Corte di giustizia, politica comune nel settore dell’asilo, procedura applicata negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, procedura d’adozione e di modifica degli elenchi comuni minimi.

I giudici di Lussemburgo annullano gli artt. 29, nn. 1 e 2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
La questione verteva sulla possibilità per il Consiglio di prevedere, nelle disposizioni impugnate, l’adozione e la modifica degli elenchi dei paesi sicuri a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento.
Ma secondo la Corte, avendo il Consiglio, mediante quell’atto legislativo, adottato «una normativa comunitaria che definisce le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, risulta applicabile la procedura di codecisione.

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

6 maggio 2008 (*)

«Ricorso di annullamento – Politica comune nel settore dell’asilo –Direttiva 2005/85/CE – Procedura applicata negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato – Paesi di origine sicuri – Paesi terzi europei sicuri – Elenchi comuni minimi – Procedura d’adozione e di modifica degli elenchi comuni minimi – Art. 67, nn. 1 e 5, primo trattino, CE – Incompetenza»

Nella causa C‑133/06,

avente ad oggetto un ricorso d’annullamento ai sensi dell’art. 230, primo comma, CE, proposto l’8 marzo 2006,

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. H. Duintjer Tebbens, A. Caiola, A. Auersperger Matić e K. Bradley, in qualità di agenti,

ricorrente,

sostenuto da:

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C. O’Reilly nonché dai sigg. P. Van Nuffel e J.-F. Pasquier, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dalle sig.re M. Simm e M. Balta, nonché dal sig. G. Maganza, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto,

sostenuto da:

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. G. de Bergues e J.‑C. Niollet, in qualità di agenti,

interveniente,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, A. Tizzano e L. Bay Larsen (relatore), presidenti di sezione, dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 giugno 2007,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 settembre 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Col suo ricorso il Parlamento europeo chiede, in via principale, l’annullamento degli artt. 29, nn. 1 e 2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13; in prosieguo: le «disposizioni impugnate»), e, in subordine, l’annullamento di tale direttiva nel suo complesso.

2 Con ordinanza del presidente della Corte 25 luglio 2006, la Commissione delle Comunità europee e la Repubblica francese sono state autorizzate ad intervenire a sostegno delle conclusioni, rispettivamente, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea.

Contesto normativo

Le disposizioni rilevanti del Trattato CE

3 L’art. 63, primo comma, CE, contenuto nel titolo IV del Trattato intitolato «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone», così dispone:

«Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 67 [CE], entro un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam adotta:

1) misure in materia di asilo (…) nei seguenti settori:

(…)

d) norme minime sulle procedure applicabili negli Stati membri per la concessione o la revoca dello status di rifugiato;

2) misure applicabili ai rifugiati ed agli sfollati nei seguenti settori:

a) norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi che non possono ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di protezione internazionale;

(…)».

4 L’art. 67 CE, come modificato dal Trattato di Nizza, prevede quanto segue:

«1. Per un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il Consiglio delibera all’unanimità su proposta della Commissione o su iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento europeo.

2. Trascorso tale periodo di cinque anni:

– il Consiglio delibera su proposta della Commissione; la Commissione esamina qualsiasi richiesta formulata da uno Stato membro affinché essa sottoponga una proposta al Consiglio,

– il Consiglio, deliberando all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all’articolo 251 [CE] e di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia.

(…)

5. In deroga al paragrafo 1, il Consiglio adotta secondo la procedura di cui all’articolo 251 [CE]:

– le misure previste all’articolo 63, punto 1) e punto 2), lettera a), [CE,] purché il Consiglio abbia preliminarmente adottato, ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, una normativa comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano tali materie,

(…)».

Il diritto derivato anteriore alla direttiva 2005/85

5 In base all’art. 63, primo comma, punto 1, rispettivamente lett. a) e b), CE, sono stati adottati il regolamento (CE) del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1), e la direttiva del Consiglio 27 gennaio 2003, 2003/9/CE, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18).

6 Sul fondamento dell’art. 63, primo comma, punti 1, lett. c), 2, lett. a), e 3, lett. a), CE, è stata adottata la direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).

7 Sulla base dell’art. 67, n. 2, secondo trattino, CE, è stata adottata la decisione del Consiglio 22 dicembre 2004, 2004/927/CE, che assoggetta taluni settori contemplati dal titolo IV, parte terza, del Trattato che istituisce la Comunità europea alla procedura di cui all’articolo 251 di detto Trattato (GU L 396, pag. 45).

8 L’art. 1, n. 2, di tale decisione così dispone:

«A decorrere dal 1° gennaio 2005 il Consiglio delibera secondo la procedura di cui all’articolo 251 [CE] allorché adotta le misure di cui all’articolo 63, punto 2, lettera b) e punto 3, lettera b) [CE]».

9 Il quarto ‘considerando’ della medesima decisione sottolinea come essa non riguardi le disposizioni dell’art. 67, n. 5, CE.

La direttiva 2005/85

10 La direttiva 2005/85 è stata adottata, segnatamente, in base all’art. 63, primo comma, punto 1, lett. d), CE.

11 Ai sensi del suo art. 1, la citata direttiva persegue l’obiettivo di stabilire norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

12 I ‘considerando’ diciassettesimo e diciottesimo della direttiva stessa precisano quanto segue:

«(17) Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di asilo è la sicurezza del richiedente nel paese di origine. Se un paese terzo può essere considerato paese di origine sicuro, gli Stati membri dovrebbero poterlo designare paese sicuro e presumerne la sicurezza per uno specifico richiedente, a meno che quest’ultimo non adduca controindicazioni fondate.

(18) Visto il grado di armonizzazione raggiunto in relazione all’attribuzione della qualifica di rifugiato ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi, si dovrebbero definire criteri comuni per la designazione dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri».

13 In merito ai paesi di origine sicuri, il diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/85 così recita:

«Se il Consiglio ha accertato che uno specifico paese di origine soddisfa i suddetti criteri e, pertanto, lo ha inserito nell’elenco comune minimo di paesi di origine sicuri da adottare a norma della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero essere tenuti ad esaminare le domande dei cittadini di detto paese (…) in base alla presunzione confutabile della sicurezza dello stesso. Alla luce dell’importanza politica della designazione dei paesi di origine sicuri, soprattutto in vista delle implicazioni di una valutazione della situazione dei diritti dell’uomo di un paese di origine e delle relative implicazioni per le politiche dell’Unione europea nel settore delle relazioni esterne, il Consiglio dovrebbe prendere le decisioni relative alla fissazione o alla modifica dell’elenco previa consultazione del Parlamento europeo».

14 Per quanto concerne determinati paesi terzi europei che rispettano norme particolarmente elevate in materia di diritti dell’uomo e di protezione dei rifugiati, il ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva in esame è così formulato:

«(…) Agli Stati membri dovrebbe essere consentito di non procedere all’esame o all’esame completo delle domande di asilo dei richiedenti che entrano nel loro territorio in provenienza da detti paesi terzi europei. Viste le potenziali conseguenze derivanti per il richiedente da un esame limitato od omesso, l’applicazione del concetto di paese terzo sicuro dovrebbe essere limitata ai casi di paesi terzi di cui il Consiglio abbia accertato che rispettano le norme elevate di sicurezza stabilite nella presente direttiva. Al riguardo il Consiglio dovrebbe deliberare previa consultazione del Parlamento europeo».

15 L’art. 29, nn. 1 e 2, della stessa direttiva, dal titolo «Elenco comune minimo di paesi terzi considerati paesi di origine sicuri», così dispone:

«1. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta un elenco comune minimo dei paesi terzi considerati dagli Stati membri paesi d’origine sicuri a norma dell’allegato II.

2. Il Consiglio può modificare, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, l’elenco comune minimo aggiungendo o depennando paesi terzi a norma dell’allegato II. La Commissione esamina le richieste fatte dal Consiglio o dagli Stati membri di presentare una proposta di modifica dell’elenco comune minimo».

16 L’allegato II alla direttiva 2005/85, intitolato «Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini degli articoli 29 e 30, paragrafo 1», così definisce i criteri che consentono di considerare un paese come paese di origine sicuro:

«Un paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2004/83/CE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante:

a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate;

b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;

c) il rispetto del principio di “non refoulement” conformemente alla convenzione di Ginevra;

d) un sistema di rimedi efficaci contro le violazioni di tali diritti e libertà».

17 Ai sensi dell’art. 36, nn. 1-3, della direttiva 2005/85, recante il titolo «Concetto di paesi terzi europei sicuri»:

«1. Gli Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di asilo e della sicurezza del richiedente stesso relativamente alle sue condizioni specifiche, secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base agli elementi disponibili, che il richiedente asilo sta cercando di entrare o è entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del paragrafo 2.

2. Un paese terzo può essere considerato paese terzo sicuro ai fini del paragrafo 1, se:

a) ha ratificato e osserva la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche;

b) dispone di una procedura di asilo prescritta per legge;

c) ha ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e ne rispetta le disposizioni, comprese le norme riguardanti i rimedi effettivi; e

d) è stato designato tale dal Consiglio a norma del paragrafo 3.

3. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta o modifica un elenco comune di paesi terzi considerati paesi terzi sicuri ai fini del paragrafo 1».

18 Il Consiglio non ha applicato le disposizioni impugnate allo scopo di redigere i due elenchi previsti da tali disposizioni.

Sul ricorso

19 A sostegno del proprio ricorso il Parlamento deduce quattro motivi d’annullamento, basati rispettivamente su una violazione del Trattato CE derivante dall’inosservanza dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, sull’incompetenza del Consiglio ad adottare le disposizioni impugnate, su una violazione dell’obbligo di motivazione di queste ultime e, infine, sull’inosservanza dell’obbligo di leale cooperazione.

20 I due primi motivi devono essere esaminati congiuntamente poiché, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 11 delle sue conclusioni, essi sono indissociabili.

Sui due primi motivi, basati su una violazione dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, nonché sull’incompetenza del Consiglio

Argomenti delle parti

21 Il Parlamento sostiene che, tenuto conto della legislazione comunitaria già adottata, vale a dire il regolamento n. 343/2003 nonché le direttive 2003/9 e 2004/83, l’adozione della direttiva 2005/85 ha rappresentato l’ultima tappa legislativa per l’adozione delle norme comuni e dei principi essenziali la cui attuazione è destinata a consentire il passaggio alla procedura prevista dall’art. 251 CE (in prosieguo: la «procedura di codecisione»), in conformità ai requisiti di cui all’art. 67, n. 5, primo trattino, CE.

22 Pertanto, la successiva adozione dell’elenco comune minimo di paesi terzi considerati come paesi di origine sicuri e dell’elenco comune dei paesi terzi europei sicuri (in prosieguo, congiuntamente: gli «elenchi dei paesi sicuri») dovrebbe intervenire secondo la procedura di codecisione.

23 Mediante le disposizioni impugnate il Consiglio avrebbe quindi illegittimamente posto in essere, nell’ambito di un atto di diritto derivato, fondamenti normativi che gli consentono di procedere all’adozione degli elenchi dei paesi sicuri applicando una procedura che richiede solamente la consultazione del Parlamento.

24 Creando in tal modo un fondamento giuridico derivato, il Consiglio si sarebbe attribuito una «riserva di legge». Orbene, il Trattato non avrebbe in alcun modo previsto che il Consiglio possa, al di fuori delle procedure esistenti di adozione degli atti normativi e degli atti esecutivi, porre in essere nuovi fondamenti normativi ai fini dell’adozione di disposizioni normative derivate.

25 Il Parlamento ritiene che l’eventuale esistenza di una prassi del Consiglio consistente nel porre in essere fondamenti normativi derivati non possa valere quale giustificazione.

26 Facendo riferimento alla sentenza della Corte 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio (Racc. pag. 855), esso afferma che, nel settore normativo, il Trattato si applica senza che sia possibile apportare modifiche alle procedure da esso previste.

27 La Commissione ritiene che i fondamenti normativi derivati contenuti nelle disposizioni impugnate siano illegittimi.

28 Il legislatore comunitario non disporrebbe della facoltà di determinare le modalità di esercizio delle proprie competenze. Le istituzioni potrebbero operare solamente nei limiti delle attribuzioni conferite dai Trattati, che determinano in via esclusiva le procedure d’adozione di atti normativi.

29 A parere della Commissione, le disposizioni impugnate non possono essere considerate riserve di competenze di esecuzione, che il Consiglio potrebbe effettuare sulla base dell’art. 202, terzo trattino, CE.

30 Le disposizioni impugnate rappresenterebbero un doppio sviamento di procedura, in primo luogo, con riferimento alla regola dell’unanimità prevista dall’art. 63, primo comma, punto 1, lett. d), CE al momento dell’adozione della direttiva 2005/85 e, in secondo luogo, con riferimento alla procedura di codecisione, che è destinata a sostituirsi alla regola citata una volta adottata la legislazione comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali disciplinanti la politica in materia di asilo.

31 Il Consiglio afferma, invece, che nulla nel Trattato CE osta a che un atto adottato secondo la procedura prevista dal fondamento giuridico applicabile crei un fondamento giuridico derivato, ai fini, segnatamente, dell’ulteriore adozione di un atto normativo in tale ambito mediante una procedura decisionale semplificata.

32 A suo parere, il ricorso ai fondamenti normativi derivati è una tecnica legislativa confermata, illustrata in numerosi atti comunitari. Il solo insegnamento da trarsi dalla citata sentenza Regno Unito/Consiglio sarebbe quello secondo cui un fondamento normativo derivato non può condurre ad un aggravamento della procedura prevista dal Trattato, il che non avverrebbe nel caso della procedura istituita dalla direttiva 2005/85.

33 Il Consiglio ritiene che le circostanze della fattispecie consentano di fare ricorso a un fondamento normativo derivato, senza che a ciò osti l’art. 67, n. 5, primo trattino, CE.

34 Gli strumenti costituiti dagli elenchi dei paesi sicuri rientrerebbero in un settore caratterizzato sia dalle marcate sensibilità politiche degli Stati membri, sia dalla necessità pratica di reagire rapidamente ed efficacemente a cambiamenti di situazione nei paesi terzi di cui trattasi. Orbene, questi strumenti potrebbero essere utilizzati in maniera efficace solo qualora la loro adozione e le loro ulteriori modifiche intervengano nell’ambito di una procedura quale quella instaurata dalle disposizioni impugnate.

35 Il Consiglio contesta la tesi secondo cui i fondamenti normativi derivati contenuti nelle disposizioni impugnate si pongono in conflitto con la procedura di codecisione prevista dall’art. 67, n. 5, primo trattino, CE. Tale disposizione sarebbe applicabile solamente alla duplice condizione che l’atto da adottarsi sia basato sull’art. 63, primo comma, punti 1 o 2, lett. a), CE e che il Consiglio abbia preliminarmente adottato una normativa comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano la materia.

36 Quanto alla prima di tali condizioni, il Consiglio osserva, in sostanza, che gli elenchi dei paesi sicuri saranno adottati non sulla base dell’art. 63 CE, bensì sul fondamento delle disposizioni impugnate, che prevedono una procedura più leggera rispetto a quella seguita per l’adozione dell’atto di base. Esso aggiunge che, poiché il Trattato imponeva, ai fini dell’adozione della direttiva 2005/85, una mera consultazione del Parlamento, il ricorso alle disposizioni impugnate, che prevedono lo stesso livello di partecipazione di quest’ultimo, sembra difficilmente contestabile.

37 Per quanto riguarda la seconda condizione, il Consiglio ritiene che, facendo riferimento a «una normativa comunitaria», l’art. 67, n. 5, primo trattino, CE non imponga che le norme comuni e i principi essenziali siano emanati in un unico atto legislativo e in un momento determinato. Il passaggio alla procedura di codecisione sarebbe legato a un criterio sostanziale e non a un criterio formale o temporale.

38 Non ricorrendo le condizioni previste per il passaggio alla procedura di codecisione, non si sarebbe arrecato alcun pregiudizio alle prerogative del Parlamento né all’equilibrio istituzionale.

39 La Repubblica francese sottolinea che l’adozione degli elenchi dei paesi sicuri rientra nella normativa comunitaria che definisce «le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE. Di conseguenza, anche se tali elenchi devono essere adottati in base al Trattato stesso e non in base alle disposizioni impugnate, essi dovrebbero essere adottati solo a seguito di una semplice consultazione del Parlamento.

40 Per quanto riguarda la questione generale della possibilità di far ricorso ad un fondamento normativo derivato, tale Stato membro ritiene, analogamente al Consiglio, che nulla nell’ambito del Trattato vi si opponga.

41 Il ricorso a fondamenti normativi derivati corrisponderebbe ad una prassi costante del legislatore comunitario. Certamente, una semplice prassi non può derogare alle norme del Trattato e non potrebbe quindi creare un precedente vincolante per le istituzioni comunitarie. Tuttavia, la giurisprudenza rivelerebbe che la Corte non è necessariamente indifferente alle prassi seguite da queste ultime (sentenza 10 febbraio 1983, causa 230/81, Lussemburgo/Parlamento, Racc. pag. 255, punti 48 e 49).

42 Infine, per quanto riguarda le condizioni sostanziali per un ricorso a fondamenti normativi derivati, esse risulterebbero soddisfatte nel caso di specie. Infatti, le disposizioni impugnate sarebbero caratterizzate da forte sensibilità politica e implicherebbero la necessità pratica di reagire rapidamente ed efficacemente a cambiamenti di situazione in paesi terzi.

Giudizio della Corte

43 Con i suoi due primi motivi, il Parlamento solleva in sostanza la questione se il Consiglio potesse legittimamente prevedere, nelle disposizioni impugnate, l’adozione e la modifica degli elenchi dei paesi sicuri a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento.

44 A tal proposito, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 7, n. 1, secondo comma, CE, ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dal Trattato (v. sentenza 23 ottobre 2007, causa C‑403/05, Parlamento/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

45 Occorre in primo luogo osservare che il Consiglio, in sede di adozione della direttiva 2005/85 secondo le modalità previste dall’art. 67, n. 1, CE, aveva la possibilità di applicare l’art. 202, terzo trattino, CE per l’adozione di misure che non presentano un carattere essenziale per la materia di cui trattano (v., in tal senso, sentenza 27 ottobre 1992, causa C‑240/90, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑5383, punto 36).

46 Così, a voler supporre che gli elenchi dei paesi sicuri rivestano un tale carattere non essenziale e rappresentino un caso specifico, esso avrebbe potuto decidere di riservarsi l’esercizio di competenze di esecuzione, a condizione di motivare in modo circostanziato la propria decisione (v., in tal senso, sentenza 18 gennaio 2005, causa C‑257/01, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑345, punto 50).

47 Il Consiglio è infatti tenuto a giustificare debitamente, in funzione della natura e del contenuto dell’atto di base da attuare, un’eccezione alla regola secondo la quale, nel sistema del Trattato, qualora occorra adottare, a livello comunitario, misure di esecuzione di un atto di base, spetta normalmente alla Commissione esercitare tale competenza (sentenza Commissione/Consiglio, cit., punto 51).

48 Nella fattispecie, il Consiglio ha fatto esplicito riferimento, al diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/85, all’importanza politica della designazione dei paesi di origine sicuri e, al ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva stessa, alle potenziali conseguenze derivanti dal concetto di paesi terzi sicuri per il richiedente asilo.

49 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 21 delle sue conclusioni, i motivi esposti nei citati ‘considerando’ sono intesi a giustificare la consultazione del Parlamento in merito alla compilazione degli elenchi dei paesi sicuri e alle relative modifiche, ma non a motivare in maniera sufficiente una riserva di esecuzione che presenti carattere specifico per il Consiglio.

50 Inoltre, nella presente controversia, che riguarda una direttiva le cui disposizioni impugnate attribuiscono al Consiglio una competenza non limitata nel tempo, il Consiglio non ha sollevato alcun argomento inteso a riqualificare queste ultime come disposizioni in base alle quali esso si sarebbe riservato di esercitare direttamente specifiche competenze di esecuzione. Al contrario, in sede di udienza, esso ha confermato che le disposizioni in parola conferiscono al Consiglio una competenza legislativa derivata.

51 Di conseguenza, non si pone la questione di un’eventuale riqualificazione delle disposizioni impugnate nel senso di poter ritenere che il Consiglio abbia applicato l’art. 202, terzo trattino, CE.

52 Occorre in secondo luogo rilevare che, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 67 CE, le misure da assumersi nelle materie di cui all’art. 63, punti 1 e 2, lett. a), CE sono adottate secondo due distinte procedure, previste dall’art. 67 CE, vale a dire la procedura di adozione all’unanimità previa consultazione del Parlamento, ovvero la procedura di codecisione.

53 Le disposizioni impugnate istituiscono una procedura d’adozione delle misure citate a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento, procedura diversa da quella prevista dall’art. 67 CE.

54 Orbene, è già stato stabilito che le regole relative alla formazione della volontà delle istituzioni comunitarie trovano la loro fonte nel Trattato e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni (v. sentenza Regno Unito/Consiglio, cit., punto 38).

55 Solamente il Trattato può, in casi specifici quali quello previsto dall’art. 67, n. 2, secondo trattino, CE, autorizzare un’istituzione a modificare una procedura decisionale da esso prevista.

56 Riconoscere ad un’istituzione la facoltà di porre in essere fondamenti normativi derivati, che vadano nel senso di un aggravio ovvero di una semplificazione delle modalità d’adozione di un atto, significherebbe attribuire alla stessa un potere legislativo che eccede quanto previsto dal Trattato.

57 Ciò significherebbe, del pari, consentirle di arrecare pregiudizio al principio dell’equilibrio istituzionale, che comporta che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni (sentenza 22 maggio 1990, causa C‑70/88, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑2041, punto 22).

58 Il Consiglio non può validamente affermare che la procedura di adozione introdotta dalle disposizioni impugnate non si pone in conflitto con la procedura di codecisione in quanto gli elenchi dei paesi sicuri saranno redatti non sulla base dell’art. 63 CE, bensì sulla base delle disposizioni citate, che prevedono una procedura più leggera rispetto a quella utilizzata per l’adozione dell’atto di base. Infatti, un tale ragionamento condurrebbe ad attribuire a disposizioni di diritto derivato la preminenza su disposizioni di diritto primario, nella fattispecie l’art. 67 CE, i cui nn. 1 e 5 devono applicarsi in ordine successivo nel rispetto delle condizioni da essi previste a tal fine.

59 L’adozione di fondamenti normativi derivati non può neppure essere giustificata in base a considerazioni riguardanti il carattere politicamente delicato della materia di cui trattasi o riguardanti la volontà di garantire l’efficacia di un’azione comunitaria.

60 Peraltro, non può validamente invocarsi l’esistenza di una prassi anteriore riguardante l’attuazione di fondamenti normativi derivati. Infatti, anche a volerla considerare dimostrata, una tale prassi non vale a derogare a norme del Trattato e non può quindi costituire un precedente che vincoli le istituzioni (v., in tal senso, sentenze Regno Unito/Consiglio, cit., punto 24, e 9 novembre 1995, causa C‑426/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I‑3723, punto 21).

61 Risulta da quanto precede che il Consiglio, inserendo nella direttiva 2005/85 i fondamenti normativi derivati costituiti dalle disposizioni impugnate, ha violato l’art. 67 CE, eccedendo in tal modo le competenze attribuitegli dal Trattato.

62 Si deve aggiungere, per quanto riguarda la futura adozione degli elenchi dei paesi sicuri nonché la modifica degli stessi, che spetta al Consiglio procedervi nel rispetto delle procedure instaurate dal Trattato.

63 A tal proposito, per stabilire se l’adozione e la modifica degli elenchi dei paesi sicuri per via legislativa, ovvero l’eventuale decisione di procedere all’applicazione dell’art. 202, terzo trattino, CE, sotto forma di una delega o di una riserva di esecuzione, siano riconducibili ai nn. 1 o 5 dell’art. 67 CE, è necessario verificare se, con l’adozione della direttiva 2005/85, il Consiglio abbia adottato una normativa comunitaria che definisce le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano le materie di cui all’art. 63, primo comma, punti 1 e 2, lett. a), CE.

64 Per quanto riguarda le procedure applicabili negli Stati membri per la concessione o la revoca dello status di rifugiato, l’art. 63, primo comma, punto 1, lett. d), CE si limita a prevedere l’adozione di «norme minime».

65 Come risulta dai punti 10-17 di questa sentenza, la direttiva 2005/85 stabilisce taluni criteri dettagliati che consentono la successiva adozione degli elenchi dei paesi sicuri.

66 Si deve quindi ritenere che, mediante tale atto legislativo, il Consiglio abbia adottato «una normativa comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, cosicché risulta applicabile la procedura di codecisione.

67 Alla luce di quanto precede, i due primi motivi dedotti dal Parlamento a sostegno del proprio ricorso d’annullamento devono essere accolti e le disposizioni impugnate devono essere pertanto annullate.

Sul terzo e sul quarto motivo, basati su una violazione dell’obbligo di motivazione delle disposizioni impugnate e sull’inosservanza dell’obbligo di leale cooperazione

68 Poiché i due primi motivi risultano fondati, non occorre esaminare il terzo e il quarto motivo, dedotti dal Parlamento a sostegno del proprio ricorso.

Sulle spese

69 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Parlamento ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente, va condannato alle spese. Ai sensi del n. 4, primo comma, del detto articolo, gli intervenienti nella causa sopportano le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1) Gli artt. 29, nn. 1 e 2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sono annullati.

2) Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.

3) La Repubblica francese e la Commissione delle Comunità europee sopportano le proprie spese.

Firme