Costituzione in senso formale, materiale, strutturale e funzionale: a proposito di una riflessione di Gunther Teubner sulle tendenze autodistruttive dei sistemi sociali*

1.- In tempi di preoccupazione per l’erosione della costituzione e della stessa democrazia – preoccupazione che riguarda in primo luogo il nostro paese, ma in realtà l’assetto oligarchico che si è affermato a livello globale – torna il discorso della contrapposizione tra costituzione materiale e costituzione formale. E torna in termini schmittiani, vedendosi nella costituzione materiale (globale, con le sue ramificazioni locali) il “sovrano politico”, e in quella formale (siano gli atti fondativi dell’ordinamento internazionale pattizio o degli ordinamenti sovranazionali, siano le costituzioni statuali) un insieme normativo esposto alla forza, in ultima istanza non costituzionalizzabile (non limitabile), di quel sovrano, cioè di quei poteri oligarchici. E’ vero che questa tesi non domina, solitaria, il campo del discorso costituzionalistico, dal momento che la contrapposizione materiale/formale viene proposta in termini del tutto diversi da quelle correnti che vengono raggruppate sotto il nome di “neocostituzionalismo”, secondo le quali il lato materiale della costituzione (ma, più ampiamente, del diritto) viene identificato non con principi che esprimono una situazione determinata dalla forza, ma con la morale sociale, intesa come un insieme diffuso e condiviso di principi di giustizia. In quest’ottica la costituzione formale – le interpretazioni dei cui enunciati sono ovviamente orientate (come ogni giurista avveduto riconosce) anche (accanto agli interessi, idiosincrasie …) dalle interpretazioni che, sulla base della propria morale individuale, l’interprete assuma della morale sociale stessa – sarebbe una sorta di contenitore, sempre aperto alle innovazioni socialmente prodotte. L’una tesi e l’altra – quella schmittiana e quella neocostituzionalista – possono essere presentate in termini più o meno descrittivi o più o meno valutativi. Il che in riferimento alla tesi schmittiana è ovvio, come è dimostrato da un risalente dibattito; ma è ovvio anche per la tesi neocostituzionalista, giacché si può constatare che la morale sociale può avere i più diversi contenuti, anche i più perversi; oppure si può affermare che essa raccoglie delle invarianti di lungo periodo: le antiche promesse di una redenzione da sempre attesa nel nome della giustizia. E’ certo, in ogni caso, che la tesi neocostituzionalista sottolinea il nesso che lega il modello dello “stato costituzionale” all’esperienza morale della resistenza ai totalitarismi e dell’attraversamento della guerra: un’esperienza che è stata tradotta in principi giuridici dalle costituzioni del secondo Novecento, sia internazionale che europeo che anticolonialista; e che è stata sostenuta dalla morale sociale che – grazie anche alla successiva cultura giuridica che l’ha coltivata richiamandola nell’applicazione delle costituzioni – si è stabilizzata. E’ una tesi, dunque, presentata (anche) in termini apertamente assiologici.

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