Si pubblica la sentenza con cui la Corte Suprema di Giustizia della Nazione della Repubblica argentina ha giudicato incostituzionali le leggi di amnistia per i delitti commessi durante la dittatura militare al governo dal 1976 al 1983 “nelle operazioni compiute allo scopo di reprimere il terrorismo”. La sentenza ha inoltre dichiarato la validità della legge n. 25779 del settembre 2003 che dichiarava la «nulidad insanable» delle «leggi del perdono». Il perdono dei responsabili di 10000 morti e “desaparecidos”.
Tra il 1986 e il 1987 furono promulgate due leggi di amnistia per questi reati («Punto finale» e «Obbedienza dovuta»). La legge «Punto final» concedeva 60 giorni per presentare le denunce per i delitti commessi durante la repressione voluta dalla dittatura militare, mentre la seconda legge, detta «Obediencia debida», liberava da ogni responsabilità gli ufficiali di minor grado perché avrebbero solo obbedito agli ordini ricevuti.
La sentenza del 14 giugno 2005 ha dichiarato «di nessun effetto» le due «leggi del perdono» «e qualunque atto su esse fondato che si possa opporre al proseguimento dei processi e al giudizio e all’eventuale condanna dei responsabili».
Nelle motivazioni della decisione, adottata a maggioranza, si considera l’amnistia in questione in contrasto con la “progressiva evoluzione del diritto internazionale dei diritti umani – con il rango loro attribuito dall’art. 75, comma 22 della Costituzione nazionale”. Rileva sotto questo profilo la Convención Americana sobre Derechos Humanos y el Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos che non consente la rinuncia alla persecuzione penale dei «delitti di lesa umanità», delitti “imprescrittibili e non amnistiabili”, in deroga al principio della irretroattività della legge penale più grave.
La legge 25.779 del 2003, che dichiarava la nullità insanabile di queste due leggi, “in una prospettiva strettamente formalista potrebbe essere tacciata di inconstituzionalità” perché, in violazione della divisione dei poteri, usurperebbe una facoltà del potere giudiziario. A giudizio della Corte, tuttavia, tale legge sarebbe una mera “dichiarazione” del Congresso che ha assunto la denominazione di legge solo per “produrre un effetto politico simbolico”.