validità scientifica anche dopo il nuovo schema di regolamento dell’Autorità (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Delibera 389/11/CONS) ripensato in risposta alle raffinate osservazioni di alcuni accademici e alle vivaci proposte del popolo del Web?
Ripercorrerò il nuovo atto leggendolo in parallelo con la sua versione iniziale e per facilitare il confronto al lettore conserverò la numerazione prima usata.
1.1. – Quanto all’improponibile bilanciamento tra una libertà fondamentale e un diritto economico, l’Autorità insiste in questo illegittimo confronto, fingendo di accogliere, ma di fatto soffocando, la domanda di libertà dei cittadini, perché riduce a unità la dualità sanzionatoria. L’inaccessibilità dei siti scompare a favore della sola rimozione dei contenuti illeciti anche rispetto al sito straniero, il che però lascia inalterato l’esito ultimo del processo punitivo: le libertà fondamentali di diffusione e di comunicazione retrocedono dinanzi a quella del proprietario dell’opera di ingegno di battere cassa.
Qualcuno dovrebbe dirlo all’Autorità che lo Statuto Albertino non è più in vigore!
2.1. – Il vulnus alla riserva di legge a protezione delle libertà fondamentali, anche a intenderla relativa, non è stato sanato, né poteva esserlo, perché avendo disposto il Decreto 44 una delega in bianco all’Autorità, neanche la seconda stesura del regolamento poteva porre rimedio a un vizio di legittimità, che in prima istanza era nel titolo attributivo del suo potere: il Decreto 44.
Cosa avrebbe dovuto fare allora l’Autorità quanto al punto? Contenersi nei già ampi limiti del decreto e non dilatarli oltre. Infatti, gli ISP continuano a essere i destinatari del suo potere regolativo, gravati dal dovere di rimozione postuma dei contenuti illeciti. Non scrivo per sostenere la generalizzata irresponsabilità degli ISP, ma per affermare quanto il binomio funzione di indirizzo politico e responsabilità esige: le scelte di politica normativa competono al legislatore, il quale così come le compie, le può disfare e cioè può rettificare la precedente regola a favore dell’uso responsabile della rete, sempre che lo voglia. Qui è invece, l’Autorità a parlare in sostituzione del legislatore nazionale, nonché di quello comunitario, pur priva della necessaria rappresentatività politica per farlo.
Con favore rilevo l’appropriata indicazione, nella nuova proposta di regolamento, di una serie di eccezioni alla violazione del copy right, tra cui quella in nome del diritto di cronaca, in caso di utilizzo a fini informativi di frammenti di opera protetta, integrazione alla quale si poteva arrivare ab initio, visto che l’Autorità sostiene di aver preso a parametro proprio l’atto americano, che dedica non poche disposizioni a esenzioni di questo tipo.
3.1. – Quanto alla lesione del diritto a contraddire del presunto violatore del copyright, essa è in parte rimossa cancellando l’iniziale e aberrante valutazione legale di colpevolezza con l’elementare garanzia della presunzione di innocenza, ma rimangono significative anomalie nell’azionabilità del diritto di difesa tali da allontanare la nostra procedura dal modello americano del notice and take-down, al quale ossessivamente l’Autorità pur dichiara di ispirarsi.
Una licenza d’autore in tema di diritti d’autore!
4.1. – Quanto alla lesione della riserva di giurisdizione per il rimedio paragiurisdizionale dinanzi all’Autorità, la questione è sottile e quindi intrigante per un giurista. Il regolamento si limita a chiarire che l’azione amministrativa non prevalga su quella giudiziaria esperibile in ogni momento. Quindi, se interpretiamo questa previsione in modo da configurare un diritto di azione esente da condizioni di proponibilità, uno dei due motivi di incostituzionalità verrebbe a cadere: quello connesso alla diretta e immediata azionabilità del diritto di adire il giudice naturale [In linea con una risalente giurisprudenza della Corte in tema di diritti patrimoniali del lavoratore – sentt. 39/69; 242/76; 93/79 e 113/97 – da ultimo superata da pronunce – ord. 51 /2009 e sent. 403/2007 – che ammettono la costituzionalità dei tentativi obbligatori di conciliazione nelle controversie tra un gestore di un servizio di telecomunicazione e l’utente in virtù di un interesse pubblico prevalente idoneo a giustificare la deroga all’art. 24 Cost. L’argomentare delle ultime pronunce, integralmente risolto nell’efficacia deflattiva dei rimedi extra-giudiziali sul contenzioso, ci convince meno delle prime motivazioni, in cui la Corte affermava che le azioni paragiudiziarie “non possono risolversi in attentati al diritto di proporre l’azione in giudizio”]. Stando a quanto detto, spetterà al cittadino scegliere l’uno o l’altro strumento, e qualora la sua opzione dovesse cadere sul rimedio amministrativo, ciò non toglie che nel corso del primo ben potrà avviare un’azione giudiziaria, la quale determinerebbe il trasporto dell’intera querelle dinanzi al giudice. Insomma, qui l’Autorità dimostra di aver studiato bene la giurisprudenza in tema di ricorso straordinario al Capo dello Stato, perché ripropone più o meno fedelmente il rapporto esistente tra il primo e l’azione giudiziaria secondo la regola dell’alternatività dei due rimedi con preferenza per quello giudiziario, benché le garanzie che presidiano il ricorso al Capo dello Stato incrementate dalla recente novella normativa non si ritrovino nei simmetrici procedimenti dinanzi all’Autorità.
Si può concludere dunque che un motivo di illegittimità sia stato effettivamente cancellato nella nuova versione del regolamento, come più volte sottolineato dal Presidente dell’Autorità nel corso dell’audizione alle Commissioni riunite VII e VIII del Senato del 21 luglio (Presidente C. Calabrò, Audizione resa alle Commissioni riunite VII e VIII del Senato sulle “Recenti problematiche emerse nel settore internet in materia di diritti d’autore”, il 21 luglio 2012).
Andiamo al secondo motivo di incostituzionalità sul medesimo punto: quindi, ritorniamo al ragionamento che ho svolto sopra sulla incompatibilità tra riserva di giurisdizione e rimedio alternativo a quello giudiziario, sebbene da ultimo attenuato dalla regola della preferenza introdotta con la nuova ipotesi regolatoria.
Qui non c’è stata alcuna correzione, perché l’Autorità non ha fatto un passo indietro, cosa che pur avrebbe potuto e anzi dovuto fare, insistendo invece nella sua prerogativa, consegnatale dal Decreto 44/2010. Si è trattato però di un regalo illegittimo del Governo, che era preferibile restituire al mittente. Intendo dire che se l’Esecutivo dimentica troppo spesso l’esistenza di una Costituzione rigida, e, come tale, prevalente sulle norme primarie, e quindi, assegna a dispetto della riserva di giurisdizione la funzione definitoria della lite a un potere diverso da quello giudiziario, questo illegittimo beneficiario sarebbe comunque tenuto a interpretare, ove possibile, le norme attributive della sua competenza in conformità con la Costituzione. Il che nel nostro caso avrebbe imposto all’Autorità di costruire il procedimento dinanzi a sé, non come un rimedio alternativo al giudizio, ma al più come una fase preventiva e assolutamente non decisoria della futura lite, affidata alla solitaria competenza dei giudici.
A riprova della fondatezza del mio ragionare prendo a conferma proprio una norma che la stessa Autorità ha scritto nel suo regolamento. Quando il materiale illecito è contenuto in un sito straniero, l’Autorità, nella nuova versione non ordina più l’inaccessibilità del sito, ma si limita dopo due tentativi falliti a informare l’Autorità giudiziaria del paese straniero affinché prenda gli opportuni provvedimenti. Qualcuno spieghi perché l’Autorità ricorda che la competenza a giudicare sui diritti è del giudice e non di una sua consorella Autorità solo quando la lesione al diritto d’autore avviene oltre frontiera.
Tiriamo le somme tra il prima e il dopo: c’è stato davvero un pentimento operoso, e la riconduzione a legittimità di un atto illegittimo? Non riconosco nessun pentimento dell’Autorità, visto che i vizi seri sono sopravvissuti, e neanche un’operosità per lo stesso motivo per cui non c’è stato pentimento. Direi anzi che l’Autorità avrebbe fatto meglio a insistere nella sua prima versione, perché nel riformularla ha dimostrato di essere consapevole dell’errore giuridico in cui era incorsa, ma di non volerlo compiutamente correggere.
Alla fine, ancora una scelta politica da parte di un’Autorità che – per la sua stessa natura – non risponde politicamente a nessuno.
Probabilmente in questo clima di diffusa immunità anche quella dell’Autorità trova giustificazione nel “nuovo” disordine giuridico!