La Corte di giustizia della Comunità europea stabilisce che il divieto di licenziamento della lavoratrice durante il periodo di tutela deve essere interpretato nel senso che “esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio [durante il periodo stesso], ma anche di prendere misure preparatorie ad una tale decisione prima della scadenza di detto periodo”. Ad ogni modo, la decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria alla direttiva 76/207, “qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento è notificata e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela”.
Di seguito la sentenza.
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
11 ottobre 2007 (*)
«Politica sociale – Tutela delle lavoratrici gestanti – Direttiva 92/85/CEE − Art. 10 − Divieto di licenziamento tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità − Periodo di tutela – Decisione di licenziamento di una lavoratrice durante tale periodo di tutela − Notifica ed attuazione della decisione di licenziamento dopo la scadenza del detto periodo – Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile − Direttiva 76/207/CEE − Artt. 2, n. 1, 5, n. 1, e 6 − Discriminazione diretta basata sul sesso − Sanzioni»
Nel procedimento C‑460/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal du travail di Bruxelles (Belgio) con decisione 6 novembre 2006, pervenuta in cancelleria il 17 novembre 2006, nella causa tra
Nadine Paquay
e
Société d’architectes Hoet + Minne SPRL,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, J.N. Cunha Rodrigues, A.Ó Caoimh (relatore) e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig. R. Grass
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per il governo belga, dalla sig.ra L. Van den Broeck, in qualità di agente;
– per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;
– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. M. van Beek, in qualità di agente,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, n. 1, 5, n. 1, e 6 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), e dell’art. 10 della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Paquay (in prosieguo: la «ricorrente») e la Société d’architectes Hoet + Minne SPRL (in prosieguo: la «convenuta») relativamente al licenziamento della ricorrente.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
La direttiva 76/207
3 Come risulta dal suo art. 1, scopo della direttiva 76/207 è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro.
4 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 76/207, tale principio implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
5 L’art. 2, n. 3, di tale direttiva stabilisce che essa non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.
6 Ai sensi dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207, l’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso.
7 Conformemente all’art. 6 di tale direttiva, gli Stati membri devono introdurre nei rispettivi ordinamenti giuridici interni le misure necessarie per consentire a tutti coloro che si ritengano lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 della direttiva medesima, di far valere i propri diritti per via giudiziaria, eventualmente dopo aver fatto ricorso ad altre istanze competenti.
La direttiva 92/85
8 Dal nono ‘considerando’ della direttiva 92/85 emerge che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne.
9 Secondo il quindicesimo ‘considerando’ di questa stessa direttiva, il rischio di essere licenziate per motivi connessi al loro stato può avere effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e conseguentemente conviene prevedere un divieto di licenziamento.
10 L’art. 10 della direttiva 92/85 è formulato come segue:
«Per garantire alle lavoratrici [gestanti, puerpere o in periodo di allattamento] ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:
1) gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8, paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che l’autorità competente abbia dato il suo accordo;
2) qualora una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto giustificati motivi per il licenziamento;
3) gli Stati membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici di cui all’articolo 2 contro le conseguenze di un licenziamento che a norma del punto 1) è illegittimo».
11 In forza dell’art. 12 della direttiva 92/85, gli Stati membri devono introdurre nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti da tale direttiva di difendere i propri diritti per via legale e/o, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mediante ricorso ad altre istanze competenti.
12 In base all’art. 14, n. 1, della direttiva 92/85, gli Stati membri devono dare attuazione alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima al più tardi due anni dopo l’adozione della medesima, vale a dire il 19 ottobre 1994.
La normativa nazionale
13 Ai sensi dell’art. 40 della legge belga sul lavoro 16 marzo 1971 (Moniteur belge del 30 marzo 1971, pag. 3931):
«Il datore di lavoro di una lavoratrice incinta non può compiere atti che pongano unilateralmente fine al rapporto di lavoro per tutto il periodo dal momento in cui è stato informato della gravidanza fino ad un mese dopo la scadenza del congedo di maternità, se non per motivi estranei alla condizione fisica di gestante o di partoriente.
L’onere della prova di tali motivi incombe al datore di lavoro. Se la lavoratrice ne fa richiesta, il datore di lavoro dovrà fornirle tale prova per iscritto.
Se il motivo invocato per il licenziamento non è giustificato dal primo comma, oppure se non sussiste alcun motivo, il datore di lavoro pagherà alla lavoratrice un’indennità forfetaria pari alla remunerazione lorda di sei mesi, ferme restando le indennità della lavoratrice per interruzione del contratto di lavoro».
14 La legge belga sul nuovo orientamento economico 4 agosto 1978 (Moniteurbelge del 17 agosto 1978, pag. 9106) ha trasposto la direttiva 76/207 nell’ordinamento belga e il suo titolo V prevede misure di tutela giuridica in materia di discriminazione basata sul sesso.
15 L’art. 131 di tale legge dispone che tutti coloro che si ritengano lesi possono intentare presso la giurisdizione competente un’azione intesa a fare applicare le disposizioni del titolo V della stessa.
16 Dalla decisione di rinvio risulta che il titolo V della legge 4 agosto 1978 non prevede alcuna sanzione civile specifica al riguardo.
La causa principale e le questioni pregiudiziali
17 La ricorrente, dipendente dello studio di architettura della convenuta dal 24 dicembre 1987, era in congedo di maternità dal mese di settembre fino alla fine del mese di dicembre 1995.
18 Il suo congedo di maternità scadeva il 31 dicembre 1995 e il periodo di tutela contro il licenziamento, compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità, scadeva conformemente al diritto belga il 31 gennaio 1996.
19 La ricorrente è stata licenziata con lettera raccomandata del 21 febbraio 1996, quindi dopo la scadenza del periodo di tutela, con un preavviso di sei mesi a far data dal 1° marzo 1996. La convenuta ha posto fine all’esecuzione del contratto il 15 aprile 1996, pagando un’indennità corrispondente al saldo del preavviso.
20 Il giudice del rinvio rileva che la decisione di licenziare la ricorrente è stata presa quando questa era incinta e prima del 31 gennaio 1996, vale a dire prima della fine del periodo di tutela contro il licenziamento, e che tale decisione ha trovato una certa concretizzazione.
21 Dalla decisione di rinvio emerge che, durante la gravidanza, la convenuta ha fatto pubblicare su un quotidiano, il 27 maggio 1995, un annuncio per l’assunzione di una segretaria e, in data 6 giugno 1995, ha risposto ad una candidata che il «posto [sarebbe stato] vacante dalla metà di settembre 1995 a gennaio 1996», vale a dire, per tutta la prevedibile durata del congedo di maternità, «e poi da agosto 1996» vale a dire, dalla scadenza del preavviso di sei mesi normalmente notificato dopo il periodo di tutela. È pacifico che alla data del 27 maggio 1995 la società era al corrente della gravidanza e che l’annuncio concerneva il posto di lavoro occupato dalla ricorrente.
22 Dalla decisione di rinvio risulta anche che la convenuta ha fatto pubblicare un secondo annuncio ad ottobre 1995, vale a dire, poco tempo dopo l’inizio del congedo di maternità, che era del seguente tenore: «comptabilité [contabilità], McIntosch, disp. Imm. [disponibilità immediata], pr carr. [per carriera] ds pet. équip. [in piccolo gruppo]». ‘È pacifico che la menzione «pr. carr.» significa «per [far] carriera», il che conferma l’intenzione della società di procedere alla sostituzione definitiva della ricorrente ed il fatto che la decisione in tal senso è stata presa mentre essa era incinta.
23 Quanto ai motivi del licenziamento, in considerazione del fatto che l’onere della prova incombe al datore di lavoro, il giudice del rinvio ha precisato, in una sentenza del 26 aprile 2006, che le giustificazioni che la convenuta cerca di fornire per esso, vale a dire un difetto di adeguamento all’evoluzione della professione di architetto, non risultano dimostrate, tenuto conto in particolare del fatto che le attestazioni del 1° marzo 1996 indicano che la ricorrente ha sempre lavorato con «piena soddisfazione del datore di lavoro». Tale giudice ha dunque considerato che il licenziamento della ricorrente non era estraneo alla gravidanza o quanto meno alla circostanza della nascita di un figlio.
24 Il giudice del rinvio ha anche rilevato che l’art. 40 della legge 16 marzo 1971, come interpretato alla luce dei lavori preparatori, non osta a che la decisione di licenziamento venga adottata durante il periodo di tutela, purché sia notificata alla lavoratrice più di un mese dopo la scadenza del congedo di maternità.
25 Alla luce di quanto sopra, il Tribunal du travail di Bruxelles ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 10 della direttiva [92/85] debba essere interpretato nel senso che esso vieta unicamente di notificare una decisione di licenziamento durante il periodo definito al suo n. 1, o nel senso che esso vieta anche di prendere una tale decisione e di predisporre la sostituzione definitiva della lavoratrice prima che il periodo di tutela sia terminato.
2) Se il licenziamento notificato dopo il periodo di tutela di cui all’art. 10 della direttiva 92/85, ma non estraneo alla maternità e/o alla nascita di un figlio, sia contrario all’art 2, n. 1 (ovvero all’art. 5, n. 1), della direttiva [76/207], e, in tal caso, se la sanzione debba essere almeno equivalente a quella che il diritto nazionale prevede in esecuzione dell’art. 10 della direttiva 92/85».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
26 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’art. 10 della direttiva 92/85 debba essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento a causa della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo di tutela definito al suo n. 1, ma anche di prendere una decisione del genere e di predisporre la sostituzione definitiva di siffatta lavoratrice prima della scadenza di detto periodo.
27 A tal riguardo, occorre innanzi tutto ricordare che lo scopo della direttiva 92/85 è quello di promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
28 In tale ambito, la Corte ha parimenti rilevato che lo scopo perseguito dalle norme di diritto comunitario sul principio di parità tra uomo e donna nel settore dei diritti delle donne gestanti o puerpere è quello di tutelare le lavoratrici prima e dopo il parto (v. sentenza 8 settembre 2005, causa C‑191/03, McKenna, Racc. pag. I‑7631, punto 42).
29 Prima dell’entrata in vigore della direttiva 92/85, la Corte aveva già statuito che, in forza del principio di non discriminazione, e in particolare degli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, una protezione contro il licenziamento doveva essere riconosciuta alla donna non soltanto durante il congedo di maternità, ma anche per l’intero periodo della gravidanza. Ad avviso della Corte, un licenziamento durante tali periodi può riguardare solo le donne e costituisce quindi una discriminazione diretta basata sul sesso (v., in tal senso, sentenze 8 novembre 1990, causa C‑179/88, Handels‑ og Kontorfunktionærernes Forbund, Racc. pag. I‑3979, punto 15; 30 giugno 1998, causa C‑394/96, Brown, Racc. pag. I‑4185, punti 24-27, e McKenna, cit., punto 47).
30 Proprio in considerazione dei rischi che un eventuale licenziamento fa pesare sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, ivi compreso il rischio particolarmente grave di spingere la lavoratrice gestante ad interrompere volontariamente la gravidanza, il legislatore comunitario, ai sensi dell’art. 10 della direttiva 92/85, ha previsto una protezione specifica per la donna, sancendo il divieto di licenziamento nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità (v. sentenze 14 luglio 1994, causa C‑32/93, Webb, Racc. pag. I‑3567, punto 21; Brown, cit., punto 18; 4 ottobre 2001, causa C‑109/00, Tele Danmark, Racc. pag. I‑6993, punto 26, e McKenna, cit., punto 48).
31 Va poi rilevato che, durante il detto periodo, l’art. 10 della direttiva 92/85 non ha previsto alcuna eccezione o deroga al divieto di licenziamento delle lavoratrici gestanti, salvo in casi eccezionali non collegati al loro stato e a condizione che il datore di lavoro giustifichi per iscritto i motivi di tale licenziamento (citate sentenze Webb, punto 22; Brown, punto 18, e Tele Danmark, punto 27).
32 Infine, occorre rilevare che, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 10 della direttiva 92/85, gli Stati membri non possono modificare la portata della nozione di «licenziamento» privando così d’effetto l’estensione della tutela offerta da tale disposizione e compromettendone l’effetto utile.
33 Alla luce degli scopi perseguiti dalla direttiva 92/85, e più particolarmente di quelli perseguiti dal suo art. 10, si deve rilevare che il divieto di licenziamento della gestante, puerpera o in periodo di allattamento durante il periodo di tutela non si limita alla notifica della decisione di licenziamento. La tutela accordata da tale disposizione alle suddette lavoratrici esclude sia l’adozione di una decisione di licenziamento sia l’adozione di misure preparatorie al licenziamento, quali la ricerca e la previsione di una sostituzione definitiva dell’impiegata interessata a causa della gravidanza e/o della nascita di un figlio.
34 Infatti, come giustamente osservato dal governo italiano, un datore di lavoro come quello della causa principale, che decide di sostituire una lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento a causa del suo stato e che, in vista della sua sostituzione, intraprende concrete iniziative a partire dal momento in cui ha avuto conoscenza del suo stato di gravidanza, persegue esattamente lo scopo vietato dalla direttiva 92/85, vale a dire il licenziamento di una lavoratrice a causa del suo stato di gravidanza e/o della nascita di un figlio.
35 Occorre rilevare che un’interpretazione contraria − che limiti il divieto di licenziamento soltanto alla notifica di una decisione di licenziamento durante il periodo di tutela di cui all’art. 10 della direttiva 92/85 – priverebbe detto articolo del suo effetto utile e potrebbe ingenerare un rischio di elusione del divieto da parte dei datori di lavoro a detrimento dei diritti garantiti dalla direttiva 92/85 alle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
36 Si deve tuttavia ricordare che, come risulta dal punto 31 della presente sentenza, una lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento, conformemente alle disposizioni dell’art. 10, n. 1, della direttiva 92/85, può essere licenziata durante il periodo di tutela di cui alla detta disposizione nei casi eccezionali non connessi al suo stato, ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali.
37 Inoltre, per quanto concerne l’onere della prova applicabile in circostanze come quelle della causa principale, incombe al giudice nazionale dare applicazione alle pertinenti disposizioni della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6), che, in forza del suo art. 3, n. 1, lett. a), si applica alle situazioni contemplate dalla direttiva 92/85/CEE, in caso di discriminazione basata sul sesso. Dall’art. 4, n. 1, della direttiva 97/80 emerge che spetta alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
38 Sulla scorta di quanto precede, occorre risolvere la prima questione nel senso che l’art. 10 della direttiva 92/85 deve essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento a causa della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo di tutela definito al suo n. 1, ma anche di prendere misure preparatorie ad una tale decisione prima della scadenza di detto periodo.
Sulla seconda questione
39 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza, da una parte, se una decisione di licenziamento, in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio, notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85, è contraria agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 e, dall’altra, se, nell’ipotesi in cui si fosse verificata una violazione di tali disposizioni della direttiva 76/207, la misura scelta dallo Stato membro in forza dell’art. 6 di quest’ultima direttiva per sanzionare la violazione delle dette disposizioni debba essere almeno equivalente a quella prevista dal diritto nazionale in esecuzione degli artt. 10 e 12 della direttiva 92/85.
40 Per quanto riguarda la prima parte della seconda questione, occorre ricordare che, come emerge dal punto 29 della presente sentenza, la Corte ha già dichiarato che una protezione contro il licenziamento deve essere garantita alla donna non soltanto durante il congedo di maternità, ma anche per l’intero periodo della gravidanza. Il licenziamento di una lavoratrice durante la gravidanza o durante il congedo di maternità per ragioni legate alla gravidanza e/o alla nascita di un figlio rappresenta una discriminazione diretta basata sul sesso contraria agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207.
41 Come emerge dalla soluzione della Corte alla prima questione, e in particolare dai punti 35 e 38 della presente sentenza, il fatto che una tale decisione di licenziamento sia notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85 è privo di rilevanza. Ogni altra interpretazione degli artt. 2, n. 1 e 5, n. 1, della direttiva 76/207 restringerebbe la portata della tutela accordata dal diritto comunitario alla donna gestante, puerpera e in periodo di allattamento contrariamente alla ratio e all’evoluzione delle norme comunitarie disciplinanti la parità tra i sessi in tale settore.
42 Occorre pertanto risolvere la prima parte della seconda questione nel senso che una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria agli artt. 2, n. 1 e 5, n. 1, della direttiva 76/207, qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento è notificata e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85.
43 Con riguardo poi alla seconda parte della seconda questione, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 76/207, gli Stati membri sono tenuti ad adottare i provvedimenti necessari a consentire a tutti coloro che si ritengano lesi da una discriminazione, come quella oggetto della fattispecie principale, contraria agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, di detta direttiva, di far valere in giudizio i propri diritti. Tale obbligo presuppone che i detti provvedimenti siano sufficientemente efficaci per conseguire lo scopo della direttiva 76/207 e possano essere effettivamente fatti valere dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali (v. sentenza 2 agosto 1993, causa C‑271/91, Marshall, Racc. pag. I‑4367, punto 22).
44 Il suddetto art. 6 non impone agli Stati membri una sanzione determinata in caso di trasgressione del divieto di discriminazione, ma lascia loro la libertà di scegliere fra le varie soluzioni atte a conseguire lo scopo della direttiva 76/207, in relazione alle diverse situazioni che possono presentarsi (sentenze 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 18, e Marshall, cit., punto 23).
45 Nondimeno, lo scopo è quello di ottenere una parità effettiva di opportunità, e non può quindi essere conseguito in mancanza di provvedimenti atti a ristabilire tale parità laddove essa non sia rispettata. Tali misure devono dunque garantire una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace ed avere per il datore di lavoro un effetto dissuasivo reale (sentenza Marshall, cit., punto 24).
46 Siffatti imperativi presuppongono necessariamente la presa in considerazione delle caratteristiche proprie di ogni singolo caso di trasgressione del principio di parità. Qualora il provvedimento adottato per conseguire lo scopo in precedenza indicato sia il risarcimento in denaro, esso deve essere adeguato, nel senso che deve consentire un’integrale riparazione del danno effettivamente subito a seguito del licenziamento discriminatorio, sulla base delle pertinenti norme nazionali (sentenza Marshall, cit., punti 25 e 26).
47 Occorre ricordare che, conformemente all’art. 12 della direttiva 92/85, gli Stati membri sono parimenti tenuti ad adottare le misure necessarie che consentano a chiunque si ritenga leso dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti da tale direttiva, ivi compresi quelli derivanti dall’art. 10, di far valere i propri diritti per via legale. L’art. 10, n. 3, della direttiva 92/85 prevede specificatamente che gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per proteggere le lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento contro le conseguenze di un licenziamento che sarebbe illegale a norma del n. 1 di tale disposizione.
48 Dalle soluzioni della Corte alla prima questione e alla prima parte della seconda questione risulta che la notifica di una decisione di licenziamento, adottata in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio, ad una lavoratrice durante il periodo di tutela di cui all’art. 10 della direttiva 92/85, l’adozione di una siffatta decisione durante tale periodo, anche in assenza di notifica, e la preparazione della sostituzione definitiva di tale lavoratrice per le stesse ragioni sono contrarie agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 nonché all’art. 10 della direttiva 92/85.
49 Pur riconoscendo che gli Stati membri non sono tenuti, né in forza dell’art. 6 della direttiva 76/207, né dell’art. 12 della direttiva 92/85, ad adottare una sanzione determinata, sta di fatto che, come risulta dal punto 45 della presente sentenza, la sanzione scelta deve essere di natura tale da garantire una tutela giurisdizionale effettiva ed efficace, e deve avere per il datore di lavoro un effetto dissuasivo reale e, ad ogni modo, deve essere adeguata al danno subito.
50 Se, in forza degli artt. 10 e 12 della direttiva 92/85 e per conformarsi ai requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte in materia di sanzioni, uno Stato membro sceglie di sanzionare la mancata osservanza degli obblighi derivanti da tale art. 10 tramite la concessione di un’indennità pecuniaria specifica, ne consegue che, come sostenuto nella fattispecie dal governo italiano, la sanzione scelta da tale Stato membro in caso di violazione, in circostanze identiche, del divieto di discriminazione di cui agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 deve essere almeno equivalente.
51 Orbene, se l’indennità scelta da uno Stato membro ai sensi dell’art. 12 della direttiva 92/85 è ritenuta necessaria per tutelare le lavoratrici interessate, resta difficile comprendere come un’indennità più ridotta, adottata per conformarsi all’art. 6 della direttiva 76/207, possa essere considerata adeguata al danno subito laddove il detto danno consista in un licenziamento in circostanze identiche e contrario agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, di quest’ultima direttiva.
52 Inoltre, come già rilevato dalla Corte, scegliendo la soluzione adeguata per garantire lo scopo della direttiva 76/207, gli Stati membri devono vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza (sentenze 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. 2965, punto 24, e 22 aprile 1997, causa C‑180/95, Draehmpaehl, Racc. pag. I‑2195, punto 29). Tale ragionamento si applica mutatis mutandis alle violazioni del diritto comunitario di natura e di importanza similari.
53 Di conseguenza, occorre risolvere la seconda parte della seconda questione nel senso che, dal momento che una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio, notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85, è contraria sia a quest’ultima disposizione della direttiva 92/85 sia agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, la misura scelta dallo Stato membro in forza dell’art. 6 di quest’ultima direttiva per sanzionare la violazione di tali disposizioni deve essere almeno equivalente a quella prevista dal diritto nazionale in esecuzione degli artt. 10 e 12 della direttiva 92/85.
54 Sulla scorta delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la seconda questione nel senso che una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento è notificata e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85. Dato che tale decisione di licenziamento è contraria sia all’art. 10 della direttiva 92/85 sia agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, la misura scelta dallo Stato membro in forza dell’art. 6 di quest’ultima direttiva per sanzionare la violazione di tali disposizioni deve essere almeno equivalente a quella prevista dal diritto nazionale in esecuzione degli artt. 10 e 12 della direttiva 92/85.
Sulle spese
55 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) L’art. 10 della direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), deve essere interpretato nel senso che esso vieta non soltanto di notificare una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio durante il periodo di tutela definito al suo n. 1, ma anche di prendere misure preparatorie ad una tale decisione prima della scadenza di detto periodo.
2) Una decisione di licenziamento in ragione della gravidanza e/o della nascita di un figlio è contraria agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, qualunque sia il momento in cui tale decisione di licenziamento è notificata e anche se essa è notificata dopo la scadenza del periodo di tutela previsto all’art. 10 della direttiva 92/85. Dato che tale decisione di licenziamento è contraria sia all’art. 10 della direttiva 92/85, sia agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, la misura scelta dallo Stato membro in forza dell’art. 6 di quest’ultima direttiva per sanzionare la violazione di tali disposizioni deve essere almeno equivalente a quella prevista dal diritto nazionale in esecuzione degli artt. 10 e 12 della direttiva 92/85.
Firme
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* Lingua processuale: il francese.