Corte di giustizia, riconoscimento dello status di rifugiato in situazioni di conflitto armato.

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

17 febbraio 2009 (*)

«Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria – Persona ammissibile alla protezione sussidiaria – Art. 2, lett. e) – Rischio effettivo di subire un grave danno – Art. 15, lett. c) – Minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato – Prova»

Nel procedimento C-465/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Raad van State (Paesi Bassi) con decisione 12 ottobre 2007, pervenuta in cancelleria il 17 ottobre 2007, nella causa

Meki Elgafaji,

Noor Elgafaji,

contro

Staatssecretaris van Justitie,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts e M. Ilešič, presidenti di Sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, J. Malenovský, U. Lõhmus e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 luglio 2008,

considerate le osservazioni presentate:

– per il sig. e la sig.ra Elgafaji, dall’avv. A. Hekman, advocaat;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. Wissels e C. ten Dam, in qualità di agenti;

– per il governo belga, dalle sig.re C. Pochet e L. Van den Broeck, in qualità di agenti;

– per il governo ellenico, dalle sig.re M. Michelogiannaki, T. Papadopoulou e G. Papagianni, in qualità di agenti;

– per il governo francese, dal sig. J‑C. Niollet, in qualità di agente;

– per il governo italiano, dal sig. R. Adam, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;

– per il governo finlandese, dal sig. J. Heliskoski, in qualità di agente;

– per il governo svedese, dalle sig.re S. Johannesson e C. Meyer‑Seitz, in qualità di agenti;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di agente, assistita dal sig. S. Wordsworth, barrister;

– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra M. Condor‑Durande e dal sig. R. Troosters, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 settembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12; in prosieguo: la «direttiva»), in combinato disposto con l’art. 2, lett. e), di questa stessa direttiva.

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. e la sig.ra Elgafaji (in prosieguo: i «coniugi Elgafaji»), entrambi cittadini iracheni, e lo Staatssecretaris van Justitie in merito al rigetto da parte di quest’ultimo delle loro domande dirette al rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo nei Paesi Bassi.

Contesto normativo

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

3 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), all’art. 3, intitolato «Divieto della tortura», prevede quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

La normativa comunitaria

4 Ai sensi del primo ‘considerando’ della direttiva:

«Una politica comune nel settore dell’asilo, che preveda un regime europeo comune in materia di asilo, costituisce uno degli elementi fondamentali dell’obiettivo dell’Unione europea relativo all’istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nella Comunità».

5 Il sesto ‘considerando’ della direttiva è così formulato:

«Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri».

6 Il decimo ‘considerando’ della direttiva precisa quanto segue:

«La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1)]. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito».

7 I ‘considerando’ ventiquattresimo ‑ ventiseiesimo della direttiva hanno il seguente tenore:

«(24) Inoltre occorre stabilire le norme minime per la definizione e gli elementi essenziali della protezione sussidiaria. La protezione sussidiaria dovrebbe avere carattere complementare e supplementare rispetto alla protezione dei rifugiati sancit[a] dalla Convenzione di Ginevra [relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951].

(25) È necessario introdurre i criteri per l’attribuzione, alle persone richiedenti protezione internazionale, della qualifica di beneficiari della protezione sussidiaria. Tali criteri dovrebbero essere elaborati sulla base degli obblighi internazionali derivanti da atti internazionali in materia di diritti dell’uomo e sulla base della prassi seguita negli Stati membri.

(26) I rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave».

8 L’art. 1 della direttiva così dispone:

«La presente direttiva stabilisce norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta».

9 Ai sensi dell’art. 2, lett. c), e) e g), della direttiva, si considerano come:

«(…)

c) “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (…)

(…)

e) “persona ammissibile alla protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15 (…) e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

(…)

g) “domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta ad uno Stato membro da parte di un cittadino di un paese terzo o di un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria (…)»

10 Ai sensi dell’art. 4, nn. 1, 3 e 4, della direttiva, contenuto nel capo II della stessa, intitolato «Valutazione delle domande di protezione internazionale»:

– gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale;

– l’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione di vari elementi che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda e le circostanze personali del richiedente, e

– il fatto che un richiedente abbia già subìto danni gravi o minacce dirette di siffatti danni costituisce un serio indizio del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali danni gravi non si ripeteranno.

11 L’art. 8, n. 1, contenuto nel detto capo II, dispone quanto segue:

«Nell’ambito dell’esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese».

12 L’art. 15 della direttiva, contenuto nel capo V della stessa, intitolato «Requisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria», così dispone sotto il titolo «Danno grave»:

«Sono considerati danni gravi:

a) la condanna a morte o all’esecuzione; o

b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

13 L’art. 18 della direttiva prevede che gli Stati membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V.

La normativa nazionale

14 L’art. 29, n. 1, lett. b) e d), della legge olandese sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenwet 2000; in prosieguo: la «Vw 2000») così dispone:

«Un permesso di soggiorno temporaneo, ai sensi dell’art. 28, può essere concesso allo straniero

(…)

b) che ha fornito fondati motivi per ritenere che, in caso di espulsione, correrebbe un rischio effettivo di essere sottoposto a tortura, ovvero a pene o a trattamenti inumani o degradanti;

(…)

d) il cui ritorno nel paese di origine, a giudizio del Ministro, sarebbe una misura di particolare gravità in considerazione della situazione generale nel paese in questione».

15 La Circolare sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingencirculaire 2000), nella versione vigente il 20 dicembre 2006, così dispone al paragrafo C1/4.3.1:

«Ai sensi dell’art. 29, n. 1, lett. b), della [Vw 2000], può essere concesso un permesso di soggiorno se lo straniero ha dimostrato in modo sufficiente che ha fondati motivi per ritenere che, in caso di espulsione, correrebbe un rischio effettivo di essere sottoposto a tortura, ovvero a pene o a trattamenti inumani o degradanti.

Tale disposizione deriva dall’art. 3 [della CEDU]. Il rimpatrio di una persona in un paese dove essa corra il rischio effettivo («real risk») di essere sottoposto a un siffatto trattamento costituisce una violazione di tale articolo. Ove la sussistenza del rischio sia stata o venga provata, in linea di principio un permesso di soggiorno temporaneo (a titolo di asilo) deve essere concesso.

(…)».

16 Nel decreto sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenbesluit 2000) è stato inserito un nuovo art. 3.105 quater al fine di trasporre esplicitamente, con effetto a partire dal 25 aprile 2008, l’art. 15, lett. c), della direttiva.

Causa principale e questioni pregiudiziali

17 In data 13 dicembre 2006, i coniugi Elgafaji hanno presentato ai Paesi Bassi domande di permesso di soggiorno temporaneo, corredate di elementi diretti a provare il rischio effettivo al quale sarebbero esposti in caso di espulsione verso il loro paese d’origine, nella fattispecie l’Irak. A sostegno delle proprie argomentazioni essi hanno invocato, in particolare, circostanze relative alla loro situazione individuale.

18 Essi hanno segnatamente affermato che il sig. Elgafaji, musulmano di origine sciita, aveva lavorato dall’agosto 2004 al settembre 2006 al servizio di un’impresa britannica che garantisce la sicurezza del trasporto del personale dell’aeroporto verso la cosiddetta zona «verde». Essi hanno fatto valere che lo zio del sig. Elgafaji, impiegato dalla stessa impresa, era stato ucciso dalle milizie, come risulta dall’atto di decesso, che riferisce che la sua morte è avvenuta a seguito di un attacco terroristico. Poco tempo più tardi, una lettera con la minaccia di «morte ai collaboratori» sarebbe stata affissa alla porta dell’abitazione che il sig. Elgafaji divideva con la sig. Elgafaji, sua moglie musulmana di rito sunnita.

19 Con decisioni del 20 dicembre 2006, il Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie (Ministro per l’Immigrazione e l’Integrazione; in prosieguo: il «Ministro»), competente fino al 22 febbraio 2007, quando lo Staatssecretaris van Justitie è diventato competente per le questioni relative all’immigrazione, ha negato la concessione del permesso di soggiorno temporaneo ai coniugi Elgafaji. Egli ha in particolare ritenuto che essi non avessero provato in modo sufficiente le circostanze invocate e, pertanto, non avessero dimostrato il rischio effettivo di minaccia grave e individuale alla quale essi asserivano di essere esposti nel loro paese d’origine. Ne ha dedotto che la loro situazione non rientrasse nella sfera di applicazione dell’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000.

20 Secondo il Ministro, l’onere della prova è identico ai fini della protezione accordata dall’art. 15, lett. b), della direttiva e ai fini di quella concessa in applicazione della lett. c) del medesimo articolo. Le due disposizioni in oggetto, come l’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000, imporrebbero ai richiedenti di dimostrare in modo sufficiente l’effettività, peculiare alla loro situazione individuale, del rischio di minaccia grave ed individuale alla quale essi verrebbero esposti se dovessero essere rimpatriati nel loro paese d’origine. Non avendo fornito tale prova nell’ambito dell’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000, i coniugi Elgafaji non potrebbero quindi avvalersi utilmente dell’art. 15, lett. c), della direttiva.

21 In seguito al rigetto delle loro domande di permesso di soggiorno temporaneo, i coniugi Elgafaji hanno proposto un ricorso dinanzi al Rechtbank te’s‑Gravenhage, accolto da tale giudice.

22 Il giudice in questione ha dichiarato, in particolare, che l’art. 15, lett. c), della direttiva, che fa riferimento alla circostanza di un conflitto armato nel paese di origine del richiedente la protezione, non richiede l’alto grado di individualizzazione della minaccia richiesto dalla lett. b) dello stesso articolo e dall’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000. Così, la prova dell’esistenza di una minaccia individuale e grave a carico delle persone che sollecitano la protezione potrebbe essere fornita più agevolmente ai fini dell’art. 15, lett. c), della direttiva che non ai fini della lett. b) dello stesso articolo.

23 Di conseguenza, il Rechtbank te’s‑Gravenhage ha annullato le decisioni del 20 dicembre 2006 di diniego della concessione del permesso di soggiorno temporaneo ai coniugi Elgafaji, in quanto la prova richiesta ai fini dell’art. 15, lett. c), della direttiva era stata uniformata a quella richiesta ai fini dell’applicazione della lett. b) dello stesso articolo, come ripreso all’art. 29, n. 1, lett. b), della Vw 2000.

24 Secondo tale giudice, il Ministro avrebbe dovuto verificare l’esistenza di motivi per il rilascio ai coniugi Elgafaji di un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell’art. 29, n. 1, lett. d), della Vw 2000 in ragione dei gravi danni di cui all’art. 15, lett. c), della direttiva.

25 In sede di appello, il Raad van State ha giudicato che le disposizioni pertinenti della direttiva presentavano difficoltà interpretative. Inoltre, esso ha affermato che in data 20 dicembre 2006, quando le controverse decisioni del Ministro sono state adottate, l’art. 15, lett. c), della direttiva non era stato recepito nella normativa dei Paesi Bassi.

26 Ciò premesso, il Raad van State ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 15, (…) lett. c), della direttiva (…) debba essere interpretato nel senso che tale disposizione offre protezione esclusivamente in una situazione contemplata anche dall’art. 3 della [CEDU], nell’interpretazione ad esso attribuita dalla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, ovvero se la menzionata disposizione offra una tutela sussidiaria o diversa da quella di cui all’art. 3 della [CEDU];

2) Qualora l’art. 15, (…) lett. c), della direttiva offra una tutela sussidiaria o diversa da quella di cui all’art. 3 della [CEDU], quali siano in tal caso i criteri idonei a valutare se una persona che afferma di essere ammissibile allo status di protezione sussidiaria corra un rischio effettivo di minaccia grave ed individuale in conseguenza di violenza indiscriminata, ai sensi dell’art. 15, (…) lett. c), in combinato disposto con l’art. 2, (…) lett. e), della direttiva».

Sulle questioni pregiudiziali

27 Preliminarmente, si deve constatare che il giudice del rinvio desidera chiarimenti in merito alla protezione garantita dall’art. 15, lett. c), della direttiva rispetto a quella assicurata dall’art. 3 della CEDU come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua giurisprudenza (v., in particolare, Corte eur. D. U., sentenza NA. c. Regno Unito del 17 luglio 2008, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, § 115‑117, nonché giurisprudenza ivi citata).

28 A tale proposito, occorre rilevare che, benché il diritto fondamentale garantito dall’art. 3 della CEDU faccia parte dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte assicura il rispetto e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo venga presa in considerazione nell’interpretare la portata di tale diritto nell’ordinamento giuridico comunitario, tuttavia è l’art. 15, lett. b), della direttiva che sostanzialmente corrisponde al detto art. 3. Per contro, l’art. 15, lett. c), della direttiva è una disposizione con un contenuto diverso da quello dell’art. 3 della CEDU e deve pertanto essere interpretato autonomamente, salvo restando però il rispetto dei diritti fondamentali come garantiti dalla CEDU.

29 Le questioni sollevate, che occorre esaminare congiuntamente, vertono quindi sull’interpretazione dell’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con il suo art. 2, lett. e).

30 A seguito di tali osservazioni preliminari e in considerazione delle circostanze della causa principale, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se l’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con il suo art. 2, lett. e), debba essere interpretato nel senso che l’esistenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria sia subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione. In caso di risposta negativa, il detto giudice intende sapere sulla base di quale criterio si possa ritenere dimostrata l’esistenza di una siffatta minaccia.

31 Per risolvere tali questioni occorre esaminare comparativamente i tre tipi di «danni gravi» definiti all’art. 15 della direttiva, che costituiscono le condizioni che devono essere soddisfatte perché una persona possa essere considerata ammissibile alla protezione sussidiaria, qualora sussistano, conformemente all’art. 2, lett. e), di tale direttiva, fondati motivi di ritenere che il richiedente incorra in «un rischio effettivo di subire un [tale] danno» nel caso di rientro nel paese interessato.

32 A tale proposito, si deve osservare che i termini «la condanna a morte», «l’esecuzione» nonché «la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente», impiegati all’art. 15, lett. a) e b), della direttiva, riguardano situazioni in cui il richiedente della protezione sussidiaria è esposto in modo specifico al rischio di un danno di un tipo particolare.

33 Per contro, il danno definito all’art. 15, lett. c), della direttiva, consistendo in una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona» del richiedente, riguarda il rischio di un danno più generale.

34 Infatti, viene considerata in modo più ampio una «minaccia (…) alla vita o alla persona» di un civile, piuttosto che determinate violenze. Inoltre, tale minaccia è inerente ad una situazione generale di «conflitto armato interno o internazionale». Infine, la violenza in questione all’origine della detta minaccia viene qualificata come «indiscriminata», termine che implica che essa possa estendersi ad alcune persone a prescindere dalla loro situazione personale.

35 Ciò premesso, si deve intendere il termine «individuale» nel senso che esso riguarda danni contro civili a prescindere dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui all’art. 15, lett. c), della direttiva.

36 Tale interpretazione, che può assicurare una propria sfera di applicazione all’art. 15, lett. c), della direttiva, non viene esclusa dal tenore letterale del suo ventiseiesimo ‘considerando’, secondo il quale «[i] rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave».

37 Infatti, anche se tale ‘considerando’ comporta che la sola dichiarazione oggettiva di un rischio legato alla situazione generale di un paese non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni menzionate all’art. 15, lett. c), della direttiva sono soddisfatte in capo ad una determinata persona, la sua formulazione fa salva, utilizzando il termine «di norma», l’ipotesi di una situazione eccezionale, che sia caratterizzata da un grado di rischio a tal punto elevato che sussisterebbero fondati motivi di ritenere che tale persona subisca individualmente il rischio in questione.

38 Il carattere eccezionale di tale situazione è confermato anche dal fatto che la protezione in parola è sussidiaria e dal sistema dell’art. 15 della direttiva, dato che i danni definiti alle lett. a) e b) di tale articolo presuppongono una chiara misura di individualizzazione. Anche se certamente è vero che elementi collettivi svolgono un ruolo importante ai fini dell’applicazione dell’art. 15, lett. c), della direttiva, nel senso che la persona interessata fa parte, come altre persone, di una cerchia di potenziali vittime di una violenza indiscriminata in caso di conflitto armato interno o internazionale, cionondimeno tale disposizione deve formare oggetto di un’interpretazione sistematica rispetto alle altre due situazioni ricomprese nel detto art. 15 della direttiva e deve essere interpretata quindi in stretta relazione con tale individualizzazione.

39 A tale proposito, si deve precisare che tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria.

40 Si deve inoltre aggiungere che, al momento dell’esame individuale di una domanda di protezione sussidiaria, previsto dall’art. 4, n. 3, della direttiva, si può, in particolare, tenere conto:

– dell’estensione geografica della situazione di violenza indiscriminata, nonché dell’effettiva destinazione del richiedente in caso di ritorno nel paese interessato, come risulta dall’art. 8, n. 1, della direttiva, e

– dell’esistenza, se del caso, di un serio indizio di un rischio effettivo come quello menzionato all’art. 4, n. 4, della direttiva, indizio in considerazione del quale il requisito di una violenza indiscriminata richiesto per poter beneficiare della protezione sussidiaria può essere meno elevato.

41 Infine, nella causa principale occorre osservare che, anche se l’art. 15, lett. c), della direttiva è stato trasposto esplicitamente nell’ordinamento giuridico nazionale solo dopo i fatti all’origine della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, spetta a quest’ultimo cercare di procedere ad un’interpretazione del diritto nazionale, in particolare dell’art. 29, n. 1, lett. b) e d), della Vw 2000, che sia conforme a tale direttiva.

42 Invero, secondo una giurisprudenza consolidata, nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale chiamato a interpretare tale diritto deve procedere per quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 294, terzo comma, CE (v., in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C‑106/89, Marleasing, Racc. pag. I‑4135, punto 8, e 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 84).

43 Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle questioni sollevate che l’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con l’art. 2, lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che:

– l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale;

– l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

44 Occorre, infine, aggiungere che l’interpretazione dell’art. 15, lett. c), della direttiva, in combinato disposto con il suo art. 2, lett. e), che risulta dai punti che precedono, è pienamente compatibile con la CEDU, ivi compresa la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 3 della CEDU (v., in particolare, sentenza NA. c. Regno Unito, cit., § 115‑117 nonché giurisprudenza ivi citata).

Sulle spese

45 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’art. 15, lett. c), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’art. 2, lett. e), della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che:

– l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale;

– l’esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

Firme

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* Lingua processuale: l’olandese.