Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione (Prof. L. Nicolais) ha emanato la direttiva “Per una Pubblica Amministrazione di qualità”. La direttiva, che ha l’indiscusso merito di riportare l’attenzione sul tema de qua dopo che per lungo tempo «i problemi della burocrazia erano passati in secondo piano» (così Natalini, L’efficienza burocratica per legge?, in www.astrid-online.it, 8 gennaio 2007, cit., 1), si situa – evidentemente – nell’alveo dei processi di riorganizzazione, miglioramento ed ottimizzazione dell’attività amministrativa pubblica, già avviati, tra l’altro, con le c.d. “leggi Bassanini” (L. 15 marzo 1997, n. 59, recante “Delega al Governo per la riforma della Pubblica Amministrazione”, L. 15 maggio 1997, n. 127, recante “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di gestione e di controllo” e L. 16 giugno 1998, n. 191, recante “Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59 e 15 maggio 1997, n. 127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle Pubbliche Amministrazioni”) e con il successivo D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 286 (recante “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati delle attività svolte dalle Amministrazioni Pubbliche a norma dell’art. 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59”).
Il provvedimento (sulla natura di tale atto può sempre utilmente consultare M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1993, I, 314 e ss.; G. Ferrara, Gli atti costituzionali, Torino, 2000, 221 ss.), giustifica la sua ragion d’essere nella «non sufficientemente diffusa» (Premessa, p. 1) attenzione alla qualità dell’amministrazione pubblica, fattore questo da cui dipendono complessivamente altresì la qualità delle politiche pubbliche e la qualità dei servizi resi ai cittadini ed alle imprese. Va segnalato che, fermi restando i vincoli di riduzione della spesa pubblica, la direttiva pone in parallelo come prioritari per ogni amministrazione gli obiettivi del recupero dell’efficienza e del miglioramento della qualità delle prestazioni erogate.
Strumenti centrali per perseguire tali scopi sono i processi di miglioramento continuo dell’agire pubblico, tanto più validi quanto maggiore è il coinvolgimento in essi dei destinatari dei servizi e dei portatori di interesse (p. 2): esemplificativamente, si indicano il bilancio sociale, i processi decisionali inclusivi, l’autovalutazione partecipata, le indagini di customer, la gestione dei reclami, tutti mezzi «utili ad orientare i percorsi di miglioramento continuo nella giusta direzione, ovvero a soddisfare in modo completo i bisogni dei destinatari delle politiche pubbliche»; immancabilmente, in tale opera occorre sfruttare massimamente le potenzialità offerte dalle tecnologie informatiche.
Il «punto di partenza obbligato» di tali percorsi di miglioramento continuo è il «ricorso all’autovalutazione delle proprie prestazioni da parte delle Amministrazioni Pubbliche», dal momento che «l’auto-valutazione è un’analisi esauriente, sistematica e periodica delle attività e dei risultati di un’organizzazione; il processo di valutazione che consente ad un’amministrazione di individuare chiaramente punti di forza e aree di miglioramento, deve tradursi in azioni di miglioramento pianificate e monitorate nel tempo per verificarne l’andamento» (definizione dell’European Foundation for Qualità Management – EFQM, p. 3). Conseguentemente (p. 4), la direttiva spinge per l’adozione di diversi strumenti di autodiagnosi, e fra questi il Common Assessment Framework – CAF (consultabile sul sito www.eipa.org): trattasi, in particolare, di uno strumento per la gestione della qualità «specificamente realizzato [in sede di cooperazione informale dei Ministri e Direttori Generali delle funzioni pubbliche europee] per favorire l’introduzione dell’autovalutazione e della cultura della qualità nelle amministrazione pubbliche dell’Unione Europea». Esso, attraverso apposite griglie di autovalutazione, consente all’amministrazione di individuare chiaramente i predetti «punti di forza ed aree di miglioramento».
Sostanzialmente, dunque, il percorso tracciato dalla direttiva sembrerebbe di tipo bottom-up, per usare una terminologia cara agli aziendalisti: l’attività realizzata dall’amministrazione viene valutata, con il concorso degli utenti, e torna in forma di indirizzo operativo all’amministrazione stessa per perseguire il miglioramento della prestazione erogata. Sennonché – si noti – c’è un evidente limite della direttiva, nel momento in cui detta valutazione avviene soltanto con il concorso dei soggetti interessati, e non per loro esclusivo tramite: la valutazione è concepita cioè come mera autovalutazione. Ciò esclude che quanto illustrato possa allora ricostruirsi nei termini di evaluation of satisfaction sopra ipotizzati.
La direttiva consente ad ogni buon conto lo svolgimento di alcune «telegrafiche» osservazioni: innanzitutto, emerge in maniera adamantina la riprova del mutato paradigma dell’Amministrazione pubblica, ormai concepita sempre più (e quasi esclusivamente) come «amministrazione di risultato» (si vedano, ex multis, i contributi specifici di Cammelli, Amministrazione di risultato, in Innovazione del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione, Annuario 2002 dell’AIPDA, Milano, Giuffrè, 2003 e Cassese, La trasformazione del diritto amministrativo dal XIX al XXI secolo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2002, I, p. 27 ss.): frasi del tipo «le amministrazioni devono innovare sia i processi che i servizi finali e le politiche in coerenza con il modificarsi dei bisogni da soddisfare interpretando in modo strategico e anticipatorio la propria missione istituzionale», assai ricorrenti nel seppur breve testo, ne sono la cifra eloquente.
In secondo luogo, pare un po’ pochino quanto approntato dal Ministro per il perseguimento di un fine così ambizioso quale il miglioramento continuo della qualità della Pubblica Amministrazione: la proposta cardine del provvedimento in esame, e cioè l’autovalutazione continua, non pare in realtà affatto adatta alla bisogna. Ben altri interventi, evidentemente, si renderebbero infatti necessari: prova ne sia, che – nonostante ben tre “Leggi Bassanini” e numerosi successivi decreti di ogni genere – è ancora lunga la strada da percorrere per un incisivo cambiamento nella Pubblica Amministrazione italiana.
L’insufficienza del provvedimento in esame emerge poi palesemente se si considera che proprio all’esito della autovalutazione (che, per quanto coinvolga vari stakeholders, rimane comunque, in ultima analisi e nel prefisso auto-, una valutazione del proprio operato svolta dal medesimo soggetto agente) dovrebbe conseguire nientemeno che l’ancoramento «della retribuzione di risultato dei dirigenti al conseguimento di obiettivi di miglioramenti della qualità»: come a dire, che il dirigente stesso, seppur con il concorso dell’opinione dei soggetti che della prestazione hanno usufruito, valuta la propria prestazione (trattasi appunto di autovalutazione), dalla quale consegue, in parte, anche la misura del trattamento economico accessorio legato al risultato che a lui stesso spetterà. Con quanta imparzialità e terzieità è naturale immaginare; con quali esiti (ovviamente di eccellenza nei risultati raggiunti) pure.
Ciò detto, ed è la terza e conclusiva notazione, la direttiva si lascia forse maggiormente apprezzare più che sul versante degli «effetti-annuncio» o delle dichiarazioni di intenti, per la notizia che fornisce circa l’elaborando Piano d’Azione Nazionale triennale attualmente in fase di gestazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica (p. 5). Si confida che il Piano, ancora assolutamente generico e nebuloso, destinato a svolgere «un forte ruolo di impulso e sostegno nei confronti delle amministrazioni pubbliche e di monitoraggio della qualità», possa avere ben altro impianto e concretezza.