«Noi sottoscritti/e consideriamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori una norma di civiltà. L’ordine della reintegra di chi viene ingiustamente licenziato è garanzia per ogni singolo lavoratore ed è al tempo stesso il fondamento per l’esercizio dei diritti collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dal diritto a contrattare salario e condizioni di lavoro dignitose. Se l’articolo 18 fosse manomesso ogni lavoratrice e ogni lavoratore sarebbe posto in una condizione di precarietà e di ricatto permanente, essendo licenziabile arbitrariamente da parte del datore di lavoro. Se l’articolo 18 fosse manomesso verrebbero minate in radice le agibilità e libertà sindacali. Per questo motivo va respinta ogni ipotesi di manomissione o aggiramento dell’articolo 18. L’articolo 18 va invece esteso a tutte le lavoratrici e i lavoratori nelle aziende di ogni dimensione».
Questo è il testo integrale di una petizione destinata ad essere inoltrata al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai presidenti dei due rami del Parlamento.
Il testo circola nel carcere di Saluzzo e viene giudicato un elemento di destabilizzazione dell’ordine interno, tanto che si sottopone a censura la corrispondenza di chi è “colpevole” di averlo fatto circolare e si propone il suo trasferimento. Si ventila altresì il rischio che la raccolta di firme possa dar l’avvio ad una manifestazione di protesta pacifica a tutela dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori all’interno del carcere.
Sorge spontanea qualche domanda.
L’articolo 21 della Costituzione non tutela il diritto di tutti di «manifestare liberamente il proprio pensiero»? Senza in questa sede addentrarsi nelle ricostruzioni che ne ha fatto la Corte costituzionale, è sufficiente ricordare come la libertà di espressione e di informazione sia garantita anche a livello europeo, specificamente come «libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche…) (così sia l’art. 10, c. 1, della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, sia l’art. 11, c. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, ora incorporata nel Trattato di Lisbona), nonché a livello internazionale (art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948; art. 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966).
La libertà di manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile dell’uomo, compreso fra quelli che la Repubblica «riconosce e garantisce» (art. 2 Cost.), sulla base del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
Non solo: la libertà di manifestazione del pensiero costituisce una condizione imprescindibile della democrazia. Come recita già la Dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776, in relazione alla libertà di stampa (sez. 12), essa è «uno dei grandi capisaldi della libertà, e non può mai essere limitata, che da governi dispotici».
Quanto all’evocato rischio che l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero conduca a proteste pacifiche, pare paradossale, se non fosse preoccupante, considerare un rischio per la sicurezza pubblica una protesta già “accusata” di essere pacifica. Dovrebbe essere superfluo, ma a quanto pare così non è, ricordare come la Costituzione, agli articoli 17 e 18, tuteli ad esempio riunioni e associazioni, anche se convocate o costituite per ragioni contrarie all’ “ordine costituito”, quando pacifiche e senz’armi e non integranti fattispecie penali.
A ciò è da aggiungersi che nel caso sotto accusa la libertà di manifestazione del pensiero e le eventuali proteste pacifiche sono nel nome di un valore costituzionale, un valore fondante la democrazia: il lavoro. L’articolo 1 della Costituzione proclama l’Italia «una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», l’articolo 4 definisce il lavoro un diritto e un dovere, gli articoli 35 e seguenti tutelano i lavoratori. Nella prospettiva della Costituzione il lavoro è strumento di emancipazione sociale e dignità, trait d’union fra democrazia politica e democrazia economica: questo si riflette nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che, in coerenza con questa impostazione e con il divieto dell’iniziativa economica privata quando contrasti con l’utilità sociale o rechi danno alla sicurezza, libertà e dignità umana (art. 41 Cost.), limita la libertà dell’imprenditore.
Certo, ciò non corrisponde ai comandamenti dominanti: il lavoro è una merce soggetta alle sole regole della competitività e del profitto, e non bisogna – come ricorda il Ministro Elsa Fornero (Torino, 21 aprile 2012) – lamentarsi e protestare ma lavorare insieme, ça va sans dire, nell’Unica direzione possibile, nell’Unico modo di intendere il bene del paese, come vogliono il dio mercato e i suoi sacerdoti, le agenzie di rating e la Bce.
Tornando al fatto in questione, l’azione eversiva di raccogliere firme in difesa di una norma di una legge della Repubblica, una – per inciso – tra le più coerenti con il progetto della Costituzione, è aggravata dall’appartenenza del suo presunto autore al movimento No Tav, indice, oggi, secondo la vulgata dominante, di pericolosità sociale, quando non tout court di violenza.
Quando il dissenso, imprescindibile compagno della democrazia, diviene di per sé una questione di sicurezza pubblica, la democrazia mostra di non essere altro che un simulacro di se stessa.