Democrazia e partecipazione violate in Val Susa? Se ne occuperà un organismo internazionale, il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), tribunale di opinione nato per impulso della Fondazione Basso nel giugno 1979, in prosecuzione dell’esperienza dei tribunali di opinione Russell I e II, con il compito di identificare e rendere pubblici casi di sistematica violazione dei diritti fondamentali, specie nelle ipotesi in cui legislazione e giurisdizione nazionale e internazionale risultino carenti nel difendere il diritto dei popoli.
Il 20 settembre 2014 il TPP ha ammesso, in relazione al rispetto dei parametri del processo democratico nella costruzione delle grandi opere, il ricorso presentato l’8 aprile 2014 dal Controsservatorio Valsusa e da numerosi sindaci di Comuni della Val Susa, per denunciare, con riferimento al progetto di costruzione della linea Tav Torino-Lione, la violazione dei diritti fondamentali dei singoli abitanti e della comunità della Valle e, in particolare, il mancato coinvolgimento del territorio e delle istituzioni locali nelle decisioni concernenti l’opera (anche in violazione di specifiche convenzioni internazionali, quali quella di Aarhus) [il testo dell’esposto, le sottoscrizioni, la risposta del TPP si possono leggere in http://controsservatoriovalsusa.org/].
Il Tribunale ritiene la questione «di grande interesse generale», rilevando come «sempre più chiaramente si evidenziano anche nei Paesi cosiddetti “centrali”, situazioni ‒ più volte rilevate nei Paesi del Sud in sessioni del Tribunale per quanto riguarda il rapporto tra sovranità, partecipazione delle popolazioni interessate, livello delle decisioni politico-economiche – che mettono in discussione e in pericolo l’effettività e il senso delle consultazioni e la pari dignità di tutte le varie componenti delle popolazioni interessate». Il caso Tav è visto come «rappresentativo», in quanto si palesano problemi che riguardano molteplici opere pubbliche, europee ed extra europee, e si affrontano «processi e meccanismi più generali, specificamente importanti nell’attuale fase della evoluzione economica-politica europea e mondiale».
Il TPP si propone di valutare «natura e finalità delle procedure di consultazione» e del «rapporto/limiti di prevalenza dell’interesse generale rispetto a quello locale», in relazione al TAV e ad altre vicende simili, fra le quali sin d’ora è citato il processo al fracking su richiesta di una rete di esperti e comunità di Stati Uniti e Regno Unito.
In questione è il diritto di partecipazione alle decisioni politico-economiche delle popolazioni interessate e, laddove previste (si pensi ad esempio al débat public francese), l’idoneità, l’adeguatezza e l’effettività delle consultazioni.
Da ormai oltre ventanni in Val Susa è sorto un movimento plurale e trasversale che chiede che le sue ragioni, argomentate da esperti e studi scientifici, siano ascoltate. Centinaia e centinaia sono gli incontri sul territorio, decine le manifestazioni molto partecipate (dalle migliaia di persone alle decine di migliaia), sottoscritte da migliaia di cittadini le petizioni al Parlamento europeo, molteplici i ricorsi ai tribunali, ricorrenti le delibere dei consigli comunali. La risposta è stata un falso tentativo di dialogo in stile divide et impera, con la creazione di un Osservatorio nettamente sbilanciato nella composizione e nei compiti, una massiccia campagna mediatica denigratoria, una “attenzione particolare” della magistratura nei confronti dei partecipanti al movimento, la militarizzazione del territorio. La democrazia istituzionale contro la partecipazione delle comunità locali? La democrazia non è partecipazione effettiva di tutti i cittadini, come ricorda la Costituzione?
Proteste e rivendicazioni sociali, come scrive in una recente sentenza la Corte Interamericana dei Diritti dell’Uomo a proposito del popolo Mapuche (Caso Norín Catrimán y otros vs. Chile, 29 Mayo 2014), non devono trovare da parte delle istituzioni applicazioni della legge che producano «un temor razonable en otros miembros de… pueblo involucrados en acciones relacionadas con la protesta social y la reivindicación de sus derechos territoriales o que eventualmente desearan participar en estas» , ma, come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli del 1976, «ogni popolo ha il diritto a un governo democratico che rappresenti l’insieme dei cittadini… e capace di assicurare il rispetto effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti» (art. 7).
Nel caso del Tav, come in quello dell’aereoporto francese di Notre-Dame-des-Landes, o delle grandi dighe in Cile, quale partecipazione è riconosciuta alle comunità locali? È in gioco l’effettività della democrazia, ovvero la sua stessa esistenza, sia sotto il profilo del significato di una democrazia solo formale, trincerata in istituzioni sempre più avulse dal pluralismo e dai conflitti che agitano la società, e che rischia di non essere altro che una mistificazione della democrazia stessa, sia in relazione all’autonomia del processo politico democratico dai poteri economici (fra le numerose sessioni del TPP dedicate ai profili economici e, in specie, ai crimini economici, si possono ricordare quelle sui “disastri industriali” di Bhopal del 1992 e Chernobyl del 1996, e quelle su “Le imprese transnazionali e diritti dei popoli in Colombia” del 2008 e su “L’Unione Europea e le imprese transnazionali in America Latina” del 2010).
Il caso Tav e, più ampiamente, la costruzione delle grandi opere mettono alla prova la democrazia, come capacità di garantire la partecipazione effettiva di tutti e come capacità di resistere alle istanze egemoniche del potere economico.
Come ne esce la democrazia? La giuria internazionale del TPP ha iniziato il proprio procedimento ed emetterà entro il 2015 la sentenza.