SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
23 aprile 2009 (*)
«Direttiva 1999/70/CE – Clausole 5 e 8 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico – Primo o unico contratto – Contratti successivi– Norma equivalente – Reformatio in peius del livello generale di tutela dei lavoratori – Misure di prevenzione degli abusi – Sanzioni – Divieto assoluto di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico – Conseguenze di una scorretta trasposizione di una direttiva – Interpretazione conforme»
Nei procedimenti riuniti da C‑378/07 a C‑380/07,
aventi ad oggetto le domande di decisione pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Monomeles Protodikeio Rethymnis (Grecia), con decisioni 19, 20 e 23 luglio 2007, pervenute in cancelleria l’8 agosto 2007, nelle cause
Kiriaki Angelidaki (C‑378/07),
Anastasia Aivali,
Aggeliki Vavouraki,
Chrysi Kaparou,
Manina Lioni,
Evaggelia Makrygiannaki,
Eleonora Nisanaki,
Christiana Panagiotou,
Anna Pitsidianaki,
Maria Chalkiadaki,
Chrysi Chalkiadaki
contro
Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis,
e
Charikleia Giannoudi (C‑379/07),
Georgios Karabousanos (C‑380/07),
Sofoklis Michopoulos
contro
Dimos Geropotamou,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. A. Ó Caoimh, (relatore), J. N. Cunha Rodrigues, U. Lõhmus e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 ottobre 2008,
considerate le osservazioni presentate:
– per la sig.ra Angelidaki e a., dagli avv.ti I. Koutsourakis, F. Dermitzaki e K. Tokatlidis, dikigoroi,
– per l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis, dall’avv. M. Drymakis, dikigoros,
– per la sig.ra Giannoudi, dagli avv.ti I. Zouridis, F. Dermitzaki e K. Tokatlidis, dikigoroi,
– per i sigg. Karabousanos e Michopoulos, dagli avv.ti I. Zouridis e M.‑M. Tsipra, dikigoroi,
– per il Dimos Geropotamou, dall’avv. N. Michelakis, dikigoros,
– per il governo ellenico, dalle sig.re K. Samoni, E. Mamouna e M. Michelogiannaki, in qualità di agenti,
– per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato,
– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra M. Patakia e dal sig. M. van Beek, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4 dicembre 2008,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione delle clausole 5, nn. 1 e 2, nonché 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie che oppongono la sig.ra Angelidaki e tredici altri dipendenti ai propri datori di lavoro, rispettivamente, l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis (Amministrazione della Prefettura di Rethymnon) e l’Organismos Topikis Autodioikisis Rethymnis, denominato «Dimos Geropotamou», (Comune di Geropotamos), in merito alla qualificazione dei contratti di lavoro stipulati con questi ultimi e al mancato rinnovo di tali contratti.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 La direttiva 1999/70 ha la sua base giuridica nell’art. 139, n. 2, CE e, a termini del suo art. 1, mira ad «attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».
4 Dal terzo, sesto, settimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e diciassettesimo ‘considerando’ della suddetta direttiva, nonché dal primo al terzo comma del preambolo dell’accordo quadro e dai nn. 3, 5‑8, e 10 delle relative considerazioni generali, risulta quanto segue:
– la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea attraverso il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, al fine di raggiungere un equilibrio migliore tra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori;
– tali obiettivi non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri, pertanto è stato ritenuto adeguato il ricorso ad un provvedimento comunitario giuridicamente vincolante, elaborato in stretta collaborazione con le parti sociali rappresentative;
– le parti dell’accordo quadro riconoscono, da un lato, che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma normale dei rapporti di lavoro perché contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorarne il rendimento, ma che, d’altra parte, in alcune circostanze, i contratti di lavoro a tempo determinato rispondono alle esigenze sia dei datori di lavoro, sia dei lavoratori;
– l’accordo quadro sancisce i principi generali e i requisiti minimi per il lavoro a tempo determinato, stabilendo, in particolare, un regime di carattere generale volto a garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, nonché a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, demandando agli Stati membri e alle parti sociali la definizione delle modalità dettagliate di attuazione dei suddetti principi e requisiti, al fine di tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali;
– pertanto il Consiglio dell’Unione europea ha considerato che l’atto adeguato per l’attuazione di tale accordo quadro è una direttiva, dato che essa vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia a questi ultimi la scelta della forma e dei mezzi;
– con riferimento, più in particolare, ai termini impiegati nell’accordo quadro, ma che non sono in esso definiti in modo specifico, la direttiva 1999/70 lascia agli Stati membri il compito di definirli in conformità alla legislazione e/o alla prassi nazionali, purché tali definizioni rispettino l’accordo quadro, e
– secondo le parti firmatarie dell’accordo quadro, l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato fondato su ragioni obiettive costituisce un mezzo di prevenzione degli abusi in danno dei lavoratori.
5 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, il suo
«(…) obiettivo è:
a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
6 La clausola 2 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore [in] ciascuno Stato membro.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:
a) rapporti di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che usufruisca di contributi pubblici».
7 La clausola 3 dello stesso accordo è formulata come segue:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro [di durata determinata] definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».
8 La clausola 4 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
(…)».
9 La clausola 5 dell’accordo quadro enuncia quanto segue:
«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati “successivi”;
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
10 La clausola 8 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo.
(…)
3. L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
(…)
5. La prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturite dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
(…)».
11 Ai sensi dell’art. 2, primo e secondo comma, della direttiva 1999/70:
«Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Gli Stati membri possono fruire di un periodo supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario e previa consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo. Essi devono informare immediatamente la Commissione di tali circostanze».
12 L’art. 3 della medesima direttiva enuncia quanto segue:
«La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».
La normativa nazionale
La normativa nazionale di trasposizione della direttiva 1999/70
13 Il governo greco ha informato la Commissione che intendeva avvalersi della facoltà di disporre di un periodo supplementare per l’adozione delle misure di trasposizione della direttiva 1999/70, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della medesima direttiva; di conseguenza, in ragione di tale proroga, il termine sarebbe scaduto soltanto il 10 luglio 2002.
14 La prima misura di trasposizione della direttiva 1999/70 nell’ordinamento giuridico greco, segnatamente il decreto presidenziale n. 81/2003, recante disposizioni relative ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato (FEK A’ 77/2.4.2003), è entrata in vigore il 2 aprile 2003. Ai sensi del suo art. 2, n. 1, tale decreto si applica ai lavoratori con contratto o rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato.
15 In seguito, il suddetto decreto è stato modificato dal decreto presidenziale n. 180/2004 (FEK A’ 160/23.8.2004), entrato in vigore il 23 agosto 2004. L’art. 2, n. 1, del decreto presidenziale n. 81/2003 è stato sostituito con il seguente testo:
«[Il decreto] si applica ai lavoratori dipendenti del settore privato assunti con contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato».
16 La seconda misura di trasposizione della direttiva 1999/70 nell’ordinamento giuridico greco è entrata in vigore il 19 luglio 2004. Il decreto presidenziale n. 164/2004, recante disposizioni riguardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato nel settore pubblico (FEK A’ 134/19.7.2004), ha infatti recepito la direttiva 1999/70 nella legislazione greca applicabile al personale statale e del settore pubblico in senso lato.
17 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, di detto decreto presidenziale:
«Il presente decreto si applica al personale del settore pubblico (…), nonché al personale delle imprese municipali assunto con contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, ovvero operante in base a contratto d’opera o ad altro contratto o rapporto il quale dissimuli un rapporto di lavoro subordinato».
18 L’art. 5 del decreto presidenziale n. 164/2004 è formulato nei seguenti termini:
«Contratti successivi
1. Sono vietati i contratti successivi stipulati ed eseguiti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore con le stesse o simili mansioni e con condizioni di lavoro identiche o simili, qualora tra questi contratti intercorra un lasso temporale inferiore a tre mesi.
2. La stipulazione di tali contratti è eccezionalmente consentita se giustificata da ragioni obiettive. Una ragione obiettiva sussiste qualora i contratti successivi al contratto originario siano stipulati per soddisfare esigenze particolari dello stesso genere, direttamente e immediatamente riconducibili alla forma, al tipo o all’attività dell’impresa.
(…)
4. Fatto salvo quanto previsto al n. 2 dell’articolo seguente, in nessun caso il numero dei contratti successivi può essere superiore a tre».
19 L’art. 6 del medesimo decreto così dispone:
«Durata massima
1. I contratti successivi stipulati ed eseguiti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore con le stesse o simili mansioni e con condizioni di lavoro identiche o simili non possono superare i ventiquattro mesi nel periodo complessivo dell’attività lavorativa, indipendentemente dal fatto che siano stipulati in applicazione dell’articolo precedente o in applicazione di altre disposizioni della legislazione vigente.
2. Una durata complessiva del periodo dell’attività lavorativa superiore a ventiquattro mesi è consentita soltanto con riferimento a categorie speciali di lavoratori, per natura e genere dell’attività, previste dalla legislazione vigente, quali, in particolare, il personale dirigente, i lavoratori assunti nell’ambito di uno specifico programma di ricerca o di altro programma sovvenzionato o finanziato, nonché i lavoratori assunti per mansioni connesse all’adempimento di obblighi derivanti da convenzioni stipulate con organismi internazionali».
20 L’art. 7 del decreto presidenziale n. 164/2004 stabilisce quanto segue:
«Sanzioni delle infrazioni
1. Qualsiasi contratto concluso in violazione delle disposizioni degli artt. 5 e 6 del presente decreto è nullo di diritto.
2. Nel caso in cui il contratto nullo sia stato in tutto o in parte eseguito, devono essere versate al lavoratore le somme dovute in base ad esso e quelle eventualmente già versate non sono ripetibili. Il lavoratore ha diritto, per il periodo in cui sia stato eseguito il contratto di lavoro nullo, al percepimento, a titolo di risarcimento, della somma cui avrebbe diritto il corrispondente lavoratore a tempo indeterminato in caso di recesso dal contratto. Se i contratti nulli sono più d’uno, il periodo considerato ai fini del calcolo del risarcimento del danno è quello della durata complessiva del periodo di attività lavorativa in base ai contratti nulli. Le somme versate dal datore di lavoro al lavoratore sono imputate al responsabile.
3. Chiunque violi le disposizioni degli artt. 5 e 6 del presente decreto è punito con la reclusione (…). Se l’illecito è stato commesso per colpa, il responsabile è punito con la reclusione fino ad un anno. La violazione costituisce al tempo stesso anche grave infrazione disciplinare».
21 L’art. 11 del decreto presidenziale n. 164/2004 reca le seguenti disposizioni transitorie:
«1. I contratti successivi ai sensi dell’art. 5, n. 1, del presente decreto, stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso e ancora in corso a tale data, si considerano per il futuro quali contratti di lavoro a tempo indeterminato qualora sussistano cumulativamente le seguenti condizioni:
a) che la durata complessiva dei contratti successivi sia stata di almeno ventiquattro mesi fino all’entrata in vigore del presente decreto, indipendentemente dal numero dei rinnovi contrattuali, oppure che vi siano stati almeno tre rinnovi successivi al contratto originario ai sensi dell’art. 5, n. 1, [del presente decreto] per una durata complessiva dell’attività lavorativa di almeno diciotto mesi in un arco di tempo complessivo di ventiquattro mesi, calcolato a decorrere dal contratto originario;
b) che il periodo complessivo dell’attività lavorativa di cui alla lett. a) sia stato effettivamente svolto presso il medesimo ente, con la stessa o simile qualifica professionale e con condizioni di lavoro identiche o simili a quanto indicato nel contratto originario (…);
c) che oggetto del contratto siano attività direttamente e immediatamente riconducibili ad esigenze permanenti e durevoli dell’ente interessato, così come definiti dal pubblico interesse la cui tutela sia rimessa a tale ente;
d) che il periodo complessivo dell’attività lavorativa ai sensi delle lettere precedenti sia stato svolto a tempo pieno o a tempo parziale e con funzioni identiche o simili a quelle indicate nel contratto originario (…).
2. Ai fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni menzionate al precedente n. 1, il lavoratore deve presentare all’ente interessato, entro il termine perentorio di due mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, una domanda contenente i dati dai quali risulti la sussistenza delle predette condizioni. L’autorità competente a pronunciarsi con decisione motivata sulla sussistenza, caso per caso, delle condizioni menzionate al precedente n. 1, è il relativo consiglio d’azienda o l’organo ad esso equiparato ovvero, in loro assenza, il consiglio o l’organo di amministrazione della persona giuridica di cui trattasi, o l’organo ad esso equiparato secondo la normativa vigente. Per le aziende municipali la competenza spetta, in ogni caso, al consiglio del rispettivo ente di amministrazione locale, il quale decide dopo aver sentito il consiglio o l’organo di amministrazione dell’impresa. Detta autorità competente valuta altresì se i contratti d’opera o gli altri contratti o rapporti dissimulino un rapporto di lavoro subordinato. L’autorità competente ai sensi delle precedenti disposizioni emette la propria decisione al più tardi entro cinque mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
3. Le decisioni delle autorità competenti ai sensi del precedente n. 2, siano esse positive o negative, sono immediatamente comunicate all’Anotato Symvoulio Epilogis Prosopikou [Consiglio superiore per la selezione del personale, in prosieguo: l’ “A.S.E.P.”], che decide in merito ad esse entro tre mesi dalla rispettiva comunicazione.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai lavoratori del settore pubblico (…), nonché a quelli delle imprese municipali (…).
5. Il disposto del n. 1 del presente articolo si applica anche ai contratti scaduti nel corso degli ultimi tre mesi precedenti l’entrata in vigore del presente decreto, considerati come contratti di lavoro successivi in corso fino all’entrata in vigore del presente decreto. La condizione menzionata al n. 1, lett. a), del presente articolo deve sussistere alla scadenza del contratto.
(…)».
Le ulteriori disposizioni concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato
– Le disposizioni costituzionali
22 L’art. 103 della Costituzione della Repubblica ellenica è formulato come segue:
«(…)
2. I dipendenti pubblici possono essere assunti solo per l’organico previsto per legge. Con legge speciale possono essere previste deroghe unicamente al fine di far fronte ad esigenze impreviste ed urgenti mediante personale assunto a tempo determinato con contratto di diritto privato.
(…)
8. La legge stabilisce le condizioni e la durata dei rapporti di lavoro di diritto privato nel settore statale e nel settore pubblico in senso lato, come definito dalla legge caso per caso, destinati a far fronte ad esigenze temporanee o impreviste e urgenti ai sensi del precedente n. 2, seconda frase. La legge stabilisce altresì le funzioni per le quali si può fare ricorso al personale sopra menzionato. È vietato titolarizzare attraverso una legge il personale di cui alla prima frase, nonché convertire i rispettivi contratti in contratti a tempo indeterminato. I divieti di cui al presente numero si applicano anche alle persone assunte in base ad un contratto d’opera».
23 L’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica è entrato in vigore il 7 aprile 2001, dunque successivamente all’entrata in vigore della direttiva 1999/70 ma prima della scadenza sia del termine ordinario per la trasposizione di detta direttiva, vale a dire il 10 luglio 2001, sia del periodo supplementare di cui all’art. 2, secondo comma, di tale direttiva, cioè il 10 luglio 2002.
– Le disposizioni legislative
24 L’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, relativa al recesso obbligatorio dal contratto di lavoro dei lavoratori del settore privato (FEK B’ 11/18.3.1920), così dispone:
«Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai contratti di lavoro a tempo determinato nel caso in cui la durata determinata del contratto non sia giustificata dalla natura del contratto stesso, ma sia stata intenzionalmente fissata allo scopo di eludere le disposizioni della presente legge in materia di recesso obbligatorio dal contratto di lavoro».
25 Secondo la decisione di rinvio, dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, come interpretato dalla giurisprudenza greca, risulta che un contratto di lavoro a tempo determinato si considera a tempo indeterminato laddove manchi una ragione obiettiva che ne giustifichi la durata determinata, quale, ad esempio, la destinazione di un siffatto contratto a fronteggiare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro. Tale disposizione si applicherebbe non solo quando siano stati stipulati più contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma anche al caso di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
26 Risulta inoltre dagli atti presentati alla Corte che, nella sentenza n. 18/2006, l’Areios Pagos (Corte di cassazione) ha ritenuto che l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 costituisca una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro in quanto consente la conversione con effetto retroattivo dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, sia nel settore privato che in quello pubblico, nonostante il divieto di convertire con legge un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato stabilito all’art. 103 della Costituzione della Repubblica ellenica, posto che siffatto divieto non impedisce di riconoscere la natura effettiva di un contratto. Al contrario, nelle sentenze nn. 19/2007 e 20/2007, pronunciate l’11 giugno 2007, l’Areios Pagos ha statuito che, per effetto di tale art. 103, i contratti di lavoro a tempo determinato non possono essere convertiti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nemmeno qualora essi siano destinati a far fronte ad esigenze permanenti e durevoli.
27 L’art. 21 della legge 2190/1994, relativo all’istituzione di un’autorità indipendente per la selezione del personale e la gestione amministrativa (FEK A’ 28/3.3.1994), stabilisce quanto segue:
«1. Le amministrazioni pubbliche e le persone giuridiche (…) possono assumere personale con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato per far fronte a fabbisogni di carattere stagionale o ad altre esigenze di carattere periodico o temporaneo, alle condizioni e secondo la procedura di seguito previste.
2. La durata dell’impiego del personale di cui al n. 1 non può eccedere gli otto mesi nell’ambito di un periodo complessivo di dodici mesi. Quando viene assunto personale a tempo determinato per far fronte, in base alle disposizioni in vigore, ad un’esigenza urgente, a causa di assenze del personale o di vacanza di impieghi, la durata dell’impiego per la medesima persona non può superare i quattro mesi. La proroga di un contratto o la conclusione di un nuovo contratto nel corso dello stesso anno nonché la trasformazione in contratto a tempo indeterminato sono nulle».
28 L’art. 6, n. 1, della legge 2527/1997 prevede che la stipulazione di contratti d’opera da parte delle amministrazioni e delle persone giuridiche del settore pubblico presuppone la previa adozione di una decisione ministeriale che deve indicare, in particolare, che l’opera da realizzare non rientra tra le funzioni ordinarie dei dipendenti dell’ente interessato, nonché le ragioni per le quali essa non può essere realizzata da questi ultimi. Secondo la medesima disposizione, qualsiasi contratto d’opera destinato a far fronte ad esigenze permanenti e durevoli è integralmente nullo di diritto.
29 L’art. 1 della legge 3250/2004 (FEK A’124/7.7.2004) così dispone:
«1. Lo Stato, gli enti territoriali di primo e secondo grado e le persone giudiriche di diritto pubblico possono assumere personale con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato e parziale per soddisfare esigenze connesse alla prestazione di servizi di carattere sociale ai cittadini.
2. Le summenzionate assunzioni sono dirette esclusivamente a far fronte all’esigenza di fornire servizi complementari ai cittadini e non hanno alcuna influenza sulla composizione dell’organico degli enti di cui al paragrafo precedente.
(…)».
30 L’art. 2 della medesima legge prevede quanto segue:
«1. L’assunzione avviene con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato e parziale, riguarda persone rappresentanti i vari gruppi sociali e si svolge in conformità dei criteri di scelta definiti all’articolo 4.
2. La durata di tale contratto non può superare i diciotto mesi. Un nuovo contratto con lo stesso lavoratore può essere predisposto soltanto dopo che siano trascorsi almeno quattro mesi dalla scadenza del precedente. L’orario di lavoro, per ogni agente contrattuale, non può superare le venti ore settimanali».
31 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, di detta legge:
«Sono considerati servizi a carattere sociale quelli che riguardano, segnatamente, la cura e assistenza a domicilio, la custodia degli edifici scolastici, la sicurezza stradale degli scolari, l’integrazione sociale degli immigrati, le esigenze straordinarie di protezione civile, le manifestazioni culturali, il soddisfacimento di particolari necessità ambientali, l’informazione e l’aggiornamento dei cittadini, nonché i programmi a carattere sociale finanziati dall’Unione europea».
Cause principali e questioni pregiudiziali
Causa C‑378/07
32 Nel 2005, come risulta dalla decisione di rinvio relativa a questa causa, le ricorrenti nel procedimento principale stipulavano ciascuna un contratto di lavoro di diritto privato della durata di 18 mesi con l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis, che secondo il diritto greco costituisce un ente territoriale del settore pubblico. Ciascuno di tali contratti veniva qualificato come «a tempo determinato e parziale» ai sensi della legge 3250/2004. Nessuno di essi veniva prolungato o rinnovato alla sua scadenza.
33 Poiché ritenevano che l’attività esercitata nell’ambito dei suddetti contratti fosse destinata a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del loro datore di lavoro, il 3 novembre 2006 le ricorrenti adivano il Monomeles Protodikeio Rethymnis (Tribunale monocratico di Rethymnon) allo scopo di far dichiarare che si trattava di contratti di lavoro a tempo indeterminato e di ottenere la condanna dell’ente territoriale convenuto nel procedimento principale ad assumerli in virtù di tali contratti.
34 A tale proposito, le ricorrenti hanno invocato l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 che, interpretato alla luce della direttiva 1999/70, costituirebbe una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro, come dichiarato dall’Areios Pagos nella sentenza n. 18/2006. A ciò non osterebbe l’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica, dato che il divieto di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato nel settore pubblico si riferirebbe soltanto a quei contratti effettivamente destinati a soddisfare esigenze temporanee, impreviste o urgenti del datore di lavoro.
35 Nella sua decisione, il giudice del rinvio chiede dunque in sostanza se il legislatore greco, avendo escluso i soggetti che hanno stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato dalla tutela contro gli abusi di cui al decreto presidenziale n. 164/2004, abbia compiuto una trasposizione non corretta della direttiva 1999/70, in quanto detta esclusione potrebbe comportare una riduzione del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato contraria alla clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, così come definito da una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, dato che l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 si applica sia ai contratti stipulati per la prima o unica volta, sia ai contratti successivi.
36 Peraltro, anche ammettendo che la disposizione da ultimo menzionata possa trovare applicazione nel procedimento principale, detto giudice ritiene che si profili pure la questione di sapere, da un lato, se il diritto nazionale possa essere applicato in maniera tale da considerare la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato giustificata da una ragione obiettiva qualora sia avvenuta sulla base di una legge specifica per il soddisfacimento di esigenze speciali, complementari, sociali, urgenti e provvisorie, anche quando di fatto le esigenze soddifatte siano «permanenti e durevoli». Dall’altro lato, esso chiede se il potere del giudice nazionale di interpretare le leggi possa essere limitato a tal riguardo da una norma costituzionale che vieta in modo assoluto la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico.
37 In tale contesto, il Monomeles Protodikeio Rethymnis ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la clausola 5 e la clausola 8, nn. 1 e 3, dell’[accordo quadro], costituente parte integrante della [direttiva 1999/70], debbano essere interpretate nel senso che il diritto comunitario non consente allo Stato membro di adottare provvedimenti motivati con il richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro quando:
a) nell’ordinamento giuridico nazionale già esistano, prima dell’entrata in vigore di tale direttiva, norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, e
b) con i provvedimenti adottati per l’attuazione dell’accordo quadro venga ridotto il livello generale di tutela offerto ai lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la riduzione del livello della tutela garantito ai lavoratori nei casi in cui non sussistano molteplici e successivi contratti di lavoro a tempo determinato, bensì un solo e unico contratto, che abbia in realtà ad oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore destinati al soddisfacimento non già di esigenze temporanee, straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli”, sia riconducibile all’applicazione di detto accordo quadro e di detta direttiva e se, di conseguenza, tale riduzione sia vietata oppure consentita dal punto di vista del diritto comunitario.
3) In caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70] norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 rilevante nel caso di specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale, ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3, dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento legislativo motivato con il richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro come l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale,
a) qualora, nell’ambito di applicazione del menzionato provvedimento legislativo diretto all’applicazione dell’accordo quadro siano ricompresi esclusivamente i casi di molteplici contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e non siano inclusi i casi di agenti contrattuali che abbiano stipulato (non molteplici e successivi contratti ma) un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato per il soddisfacimento da parte del lavoratore di esigenze “permanenti e durevoli” del datore di lavoro, mentre la preesistente norma equivalente riguardava tutti i casi di contratti di lavoro a tempo determinato, ivi compresi i casi in cui il lavoratore aveva stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato, il quale tuttavia aveva in realtà ad oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore destinati al soddisfacimento di esigenze non temporanee, straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli”;
b) qualora il menzionato provvedimento legislativo diretto all’applicazione dell’accordo quadro preveda come conseguenza giuridica per la tutela dei lavoratori a tempo determinato e la prevenzione degli abusi ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato con effetto per il futuro (ex nunc), mentre le preesistenti norme equivalenti prevedevano la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato con effetto a partire dal momento della loro iniziale stipulazione (ex tunc).
4) In caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70] norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale, ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3, dell’accordo quadro, la scelta del legislatore greco, in sede di trasposizione della detta direttiva nell’ordinamento giuridico greco, consistente, da un lato, nell’escludere dall’ambito di tutela del summenzionato decreto presidenziale 164/2004 i citati casi di abusi, in cui il lavoratore ha stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato, che tuttavia ha in realtà ad oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore per il soddisfacimento non di esigenze temporanee, straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli” e, dall’altro lato, nell’omettere di adottare un provvedimento analogo, specifico per il caso concreto ed efficace, che determini un effetto giuridico a tutela dei lavoratori rispetto a questo caso specifico di abuso, in aggiunta alla tutela generale prevista dal diritto comune del lavoro dell’ordinamento giuridico greco, in ogni caso di prestazione di lavoro sulla base di un contratto nullo, indipendentemente dall’esistenza di un abuso ai sensi dell’accordo quadro, e che comprende la rivendicazione da parte del lavoratore del pagamento della retribuzione e dell’indennità di licenziamento, a prescindere dal fatto che egli abbia lavorato con un contratto di lavoro valido oppure no, tenuto conto del fatto che:
a) l’obbligo di pagamento della retribuzione e dell’indennità di licenziamento è previsto dal diritto nazionale in ogni caso di rapporto di lavoro e non è diretto specificamente a prevenire gli abusi ai sensi dell’accordo quadro, e
b) l’applicazione della preesistente norma equivalente ha come conseguenza giuridica la conversione del (solo e unico) contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
5) In caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, se il giudice nazionale, nell’interpretare il suo diritto nazionale in conformità della [direttiva 1999/70], debba disapplicare le disposizioni incompatibili con tale direttiva contenute nei provvedimenti motivati con il richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro, le quali però determinano una riduzione del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico interno, come quelle del decreto presidenziale 164/2004, che tacitamente e indirettamente, ma chiaramente, escludono una corrispondente tutela nei casi di abusi in cui il lavoratore ha stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato, che tuttavia in realtà ha ad oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore per soddisfare esigenze non temporanee, straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli”, ed applicare al loro posto le disposizioni contenute nel provvedimento nazionale equivalente, preesistente all’entrata in vigore della direttiva, come quelle dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
6) Nel caso in cui il giudice nazionale ritenesse in via di principio applicabile, in una causa che riguarda il lavoro a tempo determinato, una disposizione (nella fattispecie l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920) che costituisce norma equivalente ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro e, sulla base di tale disposizione, la constatazione che la stipulazione di un contratto di lavoro – fosse anche di uno solo – è avvenuta a tempo determinato senza ragione obiettiva collegata alla natura o alle caratteristiche del contratto o dell’attività prestata, comportasse la conversione di tale contratto in un contratto di lavoro a tempo indeterminato,
a) se sia conforme al diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del diritto nazionale da parte del giudice nazionale, in virtù della quale sussiste sempre una ragione obiettiva per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato qualora, a titolo di fondamento normativo della loro stipulazione, sia stata utilizzata una disposizione di legge relativa all’assunzione con contratti di lavoro a tempo determinato di personale destinato a soddisfare esigenze sociali stagionali, periodiche, temporanee, straordinarie o aggiuntive (nella specie, le disposizioni della legge 3250/2004), anche qualora le esigenze soddisfatte siano in realtà permanenti e durevoli;
b) se sia conforme al diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del diritto nazionale da parte del giudice nazionale, in virtù della quale una disposizione che vieti nel settore pubblico la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, deve interpretarsi nel senso che nel settore pubblico sia assolutamente e in ogni caso vietata la conversione di un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, anche qualora esso sia stato illegittimamente stipulato a tempo determinato, vale a dire anche qualora le esigenze soddisfatte siano in realtà permanenti e durevoli, e nel senso che al giudice nazionale non sia consentito, in una siffatta ipotesi, accertare il reale carattere del rapporto di lavoro controverso e la sua corretta qualificazione come contratto a tempo indeterminato; ovvero se tale divieto debba essere applicato limitatamente ai soli contratti di lavoro a tempo determinato che siano stati effettivamente stipulati per il soddisfacimento di esigenze temporanee, impreviste, urgenti, straordinarie, o simili particolari esigenze, e non anche ai casi in cui i contratti siano stati in realtà stipulati per il soddisfacimento di esigenze permanenti e durevoli».
Causa C‑379/07
38 Come risulta dagli atti, la ricorrente nel procedimento principale relativo a tale causa stipulava con il Dimos Geropotamou, che secondo il diritto greco costituisce un ente territoriale di diritto pubblico, tre contratti a tempo determinato successivi, qualificati come «contratti d’opera» ai sensi dell’art. 6 della legge 2527/1997. Detti contratti valevano, rispettivamente, dal 1° dicembre 2003 al 30 novembre 2004, dal 1° dicembre 2004 al 30 novembre 2005 e dal 5 dicembre 2005 al 4 dicembre 2006.
39 Poiché riteneva che l’attività esercitata nell’ambito dei suddetti contratti fosse in concreto destinata a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del suo datore di lavoro, il 10 novembre 2006 la ricorrente adiva il Monomeles Protodikeio Rethymnis allo scopo di far dichiarare che si trattava di contratti di lavoro a tempo indeterminato e ottenere la condanna del Dimos Geropotamu ad assumerla in virtù di tali contratti.
40 Avendo la suddetta ricorrente dedotto gli stessi argomenti avanzati dalle ricorrenti nel procedimento principale relativo alla causa C‑378/07 riportati al punto 34 della presente sentenza, il giudice del rinvio chiede, nella propria decisione, se il decreto presidenziale 164/2004 non costituisca allo stesso modo una riduzione del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato, così come definito dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, per le seguenti ragioni:
– da un lato, per quanto riguarda l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, che consente, in via transitoria, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, il suo ambito di applicazione rationae temporis è limitato soltanto a taluni contratti in corso o scaduti, le condizioni cumulative ai fini della sua applicazione sono più rigide in ordine alla durata del periodo intercorrente tra i due contratti ed alla durata minima totale dei contratti, e, infine, detta conversione non ha effetto retroattivo, e
– dall’altro, per quanto riguarda l’art. 7 del decreto presidenziale 164/2004, che prevede, quale disposizione definitiva, il pagamento della retribuzione e di un’indennità di licenziamento, esso istituisce talune sanzioni identiche a quelle stabilite dal diritto comune del lavoro a prescindere da qualsiasi abuso, senza consentire la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo intedeterminato.
41 Peraltro, anche ammettendo che l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 possa trovare applicazione nel procedimento principale, detto giudice propone le medesime questioni sollevate nella causa C‑378/07, riportate al punto 36 della presente sentenza, relative alla nozione di «ragione obiettiva» e all’incidenza sui poteri del giudice nazionale del divieto assoluto, nel settore pubblico, di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
42 In tale contesto, il Monomeles Protodikeio Rethymnis ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la clausola 5 e la clausola 8, nn. 1 e 3, dell’[accordo quadro], costituente parte integrante della [direttiva 1999/70], debbano essere interpretate nel senso che, in base al diritto comunitario, non sia consentito ad uno Stato membro di adottare provvedimenti motivati con il richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro quando:
a) nell’ordinamento giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della direttiva norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, e
b) con i provvedimenti adottati per l’applicazione dell’accordo quadro venga ridotto il livello generale di tutela offerto ai lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70] norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale, ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3 dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento legislativo motivato con il richiamo all’applicazione dell’accordo quadro come l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale:
a) quando tale provvedimento normativo, diretto all’applicazione dell’accordo quadro, venga adottato dopo la scadenza del termine per la trasposizione della [direttiva 1999/70] ma nel suo ambito di applicazione rationae temporis rientrano solo i contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato che erano in corso alla sua entrata in vigore o che sono scaduti entro un determinato lasso di tempo prima della sua entrata in vigore, ma dopo la scadenza del termine di trasposizione della direttiva, mentre le norme equivalenti preesistenti non hanno un ambito di applicazione limitato nel tempo e comprendono tutti i contratti di lavoro a tempo determinato che sono stati stipulati, erano in corso o sono scaduti alla data di entrata in vigore della suddetta direttiva e di scadenza del termine per la sua trasposizione;
b) quando nell’ambito di applicazione di tale provvedimento normativo, diretto all’applicazione dell’accordo quadro, rientrano solo contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato che, per essere considerati successivi ai fini del provvedimento summenzionato devono cumulativamente soddisfare le seguenti condizioni: 1) che tra di essi intercorra un periodo non superiore a tre mesi e, inoltre, 2) che essi presentino una durata complessiva di almeno ventiquattro mesi all’entrata in vigore di tale provvedimento, indipendentemente dal numero di rinnovi contrattuali, o che vi sia stato sulla base di essi un periodo di occupazione complessivo di almeno diciotto mesi entro un periodo complessivo di ventiquattro mesi a partire dal contratto iniziale nel caso in cui vi siano almeno tre rinnovi oltre al contratto iniziale, mentre le preesistenti norme equivalenti non stabiliscono tali condizioni, comprendendo invece tutti i contratti (successivi) di lavoro a tempo determinato, a prescindere da un periodo minimo di occupazione e da un numero minimo di rinnovi contrattuali;
c) quando il provvedimento normativo in esame, diretto all’applicazione dell’accordo quadro, prevede come conseguenza giuridica per la tutela dei lavoratori a tempo determinato e la prevenzione degli abusi ai sensi dell’accordo quadro la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato con effetto per il futuro (ex nunc), mentre le preesistenti norme equivalenti prevedono la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato dal momento della loro iniziale stipulazione (ex tunc).
3) In caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70] norme equivalenti, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale, ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3, dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento normativo, motivato con il richiamo all’applicazione dell’accordo quadro, come l’art. 7 del decreto presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale, quando esso prevede come unico mezzo di tutela dei lavoratori a tempo determinato contro gli abusi l’obbligo per il datore di lavoro di pagare la retribuzione e l’indennità di licenziamento, in caso di occupazione abusiva con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, tenuto conto del fatto che:
a) l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere la retribuzione e l’indennità di licenziamento è previsto dal diritto nazionale in qualsiasi caso di rapporto di lavoro e non è diretto specificamente a evitare gli abusi, ai sensi dell’accordo quadro, e
b) l’applicazione delle preesistenti norme equivalenti produce come conseguenza giuridica la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratti a tempo indeterminato.
4) In caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, se il giudice nazionale, nell’interpretare il suo diritto nazionale in conformità della [direttiva 1999/70], debba disapplicare le disposizioni incompatibili con tale direttiva contenute nei provvedimenti adottati motivando con il richiamo all’applicazione dell’accordo quadro, le quali però determinano una riduzione del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico interno, come quelle degli artt. 7 e 11 del decreto presidenziale 164/2004 e applicare al loro posto le disposizioni contenute nel provvedimento nazionale equivalente, preesistente all’entrata in vigore della direttiva, come quelle dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
5) Nel caso in cui il giudice nazionale ritenesse in via di principio applicabile, in una causa che riguarda il lavoro a tempo determinato, una disposizione (nella fattispecie l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1902) che costituisce norma equivalente, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro e, sulla base di tale disposizione, la constatazione che la stipulazione di contratti successivi di lavoro è avvenuta a tempo determinato senza ragione obiettiva collegata alla natura o alle caratteristiche del contratto o dell’attività prestata, comporti il riconoscimento che tali contratti sono contratti di lavoro a tempo indeterminato,
a) se sia compatibile con il diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del diritto nazionale da parte del giudice nazionale, secondo cui in ogni caso costituisce una ragione obiettiva per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato il fatto che, come fondamento giuridico della loro stipulazione, è stata utilizzata una norma sull’occupazione con contratti di lavoro a tempo determinato per il soddisfacimento di esigenze stagionali, periodiche, temporanee o straordinarie, anche se in realtà le esigenze soddisfatte sono «permanenti e durevoli»;
b) se sia compatibile con il diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del diritto nazionale da parte del giudice nazionale secondo cui una disposizione che vieta la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico in contratti di lavoro a tempo indeterminato deve interpretarsi nel senso che nel settore pubblico, è assolutamente e in ogni caso vietata la conversione di un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato in un contratto o rapporto a tempo indeterminato, anche qualora abusivamente esso sia stato stipulato a tempo determinato, in quanto in realtà le esigenze soddisfatte sono “permanenti e durevoli” e al giudice nazionale non è lasciata la possibilità, in un caso del genere, di dichiarare la reale natura del rapporto giuridico di lavoro controverso e la corretta qualificazione di esso come contratto a tempo indeterminato; oppure se tale divieto debba essere circoscritto ai soli contratti di lavoro a tempo determinato che siano stati effettivamente stipulati per il soddisfacimento di esigente temporanee, impreviste, urgenti, straordinarie o simili, e non anche nel caso in cui in realtà siano stati stipulati per il soddisfacimento di esigenze “permanenti e durevoli”».
Causa C‑380/07
43 Come risulta dagli atti, le ricorrenti nel procedimento principale relativo a tale causa stipulavano con il Dimos Geropotamou, nonché con la persona giuridica di diritto privato denominata «O Geropotamos», costituente un’impresa municipale, tre contratti a tempo determinato successivi, di cui il primo, qualificato come «contratto di lavoro» ai sensi della legge 2190/1994, ha prodotto effetti dal 1° luglio 2004 al 1° dicembre 2004, e i due seguenti, qualificati come «contratti d’opera» ai sensi dell’art. 6 della legge 2527/1997, hanno prodotto effetti, rispettivamente, dal 29 dicembre 2004 al 28 dicembre 2005 e dal 30 dicembre 2005 al 29 dicembre 2006.
44 Poiché il 10 novembre 2006 era stato investito di una controversia sostanzialmente identica a quella oggetto della causa C‑379/07, il Monomeles Protodikeio Rethymnis ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le medesime questioni pregiudiziali già sottoposte nell’ambito di quest’ultima causa.
45 Con ordinanza 12 novembre 2007, il Presidente della Corte ha disposto la riunione delle tre cause ai fini della fase scritta e orale del procedimento come pure della sentenza.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
46 Eccettuate le ricorrenti nel procedimento principale, le parti che hanno presentato osservazioni scritte alla Corte hanno contestato, se non addirittura messo in dubbio, a vario titolo la rilevanza delle questioni sottoposte e, quindi, la loro ricevibilità.
47 In primo luogo, il governo ellenico ritiene che la proposta interpretazione delle clausole 5, n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro sia priva di collegamento con l’oggetto dei procedimenti principali. Infatti, sarebbe erroneo ed ipotetico il rilievo del giudice del rinvio secondo cui l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 costituiva un quadro normativo alternativo di attuazione di tale accordo quadro. Orbene, detta legge, considerati in particolare i divieti sanciti all’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica e all’art. 21 della legge 2190/1994, non troverebbe applicazione nel settore pubblico, come sottolineato, anche vigorosamente, dalle convenute nei procedimenti principali. Detta interpretazione dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 sarebbe stata del resto confermata dalle sentenze dell’Areios Pagos nn. 19/2007 e 20/2007. Peraltro, senza rimettere espressamente in dubbio la ricevibilità delle questioni sottoposte, le convenute nel procedimento principale e la Commissione hanno altresì contestato, a seconda dei casi, che tale disposizione fosse ancora in vigore al momento della scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70 e che consentisse la conversione dei contratti in questione come contratti di lavoro a tempo indeterminato.
48 A tale riguardo, occorre ricordare che, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni nazionali, né giudicare se l’interpretazione che ne dà il giudice del rinvio sia corretta. Infatti, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali come definito dal giudice del rinvio (v. sentenze 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri, Racc. pag. I‑5257, punto 42; 14 febbraio 2008, causa C‑244/06, Dynamic Medien, Racc. pag. I‑505, punto 19, e 4 dicembre 2008, causa C‑330/07, Jobra, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 17; v. altresì, in tal senso, ordinanza 12 giugno 2008, causa C‑364/07, Vassilakis e a., punti 134 e 143).
49 Orbene, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, nell’ambito dei procedimenti principali, la trasposizione della direttiva 1999/70 operata mediante il decreto presidenziale n. 164/2004, nella parte in cui esclude dal suo ambito di applicazione i lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato e non consente, nel settore pubblico, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, oppure la assoggetta a condizioni restrittive, costituisca una «riduzione» rispetto al livello di tutela previsto dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro. A tal fine, esso osserva espressamente, basandosi sulla giurisprudenza nazionale, che l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 si applica al settore pubblico e, inoltre, si fonda sulla premessa per cui detta disposizione, da un lato era in vigore durante il termine di trasposizione della direttiva 1999/70 e, dall’altro, consentiva tale conversione.
50 Peraltro, la sussistenza di una siffatta riduzione può ravvisarsi soltanto se, come osservato dalla Commissione e come altresì presupposto dal giudice del rinvio, in fattispecie come quelle oggetto del procedimento principale, il suddetto art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, benché ancora in vigore, non fosse applicabile a fattispecie come quelle oggetto dei procedimenti principali parallelamente alla normativa nazionale di trasposizione dell’accordo quadro, a prescindere dal fatto che ciò dipenda, ad esempio, dalla stessa circostanza dell’adozione di tale normativa successiva, dalla modifica dell’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica o dal mutamento della giurisprudenza compiuto dall’Areios Pagos nelle sentenze 19/2007 e 20/2007 in ordine all’interpretazione del suddetto art. 8, n. 3.
51 Occorre dunque concludere che, a prescindere dalla natura del disaccordo tra le parti del procedimento principale in ordine all’interpretazione del diritto nazionale e dalle critiche rivolte all’interpretazione accolta dal giudice del rinvio, l’esame delle presenti questioni deve essere compiuto facendo riferimento all’interpretazione del diritto nazionale operata da quest’ultimo. L’eccezione di irricevibilità formulata dal governo ellenico sul punto deve quindi essere respinta.
52 In secondo luogo, la Commissione sostiene che le questioni nn. 3‑6 sottoposte nella causa C‑378/07 sono prive di oggetto. Infatti, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro mira unicamente a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi e, di conseguenza, essa non si applicherebbe nel caso in cui il contratto controverso fosse il primo o unico contratto di lavoro stipulato tra le parti, così come risulta dalla sentenza 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981, punti 41‑43) e come sostenuto anche dai governi ellenico ed italiano.
53 Siffatta obiezione non può essere accolta.
54 Infatti, le questioni sopra menzionate, relative non già alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro bensì alla sua clausola 8, n. 3, sono essenzialmente volte a stabilire se la trasposizione della direttiva 1999/70 mediante il decreto presidenziale 164/2004 costituisca una «reformatio in peius» ai sensi di quest’ultima clausola in relazione al livello di tutela previsto dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 per i lavoratori che hanno stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato e, ove così fosse, a precisare quali conseguenze ne risultino per i procedimenti principali.
55 Orbene, tali questioni non risultano affatto prive di oggetto, ma mirano in particolare a stabilire se, come sostenuto dai governi ellenico ed italiano nonché dalla Commissione, la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non si applica nel caso in cui sia stato stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato.
56 Del resto, occorre rilevare al riguardo che, nella citata sentenza Mangold, la Corte, dopo aver dichiarato che l’interpretazione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro era irrilevante ai fini della soluzione della controversia per la quale era stato adito il giudice del rinvio, poiché quest’ultima aveva ad oggetto un primo e unico contratto di lavoro a tempo determinato (punti 42 e 43 di tale sentenza), aveva risposto alla questione sottopostale da detto giudice in via subordinata nell’ambito del medesimo procedimento relativamente all’interpretazione della clausola 8, n. 3, di tale accordo (punti 44‑54 di tale sentenza).
57 In siffatto contesto, dato che le questioni nn. 3‑6 nella causa C‑378/07 vertono sull’interpretazione del diritto comunitario e che quest’ultima non appare manifestamente priva di rapporti con l’effettività o l’oggetto delle controversie sottoposte al giudice del rinvio, le quali non sono, evidentemente, di tipo ipotetico, la Corte è tenuta, secondo una giurisprudenza costante, a rispondere a tali questioni (v., in tal senso, in particolare, sentenze 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punti 41 e 42, e 23 novembre 2006, causa C‑238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado, Racc. pag. I‑11125, punti 15‑17, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 42‑44).
58 In terzo luogo, il governo italiano afferma che la seconda questione pregiudiziale sottoposta nelle cause C‑379/07 e C‑380/07 è irricevibile in quanto le disposizioni transitorie di cui all’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, oggetto di tale questione, non si applicherebbero ai contratti oggetto del procedimento principale, poiché questi ultimi rientrerebbero, per contro, nell’ambito del regime generale stabilito agli artt. 5‑7 del medesimo decreto. La questione in parola non avrebbe pertanto alcun legame con i procedimenti principali.
59 Siffatta obiezione non può essere accolta. Invero, siccome dalle decisioni di rinvio risulta che, al momento dell’entrata in vigore del decreto presidenziale 164/2004, vale a dire il 19 luglio 2004, i contratti a tempo determinato oggetto delle cause principali erano ancora in corso, questi ultimi potevano rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 11 di tale decreto.
60 È pur vero che dalle decisioni di rinvio nelle suddette cause risulta che le ricorrenti nel procedimento principale non soddisfacevano le condizioni stabilite da tale disposizione per poter convertire i loro contratti in contratti di lavoro a tempo indeterminato.
61 Nondimeno, mediante la seconda questione nell’ambito delle suddette cause, il giudice del rinvio mira in particolare a stabilire se tali condizioni, che hanno comportato l’esclusione dei contratti de quibus dal regime transitorio istituito dall’art. 11 del decreto 164/2004, costituiscano una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, cosicché le ricorrenti nei procedimenti principali relativi a tali cause potrebbero inferire dalle disposizioni di detto accordo quadro il diritto di ottenere la conversione dei contratti de quibus in contratti a tempo indeterminato, secondo quanto già previsto, a loro avviso, da una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo, vale a dire dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
62 Di conseguenza, e tenuto conto della giurisprudenza citata al punto 57 della presente sentenza, non si può ritenere che l’interpretazione del diritto comunitario proposta nella seconda questione di cui alle cause C‑379/07 e C‑380/07 appaia manifestamente priva di rapporti con l’effettività o l’oggetto delle cause principali sottoposte al giudice del rinvio, le quali non sono, evidentemente, di tipo ipotetico.
63 In considerazione di quanto precede, le questioni proposte sono ricevibili.
Nel merito
64 Mediante un primo gruppo di questioni, il giudice del rinvio intende in sostanza interpretare le clausole 5, n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro, allo scopo di valutare se tali disposizioni ostino alla normativa nazionale oggetto del procedimento principale, ed in particolare al decreto presidenziale 164/2004, adottato per recepire detto accordo quadro specificamente nel settore pubblico. A tal fine, detto giudice solleva talune questioni sui seguenti punti:
– in primo luogo, per quanto riguarda le misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi indicate alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, sul margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nel recepire tale clausola qualora nel diritto interno esista già una «norma equivalente» ai sensi della medesima (prime questioni nelle cause da C‑378/07 a C‑380/07), nonché sulla nozione di «ragioni obiettive» ai sensi della stessa clausola [sesta questione, sub a), nella causa C‑378/07 e quinta questione, sub a), nelle cause C‑379/07 e C‑380/07];
– in secondo luogo, per quanto riguarda la nozione di «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, sul se tale clausola si applichi ai lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato (seconda questione nella causa C‑378/07) e se essa osti alle modifiche apportate al diritto interno preesistente dalla normativa nazionale di recepimento (terza e quarta questione nella causa C‑378/07, nonché seconda e terza questione nelle cause C‑379/07 e C‑380/07), e
– in terzo luogo, per quanto riguarda le sanzioni in caso di utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, se l’accordo quadro si opponga al divieto assoluto di conversione di detti contratti in contratti a tempo indeterminato vigente nel settore pubblico [sesta questione, sub b), nella causa C‑378/07 e quinta questione, sub b), nelle cause C‑379/07 e C‑380/07].
65 Inoltre, mediante le ultime questioni, il giudice del rinvio intende chiarire le conseguenze derivanti per i giudici nazionali da un’eventuale incompatibilità del decreto presidenziale 164/2004 rispetto alle disposizioni dell’accordo quadro (quinta questione nella causa C‑378/07, nonché quarta questione nelle cause C‑379/07 e C‑380/07).
66 È opportuno quindi rispondere alle questioni sottoposte dal giudice del rinvio nell’ordine indicato ai punti 64 e 65, premettendo però che, per la parte in cui detto giudice chiede alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità del decreto presidenziale 164/2004 con l’accordo quadro, nell’ambito del procedimento previsto dall’art. 234 CE ad esso non compete pronunciarsi sulla compatibilità di norme nazionali con il diritto comunitario; nondimeno, la Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione di diritto comunitario che possano metterlo in grado di valutare tale compatibilità per la soluzione delle controversie di cui è investito (v., in particolare, sentenza 5 luglio 2007, cause riunite C‑145/06 e C‑146/06, Fendt Italiana, Racc. pag. I‑5869, punto 30).
Sulle misure preventive dell’abuso ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
– Sul margine di discrezionalità degli Stati membri qualora nel diritto interno esista già una «norma equivalente»
67 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta all’adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004 che, al fine di recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel settore pubblico, prevede l’attuazione delle misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi indicate al punto 1, lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel diritto interno esista già una «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
68 Per poter risolvere tale questione, che mira a determinare il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nel recepimento della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, occorre prima di tutto determinare la portata della nozione di «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola.
69 Ad avviso sia del governo ellenico che della Commissione, l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 non costituirebbe una norma di questo tipo, essendo il suo obiettivo diverso rispetto a quello di tale clausola. Difatti, la suddetta legge, relativa al recesso dai contratti di lavoro a tempo indeterminato, non conterrebbe disposizioni tese a prevenire la stipulazione abusiva di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, bensì consentirebbe unicamente di riconoscere, in sede di recesso, la natura di un contratto come contratto a tempo indeterminato. In ogni caso, secondo il governo ellenico, la possibilità di convertire un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato non avrebbe alcun effetto dissuasivo rispetto alla stipulazione di contratti successivi nel settore pubblico, dato che le conseguenze finanziarie di una conversione siffatta sarebbero assunte dalla collettività e non necessariamente dal datore di lavoro interessato, contrariamente a quanto avviene nel settore privato.
70 Occorre in proposito sottolineare che, se è vero che, come si è ricordato ai punti 48‑51 della presente sentenza, compete al giudice del rinvio interpretare il diritto nazionale, vale a dire, nel caso di specie, l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, e che, pertanto, per risolvere le questioni sottoposte, occorre ammettere che detta disposizione consente la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico, come ritenuto dal giudice del rinvio, vero è anche che la nozione di «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro costituisce di per sé una nozione di diritto comunitario che deve essere interpretata in modo uniforme in ciascuno Stato membro.
71 È sicuramente esatto, a tale riguardo, che l’accordo quadro, come risulta dal punto 10 delle sue considerazioni generali, demanda agli Stati membri e alle parti sociali la definizione delle modalità dettagliate di attuazione dei principi e requisiti che esso detta, al fine di garantire la loro conformità al diritto e/o alle prassi nazionali e la debita considerazione delle peculiarietà delle situazioni concrete (sentenza Adeneler e a., cit., punto 68, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 87).
72 Tuttavia, a meno che l’accordo quadro non operasse un rinvio a tale proposito agli Stati membri conformemente al diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70, il tenore dei suddetti principi e requisiti non potrebbe variare a seconda del diritto nazionale degli Stati membri, dal momento che, secondo il quattordicesimo ‘considerando’ della suddetta direttiva e il preambolo del detto accordo quadro, quest’ultimo mira a stabilire a livello comunitario un quadro generale relativo all’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato.
73 Nel caso di specie, poiché la nozione di «norma equivalente» non è definita dall’accordo quadro, occorre rilevare, in mancanza di un rinvio al diritto degli Stati membri, che la clausola 5, n. 1, di detto accordo mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti da tale accordo, vale a dire limitare il ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v. sentenza Adeneler e a., cit., punto 63, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 84).
74 Quindi, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, per «prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi», di adottare una o più tra le misure da essa elencate qualora nel diritto nazionale manchino «norme equivalenti» volte alla prevenzione di tali abusi. Le misure così elencate al n. 1, lett. a)‑c) di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi (v. sentenza 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 69, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 80).
75 La stessa formulazione di tale clausola indica in modo inequivocabile che le diverse misure da essa considerate sono concepite come «equivalenti» (sentenza Impact, cit., punto 76).
76 Di conseguenza appare che, attraverso l’espressione «norme equivalenti», la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro intende includere ogni norma di diritto nazionale volta a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti lavoro a tempo determinato successivi, allo stesso modo delle norme contemplate da detta clausola (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 65).
77 Come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 53 e 54 delle sue conclusioni, è irrilevante a tale riguardo che la norma di diritto nazionale oggetto del procedimento principale, nella fattispecie l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, non preveda le misure particolari di cui alla clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), dell’accordo quadro, oppure che essa non sia stata emanata appositamente per tutelare i lavoratori dagli abusi in materia di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, oppure, ancora, che il suo ambito di applicazione non sia limitato unicamente a questi contratti. Infatti, poiché tale articolo è idoneo a contribuire, eventualmente in combinato con altre disposizioni di diritto interno, anche ad un’effettiva prevenzione del ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, esso deve essere considerato equivalente alle misure di cui alla clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), dell’accordo quadro.
78 Nelle cause principali, spetta al giudice del rinvio esaminare entro quali limiti la possibilità a suo avviso prevista dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 di convertire, nel settore pubblico, un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora esso soddisfi, in realtà, esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, sia idonea a contribuire a tale effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. Nell’ipotesi in cui il giudice dovesse concludere che la disposizione de qua comporti un effetto di questo tipo, essa dovrebbe essere considerata una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro.
79 Per quanto riguarda, poi, la questione se, in un siffatto contesto, l’esistenza di una «norma equivalente» ai sensi di detta clausola osti all’adozione da parte dello Stato membro interessato di una normativa nazionale che, come il decreto presidenziale 164/2004, preveda ai suoi artt. 5‑7 e 11 talune misure specifiche per prevenire l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, al fine di recepire la direttiva 1999/70, occorre ricordare che, allorché la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enunciate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il diritto nazionale non preveda già norme equivalenti, essa assegna agli Stati membri un obiettivo generale consistente nella prevenzione di tali abusi, pur lasciando loro la scelta dei mezzi per conseguirlo (sentenza Impact, cit., punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
80 Ne consegue che, in virtù di tale disposizione, gli Stati membri beneficiano di un margine di discrezionalità nel conseguimento di tale obiettivo, a condizione tuttavia che essi garantiscano il risultato imposto dal diritto comunitario, così come risulta non solo dall’art. 249, terzo comma, CE, ma anche dall’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, letto alla luce del diciassettesimo ‘considerando’ di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 68, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit, punto 87).
81 Come la Corte ha già dichiarato, rientra quindi nel potere discrezionale di cui godono gli Stati membri ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro ricorrere, al fine di garantire l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, pur tenendo conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (v. sentenza Impact, cit., punto 71).
82 Pertanto, se, in assenza di norme equivalenti nel suo diritto interno, uno Stato membro deve necessariamente adottare una o più tra le misure di prevenzione enunciate nella clausola 5, n. 1, lett. a‑c, dell’accordo quadro al fine di trasporre correttamente la direttiva 1999/70 (v., in tal senso, le precitate sentenze Adeneler e a., punto 65, e Impact, punti 69 e 70, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 80), l’esistenza di una siffatta norma equivalente non può, per contro, privare tale Stato della possibilità di adottare, in aggiunta ad essa, una o più tra le misure enunciate nella suddetta clausola 5, n. 1, lett. a – c, in particolare al fine di modificare o di completare la tutela derivante da tale norma equivalente, a pena di impedire qualsiasi evoluzione della normativa nazionale esistente, come hanno sostanzialmente riconosciuto tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte.
83 Occorre tuttavia ricordare che il margine di discrezionalità così lasciato agli Stati membri non è illimitato e, in particolare, non può in alcun caso arrivare a pregiudicare lo scopo o l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 82).
84 Così, posto che, come risulta dai punti 73‑77 e 79 della presente sentenza, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro mira ad obbligare gli Stati membri a garantire nei rispettivi diritti nazionali l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, l’adozione della relativa normativa nazionale di trasposizione non può avere per effetto di compromettere l’efficacia della suddetta prevenzione, come derivante in precedenza da una «norma equivalente» ai sensi di detta clausola 5, n. 1. A tale riguardo, occorre in particolare che la situazione giuridica derivante dalle varie misure esistenti nel diritto nazionale sia sufficientemente precisa e chiara, di modo che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali.
85 Inoltre, il potere discrezionale conferito agli Stati membri alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro deve essere esercitato altresì nel rispetto del diritto comunitario, e, in particolare, dei principi generali di quest’ultimo nonché delle altre disposizioni dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punti 50‑54 e 63‑65).
86 A tale proposito occorre in particolare sottolineare che, qualora nel diritto interno esistano già talune disposizioni volte a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato idonee a costituire una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, l’adozione da parte di uno Stato membro di una o più tra le misure enunciate nella clausola 5, n. 1, lett. a – c, di tale accordo non può costituire una valida giustificazione per la riduzione del livello generale di tutela dei lavoratori nell’ambito disciplinato dall’accordo quadro ai sensi della clausola 8, n. 3, di esso, la quale è oggetto delle questioni che saranno esaminate ai punti 108 – 178 della presente sentenza.
87 Occorre quindi rispondere al giudice del rinvio che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta all’adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004, che, al fine di recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel settore pubblico, prevede l’applicazione delle misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi indicate al n. 1, lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel diritto interno esista già una «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, circostanza che compete al giudice del rinvio verificare, a condizione però che detta normativa, da un lato, non comprometta l’effettività della prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, come derivante dalla suddetta norma equivalente, e, dall’altro, rispetti il diritto comunitario ed in particolare la clausola 8, n. 3, di detto accordo.
– Sulla necessità di «ragioni obiettive» ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro
88 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale venga applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in maniera tale che la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, siano essi primi o unici contratti oppure contratti successivi, sia considerata giustificata da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola, per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne consentono la conclusione o il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono «permanenti e durevoli».
89 Come risulta dalle decisioni di rinvio, tali questioni sono poste dal giudice investito delle cause principali per il motivo che una siffatta applicazione del diritto nazionale sarebbe idonea ad ostacolare il potere conferitogli dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, da lui qualificato come «norma equivalente», di convertire contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Infatti, secondo la giurisprudenza nazionale, una simile conversione sarebbe esclusa qualora la durata determinata fosse giustificata da ragioni obiettive.
90 Anzitutto, occorre osservare che l’accordo quadro non impone agli Stati membri di adottare una misura che imponga di giustificare ogni primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con tali ragioni obiettive. Invero, come la Corte ha già affermato, questo tipo di contratti di lavoro a tempo determinato non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, la quale verte unicamente sulla prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, dato che le ragioni obiettive enunciate al n. 1, lett. a), di tale clausola vertono unicamente sul rinnovo di detti contratti o rapporti (v. sentenza Mangold, cit., punti 41‑43).
91 Inoltre, per quanto riguarda i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, occorre ricordare che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, che mira specialmente a prevenire gli abusi derivanti dal loro utilizzo, impone agli Stati membri l’obbligo di introdurre nel loro ordinamento giuridico una o più delle misure enunciate al suo punto 1, lett. a)‑c), qualora non siano già in vigore nello Stato membro interessato norme equivalenti volte a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di quel tipo di contratti di lavoro. Fra tali misure, la clausola 5, n. 1, lett. a), prevede le «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti» (v. sentenza Adeneler e a., cit., punti 64‑66).
92 Come si evince dal punto 7 delle considerazioni generali dell’accordo quadro, infatti, le sue parti firmatarie hanno ritenuto che l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato fondato su ragioni obiettive costituisca un mezzo di prevenzione degli abusi (sentenza Adeneler e a., cit., punto 67, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 86).
93 Tuttavia, come si è rilevato ai punti 79‑82 della presente sentenza, gli Stati membri dispongno di un margine di discrezionalità nell’attuazione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, dato che possono scegliere di ricorrere ad una o più tra le misure enunciate al n. 1, lett. a)‑c), di tale clausola, o, ancora, a norme equivalenti in vigore.
94 Ne consegue che, ai fini di tale attuazione, uno Stato membro è legittimato a scegliere di non adottare la misura di cui al n. 1, lett. a), di detta clausola, consistente nell’imporre di giustificare il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi con ragioni obiettive. Per contro, esso può preferire l’adozione di una delle misure di cui al n. 1, lett. b) e c), della medesima clausola, relativi, rispettivamente, alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e al numero dei loro rinnovi, oppure, ancora, optare per la conservazione di una norma equivalente in vigore, purché, quale che sia la misura in concreto adottata, venga garantita l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 101).
95 Nondimeno, se, al fine di attuare la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, uno Stato membro optasse per l’adozione della misura di cui al n. 1, lett. a), di tale clausola, consistente nell’imporre di giustificare il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi con ragioni obiettive, esso sarebbe tenuto a garantire il risultato imposto dal diritto comunitario, come risultante non soltanto dall’art. 249, terzo comma, CE, ma anche dall’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, letto alla luce del suo diciassettesimo ‘considerando’ (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 68, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 87).
96 In tale contesto, come la Corte ha già avuto modo di rilevare, la nozione di «ragioni obiettive» ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenze Adeneler e a., cit., punti 69 e 70, e 13 settembre 2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso, Racc. pag. I‑7109, punto 53, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 88 e 89).
97 Per contro, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, non sarebbe conforme a criteri come quelli precisati ai due punti precedenti (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 71, e Del Cerro Alonso, punto 54, nonché l’ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 90).
98 Invero, una siffatta disposizione, di natura meramente formale e che non giustifica in modo specifico l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi con l’esistenza di fattori oggettivi relativi alle peculiarità dell’attività interessata e alle condizioni del suo esercizio, comporta un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 72, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 91).
99 Quindi, il fatto di ammettere che una disposizione nazionale possa, di diritto e senza ulteriore precisazione, giustificare contratti di lavoro a tempo determinato successivi equivarrebbe ad ignorare la finalità dell’accordo quadro, consistente nel proteggere i lavoratori dall’instabilità dell’impiego, ed a svuotare di contenuto il principio secondo il quale i contratti a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 73, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 92).
100 Più in particolare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato sulla sola base di una disposizione generale, senza relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti atti a verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, e se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e necessario a tale effetto (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 74, e Del Cerro Alonso, punto 55, nonché l’ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 93).
101 Come risulta dagli atti presentati alla Corte, tuttavia, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale non prevede più che il fatto che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato sia imposta per legge costituisca una ragione obiettiva atta a giustificare di pieno diritto il rinnovo senza limiti di un siffatto contratto. Per contro, sembra che tale normativa stabilisca le circostanze precise e concrete nelle quali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi possono essere conclusi nel settore pubblico. Infatti, il ricorso a tali contratti è consentito, rispettivamente, dall’art. 5, n. 2, del decreto presidenziale 164/2004, per soddisfare «esigenze particolari» che sono «riconducibili alla forma, al tipo o all’attività dell’impresa», oppure dall’art. 1 della legge 3250/2004, per soddisfare «esigenze complementari» relative alla prestazione ai cittadini di «servizi di carattere sociale», oppure dall’art. 6, n. 1, della legge 2527/1997, per la realizzazione di opere che non rientrano tra le «funzioni ordinarie dei dipendenti», oppure, ancora, dall’art. 21, n. 1, della legge 2190/1994, per far fronte a «fabbisogni di carattere stagionale o ad altre esigenze di carattere periodico o temporaneo dell’ente interessato».
102 Quindi, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale consente la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato essenzialmente al fine di soddisfare esigenze provvisorie, come rilevato dal medesimo giudice del rinvio nelle proprie questioni. Orbene, si deve riconoscere che esigenze di questo tipo sono idonee a costituire «ragioni obiettive» per il rinnovo di tali contratti ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro.
103 Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi 106 e 107 delle sue conclusioni, la circostanza per cui le disposizioni della normativa nazionale oggetto del procedimento principale menzionate al punto 101 della presente sentenza forniscono una giustificazione per il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti nei casi in cui, in realtà, le esigenze a cui essi rispondono hanno di fatto un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, «permanente e durevole», si porrebbe in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla clausola in questione, la quale mira a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti lavoro a tempo determinato successivi. (v., per analogia, sentenza Adeneler e a., cit., punto 88, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 110).
104 Infatti, un tale utilizzo dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato sarebbe incompatibile con la premessa sulla quale si fonda l’accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, mentre i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività, come si evince dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali dell’accordo quadro stesso (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 61, e Impact, punto 86, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 82).
105 Di conseguenza il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (v. sentenza Mangold, cit., punto 64), mentre, come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro e dal punto 8 delle sue considerazioni generali, i contratti di lavoro a tempo determinato sono idonei a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori soltanto in alcune circostanze (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 62, e Impact, punto 87, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 83).
106 Quindi, posto che, secondo una costante giurisprudenza, l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai sensi dell’art. 10 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi di detti Stati, ivi compresi, nell’ambito delle rispettive competenze, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenze 13 novembre 1990, causa C‑106/89, Marleasing, Racc. pag. I‑4135, punto 8; 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I‑7411, punto 40, e 5 ottobre 2004, cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835, punto 110), spetta a tutte le autorità dello Stato membro in questione garantire, nell’ambito delle rispettive competenze, il rispetto della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro, verificando in concreto che la normativa nazionale la quale consente il rinnovo, nel settore pubblico, di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi destinati a soddisfare esigenze provvisore non sia di fatto utilizzata per soddisfare esigenze permanenti e durevoli.
107 Si deve pertanto rispondere al giudice del rinvio che la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale venga applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in un modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per contro, la medesima clausola non si applica nel caso di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
Sulla nozione di «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro
– Sulla reformatio in peius riguardante i lavoratori che hanno stipulato per la prima o unica volta un contratto di lavoro a tempo determinato
108 Mediante la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che la «reformatio in peius» oggetto di tale clausola debba essere valutata unicamente in rapporto al livello generale di tutela applicabile nello Stato membro interessato ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, senza prendere in considerazione la tutela applicabile ai lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
109 Come si evince dalla decisione di rinvio nella causa C‑378/07, la suddetta questione è posta con riferimento a una normativa nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004, che, ad avviso del giudice del rinvio, stabilisce talune misure di protezione dall’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato soltanto nei casi in cui essi abbiano un carattere successivo, quando invece il diritto interno previgente di cui all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 si applicava anche nei casi in cui il contratto fosse il primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato stipulato fra le parti.
110 È opportuno ricordare che, ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, «la [sua] applicazione non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dal [medesimo] accordo».
111 Orbene, per quanto riguarda l’ambito disciplinato dall’accordo quadro, occorre rilevare che il suo preambolo, al primo comma, specifica che tale accordo mira a contribuire ad «un equilibrio migliore tra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori». A termini del quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70, che sostanzialmente riprende il terzo comma di detto preambolo, l’accordo quadro stabilisce a tal fine «i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato». Il quinto comma del medesimo preambolo specifica altresì che tale accordo «si riferisce alle condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo determinato».
112 L’accordo quadro, ed in particolare la sua clausola 8, n. 3, persegue quindi uno scopo che rientra negli obiettivi fondamentali iscritti all’art. 136, primo comma, CE, come pure al terzo comma del preambolo del Trattato CE e ai punti 7 e 10, primo comma, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, alla quale rinvia la suddetta disposizione del Trattato, e che sono connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla parificazione nel progresso, nonché all’esistenza di una protezione sociale adeguata, nella fattispecie, dei lavoratori a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Impact, cit., punto 112).
113 Alla luce di tali obiettivi, la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non può essere interpretata in modo restrittivo.
114 Orbene, stando alla stessa formulazione della clausola 2 dell’accordo quadro, esso si applica a ogni lavoratore a tempo determinato con un contratto o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore in ciascuno Stato membro.
115 Ai sensi della clausola 3 dell’accordo quadro de quo, la nozione di «lavoratore a tempo determinato» indica «una persona con un contratto o un rapporto di lavoro [a tempo determinato] definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico».
116 Risulta dunque chiaramente sia dall’obiettivo perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla formulazione delle pertinenti disposizioni di esso, che, contrariamente a quanto sostanzialmente sostenuto dal governo greco e dalla Commissione, l’ambito disciplinato da tale accordo non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 28), indipendentemente dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori.
117 Quindi, occorre osservare che la clausola 4 dell’accordo quadro prevede che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, senza limitare l’ambito applicativo di tale divieto ai soli contratti di lavoro a tempo determinato successivi.
118 È pur vero che, dal canto suo, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, che attua a tale riguardo la sua clausola 1, lett. b), ha per oggetto unicamente l’adozione da parte degli Stati membri di misure dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi.
119 Tuttavia, le due clausole da ultimo menzionate non stabiliscono l’ambito di applicazone di detto accordo, e, pertanto, non possono avere l’effetto di limitare l’ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, la quale, collocata in una sezione distinta dell’accordo quadro relativa alla sua attuazione, non compie del resto alcun rinvio né alla clausola 1, lett. b), dell’accordo quadro, né alla clausola 5, n. 1, di esso.
120 Ne risulta che la verifica dell’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve effettuarsi in rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.
121 Di conseguenza, occorre rispondere al giudice del rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato.
– Sulle modifiche introdotte dalla normativa nazionale di trasposizione rispetto al diritto interno preesistente
122 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale come il decreto presidenziale 164/2004, la quale – diversamente da una norma di diritto interno previgente quale l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, costituente, ad avviso di detto giudice, una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, del medesimo accordo – da un lato non prevede più, per l’ipotesi di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico, la conversione di questi ultimi in contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure il loro assoggettamento al rispetto di talune condizioni cumulative e restrittive, e, dall’altro, esclude i lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato dal godimento delle misure di tutela da esso previste.
123 A tale proposito, si deve anzitutto osservare che, contrariamente a quanto suggerito dal giudice del rinvio nonché dal governo ellenico e dalla Commissione, l’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non deve essere esaminata unicamente in rapporto al livello di tutela applicabile ai lavoratori a tempo determinato, quale risultante da una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo.
124 Infatti, come ricordato in particolare dai punti 116‑121 della presente sentenza, risulta sia dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro, sia dalla formulazione della sua clausola 8, n. 3, che la verifica dell’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi di detta clausola deve effettuarsi in rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto interno relative ai contratti di lavoro a tempo determinato. A tale proposito, è irrilevante che queste disposizioni possano costituire, o meno, «norme equivalenti» ai sensi della clausola 5, n. 1, di tale accordo, poiché del resto la clausola 8, n. 3, di esso non rinvia a quest’ultima clausola.
125 Si deve poi ricordare, con riguardo alla portata della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, che dalla stessa formulazione di tale clausola risulta che l’applicazione dell’accordo de quo non può costituire per gli Stati membri un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela in precedenza garantito ai lavoratori nell’ordinamento giuridico nazionale nel settore disciplinato da tale accordo (sentenza Mangold, cit., punto 50).
126 Ne consegue che una riduzione della tutela offerta ai lavoratori nel settore dei contratti di lavoro a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall’accordo quadro, ma che, per rientrare nel divieto sancito dalla clausola 8, n. 3, di esso, tale riduzione deve, da un lato, essere collegata con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, avere ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punto 52).
127 Nel caso di specie, come risulta dagli atti presentati alla Corte, la reformatio in peius invocata dal giudice del rinvio e dedotta dalle ricorrenti nei procedimenti principali, in ordine ai lavoratori con contratti di lavoro successivi discende dalla circostanza che, a differenza dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, il quale, secondo il giudice del rinvio, consentiva, qualora un contratto di lavoro a tempo determinato fosse stato stipulato per fronteggiare esigenze permanenti e durevoli, la sua conversione automatica, con effetto retroattivo, in contratto a tempo indeterminato, gli artt. 5‑7 del decreto presidenziale 164/2004 di trasposizione della direttiva 1999/70 non prevedono più, per il settore pubblico, una siffatta possibilità di conversione, ed al contempo l’art. 11 di detto decreto assoggetta tale possibilità, prevista unicamente a titolo di disposizione transitoria per taluni contratti successivi esistenti al momento dell’entrata in vigore di tale decreto, al rispetto di numerose condizioni restrittive e la priva di effetti retroattivi.
128 Peraltro, per quanto riguarda i lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, la reformatio in peius consisterebbe nel fatto che tali lavoratori, ai quali si applicavano le misure di tutela derivanti dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, risulterebbero esclusi dall’ambito di applicazione del decreto presidenziale 164/2004.
129 Occorre in proposito osservare che, dal momento che l’interpretazione del diritto nazionale spetta esclusivamente ai giudici nazionali, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 48 della presente sentenza, è compito di questi ultimi determinare in quale misura le sudette modifiche, introdotte dal decreto presidenziale 164/2004 rispetto al diritto nazionale preesistente quale risulta dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, hanno comportato una riduzione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, a tal fine comparando il livello di tutela rispettivamente accordato da ciascuna di queste disposizioni nazionali.
130 Di contro, spetta, se del caso, alla Corte in sede di decisione sul rinvio pregiudiziale fornire al giudice del rinvio indicazioni utili a guidarlo nella sua valutazione sul punto di sapere se detta eventuale riduzione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato costituisca una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro. A tal fine, occorre esaminare in quale misura le modifiche introdotte dalla normativa nazionale volta a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro siano tali, da un lato, da essere considerate collegate con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, da riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori ai sensi della sua clausola 8, n. 3.
131 Per quanto concerne, in primo luogo, la condizione del collegamento con l’«applicazione» dell’accordo quadro, la Corte ha già dichiarato che quest’ultima espressione, utilizzata senza ulteriori precisazioni nella clausola 8, punto 3, dell’accordo quadro, non riguarda la sola iniziale trasposizione della direttiva 1999/70 e, in particolare, del suo allegato contenente l’accordo quadro, ma copre ogni misura nazionale intesa a garantire che l’obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successivamente alla trasposizione propriamente detta, completino o modifichino le norme nazionali già adottate (sentenza Mangold, cit., punto 51).
132 Ne consegue che una normativa nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004, costituente la seconda misura di attuazione adottata dallo Stato membro interessato al fine di trasporre la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro, può rientrare nella clausola 8, n. 3, di detto accordo.
133 Nondimeno, una siffatta normativa non potrebbe essere considerata contraria a detta clausola nel caso in cui la reformatio in peius che essa comporta non fosse in alcun modo collegata con l’applicazione dell’accordo quadro. Ciò avverrebbe qualora detta reformatio in peius fosse giustificata non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo, da essa distinto (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punti 52 e 53).
134 Nel caso di specie, per quanto riguarda, da un lato, la modificazione in ordine alla possibilità di conversione dei contratti di lavoro a durata determinata, risulta che sin dal 1994, vale a dire circa cinque anni prima dell’adozione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, l’art. 21, n. 2, della legge 2190/1994 già prevedeva il divieto, assoluto e a pena di nullità, di qualsiasi conversione in contratti di lavoro a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nel settore pubblico in base alla medesima legge (v., a tale proposito, sentenza Adeneler e a., cit., punto 98).
135 Una siffatta disposizione potrebbe indurre a ritenere che il fatto che il decreto presidenziale 164/2004 non prevede la possibilità di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, oppure la assoggetta a talune condizioni, sia giustificato non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, bensì da quella di garantire nel settore pubblico il rispetto dei procedimenti di assunzione tramite concorso, in tal modo preservando lo statuto dei dipendenti della pubblica amministrazione ellenica, come sostenuto dalle convenute nel procedimento principale e dal governo greco.
136 Tuttavia, dalle decisioni di rinvio risulta altresì che, secondo il giudice adito per le controversie principali, cui spetta interpretare il diritto nazionale, l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 – che a suo avviso consente una siffatta conversione, anche nel settore pubblico, dei contratti di lavoro a tempo determinato che non siano giustificati da una ragione obiettiva – era ancora in vigore al momento dell’adozione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro.
137 Inoltre, come risulta dal quarto ‘considerando’ della direttiva 1999/70, la sua adozione, e quella dell’accordo quadro, scaturisce da due proposte di direttive presentate dalla Commissione nel 1990 relative a taluni rapporti di lavoro per quanto riguarda le condizioni di lavoro [proposta di direttiva del Consiglio relativa a determinati rapporti di lavoro per quanto riguarda le condizioni di lavoro (GU 1990, C 224, pag. 4)] e le distorsioni di concorrenza [proposta di direttiva del Consiglio relativa a determinati rapporti di lavoro per quanto riguarda le distorsioni di concorrenza (GU 1990, C 224, pag. 6, come modificata (GU 1990, C 305, pag. 8)] sulle quali il Consiglio non è stato in grado di deliberare. Orbene, occorre rilevare che quest’ultima proposta già prevedeva, al suo art. 4, l’obbligo degli Stati membri di adottare misure al fine di evitare che contratti di lavoro a tempo determinato potessero essere destinati ad assegnare un posto di lavoro esistente e permanente.
138 In tale contesto, non si può escludere che il fatto che il decreto presidenziale n. 164/2004 non prevede la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico, oppure la assoggetta a determinate condizioni, sia collegato con l’applicazione dell’accordo quadro, fermo restando che spetta al giudice del rinvio verificare tale fatto. Così potrebbe essere, a maggior ragione, poiché, come risulta dal punto 23 della presente sentenza, l’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica è stato modificato al fine di vietare in modo assoluto la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato nel settore pubblico in seguito all’entrata in vigore della direttiva 1999/70 e prima della scadenza del suo termine di trasposizione.
139 Per quanto riguarda, dall’altro lato, la modifica risultante dall’esclusione dei lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato dalla tutela prevista dal decreto presidenziale 164/2004, si deve ammettere che essa potrebbe essere collegata con l’applicazione dell’accordo quadro, dato che, stando alla decisione di rinvio nella causa C‑378/07, tali lavoratori godevano, al momento dell’adozione della direttiva 1999/70 e di tale accordo, delle misure di tutela previste all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920. Inoltre, non risulta da alcun elemento degli atti presentati alla Corte che, nel prevedere siffatta esclusione, il legislatore nazionale avesse mirato a promuovere un obiettivo diverso da quello dell’applicazione dell’accordo quadro, circostanza che, comunque, spetta al giudice del rinvio verificare.
140 Per quanto concerne, in secondo luogo, la condizione secondo cui la reformatio in peius deve riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato, essa implica che soltanto una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato può rientrare nell’ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro.
141 Tuttavia, nel caso di specie, per quanto riguarda la modifica derivante dall’esclusione dei lavoratori che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato dall’ambito di applicazione del decreto presidenziale 164/2004, sembra che detta modifica non incida su tutti i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, ma soltanto su quelli che, da un lato, operano nel settore pubblico, e, dall’altro, non sono parti contraenti di contratti di lavoro a tempo determinato successivi.
142 Finanto che questi ultimi lavoratori non rappresentano una porzione significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato nello Stato membro in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la riduzione della tutela di cui gode una siffatta, ristretta, categoria di lavoratori non è di per sé tale da influenzare complessivamente il livello di tutela applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato.
143 Quanto alla modifica riguardante la possibilità di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, occorre osservare che, se è vero che il decreto presidenziale n. 164/2004 non prevede detta conversione oppure la assoggetta a condizioni restrittive, esso non soltanto si applica esclusivamente ai lavoratori operanti nel settore pubblico, ma, inoltre, applica in detto settore l’insieme delle misure enunciate alla clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), dell’accordo quadro, destinate a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
144 Orbene, l’adozione di dette misure di prevenzione degli abusi, fintanto che esse costituiscano, in tutto o in parte, una novità nell’ordinamento giuridico interno (v., in proposito, sentenza Adeneler e a., cit., punto 100), circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, è tale da compensare la riduzione di tutela derivante dall’abrogazione oppure dalla limitazione della sanzione precedentemente applicabile in caso di abuso, consistente nella conversione del contratto di lavoro in questione in contratto a tempo indeterminato.
145 Una siffatta evoluzione della normativa nazionale, nel senso di un rafforzamento delle misure volte a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, è del resto conforme all’obiettivo perseguito dall’accordo quadro. Da un lato, infatti, tale accordo mira proprio a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di tali contratti, come si evince dalle sue clausole 1, lett. b), e 5, n. 1 (sentenza Adeneler e a., cit., punto 79, nonché 7 settembre 2006, causa C‑53/04, Marrosu e Sardino, Racc. pag. I‑7213, punto 43). Dall’altro lato, l’accordo quadro de quo non prevede sanzioni specifiche per il caso in cui siano stati accertati abusi, e, in particolare, non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la conversione in contratti di lavoro a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi (v. sentenza Adeneler e a., cit., punti 91 e 94), lasciando quindi agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia (sentenza Marrosu e Sardino, cit., punto 47). Così, la clausola 5, n. 2, lett. b), di tale accordo si limita a prevedere che, «se del caso», gli Stati stabiliscono a quali condizioni i contratti di lavoro a tempo determinato sono «ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
146 In tale contesto, occorre constatare che le modifiche introdotte da una normativa nazionale tesa, come quella oggetto del procedimento principale, a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro, non sembrano costituire una «reformatio in peius» del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro nei limiti in cui esse riguardino una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato oppure siano idonee ad essere compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare.
147 Ciò nondimeno, l’attuazione dell’accordo quadro deve effettuarsi nel rispetto delle altre disposizioni di tale accordo.
148 Occorre in proposito ricordare che, secondo il quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70 ed il terzo comma del preambolo dell’accordo quadro, quest’ultimo stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato. Quindi, la clausola 8, n. 1, dell’accordo quadro autorizza espressamente gli Stati membri e/o le parti sociali a mantenere o introdurre, per i lavoratori a tempo determinato, disposizioni più favorevoli di quelle stabilite dal medesimo accordo.
149 Ne risulta che l’attuazione dell’accordo quadro non può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dall’accordo quadro al fine di evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 63, e Impact, punto 88; v. altresì, per analogia, con riguardo alla clausola 4 dell’accordo quadro, sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 27).
150 Con specifico riferimento ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, l’attuazione dell’accordo quadro deve quindi essere conforme alle prescrizioni di cui alla sua clausola 5, volte a prevenire gli abusi nell’utilizzo di tali contratti.
151 Per quanto riguarda l’adozione delle suddette misure preventive degli abusi, occorre ricordare che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti (v. sentenze Adeneler e a., cit., punto 101; Marrosu e Sardino, cit., punto 50; Vassallo, C–180/04, Racc. pag. I–7251, punto 35, e Impact, cit., punto 70, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 124).
152 Orbene, nel caso di specie, è pacifico che gli artt. 5 e 6 del decreto presidenziale 164/2004 applicano, nel settore pubblico, l’insieme delle misure destinate a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi enunciate alla predetta clausola 5, n. 1, lett. a)‑c).
153 Tuttavia, le ricorrenti nel procedimento principale sostengono che, dato che il suddetto decreto riconosce come aventi carattere «successivo» soltanto i contratti di lavoro a tempo determinato separati da un lasso temporale inferiore ai tre mesi, esso non assicura una prevenzione efficace dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, poiché in Grecia tali contratti sono normalmente separati da un lasso temporale di quattro mesi.
154 A tale riguardo occorre ricordare che l’accordo quadro enuncia, in particolare alla sua clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), varie misure dirette a prevenire abusi di questo tipo, e che gli Stati membri sono tenuti ad introdurre almeno una di tali misure nel loro ordinamento interno. Per il resto, il n. 2 di tale clausola lascia in linea di principio agli Stati membri la cura di stabilire a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vengono considerati, da un lato, come successivi e, dall’altro, come conclusi a tempo indeterminato (sentenza Adeneler e a., cit., punti 80 e 81, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 103 e 104).
155 Anche se un siffatto rinvio alle autorità nazionali per la definizione delle modalità concrete di applicazione dei termini «successivi» e «a tempo indeterminato» ai sensi dell’accordo quadro si spiega con la volontà di rispettare la diversità delle normative nazionali in materia, occorre comunque ricordare che la discrezionalità così lasciata agli Stati membri non è illimitata, poiché non può comunque giungere a pregiudicare lo scopo o l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 82, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 105).
156 Così, la Corte ha già ritenuto che una disposizione nazionale la quale consideri successivi i soli contratti di lavoro a tempo determinato separati da un lasso temporale inferiore o pari a 20 giorni lavorativi deve essere considerata tale da compromettere l’obiettivo, la finalità nonché l’effettività dell’accordo quadro. Infatti, una definizione così rigida e restrittiva del carattere successivo di vari contratti di lavoro che si susseguono consentirebbe di assumere lavoratori in modo precario per anni, poiché, nella pratica, il lavoratore non avrebbe nella maggior parte dei casi altra scelta che accettare interruzioni dell’ordine di 20 giorni lavorativi nel contesto di una serie di contratti con il suo datore di lavoro (sentenza Adeneler e a., cit., punti 84 e 85, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 107 e 108).
157 Di contro, la Corte ha altresì già dichiarato che la normativa oggetto dei procedimenti principali, la quale riconosce come aventi carattere «successivo» soltanto i contratti di lavoro a tempo determinato separati da un lasso temporale inferiore ai tre mesi, non appare di per sé altrettanto rigida e restrittiva. Invero, detto lasso di tempo può generalmente essere considerato sufficiente ad interrompere ogni rapporto di lavoro esistente, e, di conseguenza, a comportare che ogni eventuale contratto ulteriormente sottoscritto non sia considerato come successivo. Ne consegue che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro non si oppone, in linea di principio, a una normativa come quella oggetto del procedimento principale. Tuttavia, spetta alle autorità e ai giudici nazionali, competenti per l’applicazione delle misure di trasposizione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, e, quindi, chiamati a pronunciarsi sulla qualificazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi, esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso concreto, prendendo in considerazione, segnatamente, il numero di tali contratti successivi stipulati con lo stesso soggetto oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro, al fine di escludere che i rapporti di lavoro a tempo determinato siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro (v. ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 115‑117).
158 Per quanto riguarda, poi, la repressione degli abusi, occorre ricordare che qualora, come nel caso di specie, il diritto comunitario non preveda sanzioni specifiche nelle ipotesi in cui non siano stati nemmeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche abbastanza effettivo e dissuasivo da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51, nonché Vassallo, punto 36, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 125).
159 Seppure in mancanza di una specifica disciplina comunitaria in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi, esse non devono, però, essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu e Sardino, punto 52, e Vassallo, punto 37, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 126).
160 Ne consegue che, qualora si sia verificato un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Difatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [stessa] direttiva» (citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53, e Vassallo, punto 38, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 127).
161 Ne consegue che, sebbene uno Stato membro come quello di cui al procedimento principale abbia il diritto di non prevedere la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato quale sanzione in caso di mancato rispetto delle misure preventive sancite dalla normativa nazionale di trasposizione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come risulta dal punto 144 della presente sentenza, detto Stato deve comunque assicurarsi che le altre sanzioni adottate dalla medesima normativa abbiano un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di dette misure preventive (v., in tal senso, le precitate sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 123).
162 Nel caso di specie, le ricorrenti nel procedimento principale sostengono, in primo luogo, che le sanzioni di cui all’art. 7 del decreto presidenziale 164/2004 non possono essere considerate tali da avere un carattere efficace e dissuasivo. Infatti, da un lato, il pagamento di uno stipendio e di un’indennità di licenziamento previsto al n. 2 di tale disposizione non sarebbe affatto inteso a prevenire il ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, bensì costituirebbe la sanzione prevista dal diritto comune del lavoro. Dall’altro, le sanzioni penali e disciplinari di cui al n. 3 di detto art. 7 già esistevano, e, per di più, erano risultate totalmente inefficaci in Grecia. Inoltre, nella prassi, tali sanzioni non sarebbero state applicate a numerose categorie di lavoratori impiegati a tempo determinato, come quelli vincolati da contratti d’opera o da contratti di lavoro stipulati in base alla legge 2190/1994.
163 A tale riguardo, occorre ricordare che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale, poiché tale compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio o, eventualmente, ai giudici nazionali competenti, i quali devono determinare se i requisiti ricordati ai punti 158‑160 siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale applicabile (v., in particolare, sentenza Vassallo, cit., punto 39, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 134).
164 Spetta dunque al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’applicazione concreta delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne facciano uno strumento adeguato a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal senso, citate sentenze Vassallo, punto 41, e Marrosu e Sardino, punto 56, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 135).
165 A tale proposito, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 92 delle sue conclusioni, spetta in particolare al giudice del rinvio accertarsi che i lavoratori i quali hanno subito un abuso in conseguenza dell’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi non siano dissuasi dal far valere dinanzi alle autorità nazionali, ivi incluse quelle giurisdizionali, i diritti loro conferiti dalla normativa nazionale nell’ambito dell’attuazione di tutte le misure preventive di cui alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, nella speranza di continuare a lavorare nel settore pubblico, come dedotto dalle ricorrenti nel procedimento principale.
166 Oltre a ciò, il giudice del rinvio deve accertarsi che tutti i lavoratori impiegati «a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, n. 1, dell’accordo quadro possano vedere applicate, nei confronti dei rispettivi datori di lavoro, le sanzioni previste dal decreto presidenziale 164/2004 qualora abbiano subito un abuso in conseguenza dell’utilizzo di contratti successivi, e ciò indipendentemente dalla qualificazione del loro contratto secondo il diritto interno.
167 In secondo luogo, le ricorrenti nel procedimento principale sostengono che l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, il quale prevede, in via transitoria, la possibilità di convertire in contratti di lavoro a tempo indeterminato taluni contratti a tempo determinato successivi in corso alla data di entrata in vigore dello stesso decreto o scaduti nel corso degli ultimi tre mesi precedenti ad essa, non rappresenti una sanzione adeguata, considerato il carattere restrittivo e cumulativo delle condizioni imposte dalla stessa disposizione. A tale proposito, le suddette ricorrenti adducono altresì vari problemi concernenti il funzionamento del procedimento dinanzi all’ASEP, vale a dire l’autorità amministrativa competente a statuire su una richiesta di conversione. Tali difficoltà risulterebbero, segnatamente, dai termini impartiti a quest’ultima per decidere e dal fatto che l’intervento dei giudici amministrativi nel contenzioso relativo all’applicazione di tale art. 11, derivante dalla competenza dell’ASEP, rimetterebbe in questione la stessa competenza dei giudici civili a dirimere le controversie di cui all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
168 Per quanto concerne le condizioni a cui l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004 assoggetta la possibilità di conversione dei contratti a tempo determinato, occorre ricordare, relativamente alla necessità di un lasso temporale inferiore a tre mesi tra tali contratti, che una siffatta necessità non contrasta, in via di principio, con la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, come si è già rilevato al punto 157 della presente sentenza.
169 Quanto alle condizioni poste dal suddetto art. 11 circa la durata minima totale dei contratti e il numero dei loro rinnovi, non risulta con chiarezza dagli atti presentati alla Corte in quale misura essi sarebbero tali da compromettere l’obiettivo perseguito dall’accordo quadro. A tale proposito occorre sottolineare che la sola circostanza per cui la conversione prevista dalla menzionata disposizione non avviene con effetto retroattivo non appare, di per sé, idonea a privare detta sanzione della sua effettività, dato che essa comporta in ogni caso la sostituzione di un rapporto a tempo determinato con un rapporto a tempo indeterminato, e, quindi, la eliminazione di una situazione precaria in favore di una maggiore stabilità nei rapporti di lavoro.
170 Quanto alla circostanza fatta valere dalle ricorrenti nel procedimento principale secondo cui, stanti le condizioni cumulative poste dall’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, determinati contratti di lavoro a tempo determinato stipulati o rinnovati abusivamente nel settore pubblico prima dell’entrata in vigore di detto decreto eluderebbero ogni sanzione, occorre ricordare che, in una siffatta situazione, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tali abusi e di eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Di conseguenza, qualora l’ordinamento giuridico dello Stato membro in questione non comporti, per il periodo considerato, altre misure efficaci a tale scopo, ad esempio perché le sanzioni previste all’art. 7 di detto decreto non sono applicabili ratione temporis, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 potrebbe rappresentare una misura in tal senso, come sostenuto dalla ricorrente nel procedimento principale nella causa C‑379/07 (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punti 98‑105, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punti 129‑137).
171 Tuttavia, spetta alle autorità e ai giudici nazionali, competenti per l’attuazione delle misure di trasposizione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, e, quindi, chiamati a pronunciarsi sulla qualificazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi, verificare di volta in volta, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, se le misure previste all’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004 siano idonee a sanzionare debitamente gli eventuali utilizzi abusivi di contratti di lavoro a tempo determinato commessi prima dell’entrata in vigore dello stesso decreto e, in tal modo, ad eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario.
172 Relativamente alla procedura a tal fine prevista dal diritto nazionale, occorre rilevare che, in forza della clausola 8, n. 5, dell’accordo quadro, la prevenzione nonché la soluzione delle controversie e dei ricorsi scaturiti dall’applicazione dell’accordo medesimo dovranno procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali (ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 140).
173 Conformemente a una giurisprudenza costante, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (sentenza Impact, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 141).
174 Come si evince dai punti 158 e 159 della presente sentenza, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate al fine di garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro. Le modalità di applicazione di tali norme, che spettano all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia processuale nazionale, devono essere conformi ai principi di equivalenza e di effettività (ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 142).
175 Orbene, la Corte ha già dichiarato che una normativa nazionale che, come quella oggetto del procedimento principale, stabilisca la competenza di un’autorità amministrativa indipendente quale l’ASEP per l’eventuale conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato appare prima facie tale da soddisfare i suddetti requisiti (ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 144).
176 Spetta tuttavia al giudice del rinvio, e non alla Corte, verificare che lo Stato membro in questione abbia adottato tutte le misure necessarie a consentirgli, da un lato, di essere in qualsiasi momento in grado di garantire i risultati imposti dalla direttiva 1999/70, e, dall’altro, di prevedere che le modalità di applicazione delle norme di recepimento dell’accordo quadro, modalità che rientrano nell’ambito del suo ordinamento giuridico interno in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, assicurino la garanzia del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza (v., in particolare, ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 149 e giurisprudenza ivi citata).
177 Alla luce di quanto precede, occorre quindi rispondere al giudice del rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004, che – a differenza di una norma di diritto interno previgente quale l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 – da un lato, non prevede più, per l’ipotesi di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, la conversione di questi ultimi in contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure condiziona quest’ultima al rispetto di talune condizioni cumulative e restrittive, e, dall’altro, esclude i lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato dal godimento delle misure di tutela da esso previste, dal momento che siffatte modifiche riguardano una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato oppure sono compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 5, n. 1, del suddetto accordo quadro, ciò che spetta a tale giudice verificare.
178 Tuttavia, l’attuazione dell’accordo quadro ad opera di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004 non può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dall’accordo quadro. In particolare, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone che detta normativa preveda, per quanto riguarda l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti requisiti siano soddisfatti.
Sul divieto assoluto, nel settore pubblico, di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato
179 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta, nel settore pubblico, di convertire in contratti a tempo indeterminato taluni contratti a tempo determinato intesi, di fatto, a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro.
180 Dalle ordinanze di rinvio risulta che, secondo il giudice investito delle cause principali, tale divieto assoluto di qualsivoglia conversione sarebbe oggi previsto non più soltanto dall’art. 21 della legge 2190/94, ma anche dall’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica, come modificato il 7 aprile 2001.
181 A prescindere dalla natura delle disposizioni del diritto greco che vietano la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratti a tempo indeterminato, occorre anzitutto rilevare, riguardo alla parte in cui la presente questione ha ad oggetto la stipulazione di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, che l’accordo quadro non obbliga gli Stati membri ad adottare misure per sanzionare l’utilizzo abusivo di un contratto di questo tipo, risultante dal fatto che esso, in realtà, soddisfa esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, come si è già rilevato al punto 90 della presente sentenza. Infatti, tale contratto non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, la quale verte unicamente sulla prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (sentenza Mangold, cit., punti 41‑43).
182 Quanto alla parte in cui la presente questione ha ad oggetto contratti di lavoro a tempo determinato successivi, occorre osservare che detta questione è identica ad altra questione sulla quale la Corte ha già statuito nella sentenza Adeneler e a. (cit., punti 91‑105) e che ulteriori elementi utili al fine di rispondere a tale questione risultano dalle citate sentenze Marrosu e Sardino (punti 44‑57) nonché Vassallo (punti 33‑42), e dalla citata ordinanza Vassilakis e a. (punti 120‑137).
183 Dalla suddetta giurisprudenza risulta che, dal momento che la clausola 5 dell’accordo quadro non sancisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi (sentenza Adeneler e a., cit., punto 91), essa lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità in materia (sentenza Marrosu e Sardino, cit., punto 47, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 121).
184 Tuttavia, come si è già rilevato al punto 161 della presente sentenza, affinché una normativa nazionale che vieta in modo assoluto, nel settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi destinati, di fatto, a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal senso, le precitate sentenze Adeneler e a., punto 105; Marrosu e Sardino, punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 123).
185 Occorre ricordare che, come risulta in particolare dai punti 79‑82 e 93 della presente sentenza, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti (v. le precitate sentenze Marrosu e Sardino, punto 50, e Vassallo, punto 35, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 124).
186 Inoltre, qualora, come nel caso di specie, il diritto comunitario non preveda sanzioni specifiche nelle ipotesi in cui tuttavia siano stati accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche abbastanza effettivo e dissuasivo da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro, conformemente alle necessità rilevate ai punti 158‑160 della presente sentenza (precitate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu e Sardino, punto 51, e Vassallo, punto 36, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 125).
187 Nel caso di specie, occorre rilevare che la normativa nazionale oggetto della causa principale prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato volte a garantire l’applicazione delle tre misure preventive enumerate alla clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), dell’accordo quadro. Detta normativa prevede altresì che, qualora sia stato accertato un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, il lavoratore danneggiato ha diritto al pagamento della retribuzione dovuta e dell’indennità di licenziamento, mentre l’autore della violazione può essere sanzionato in via penale e disciplinare. D’altronde, detta normativa prevede che taluni contratti di lavoro a tempo determinato in corso alla sua data di entrata in vigore, oppure scaduti poco prima di tale data, possono essere convertiti, a certe condizioni, in contratti a tempo determinato.
188 Sebbene una normativa siffatta parrebbe poter soddisfare i requisiti richiamati ai punti 158‑160 della presente sentenza (v., in tal senso, le precitate sentenze Marrosu e Sardino, punto 55, e Vassallo, cit., punto 40; nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 128), spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne facciano uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, come risulta dai punti 162‑176 della presente sentenza (v. le precitate sentenze Vassallo, punto 41, e Marrosu e Sardino, punto 56, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 135).
189 Si deve quindi rispondere al giudice del rinvio che, in circostanze come quelle delle cause principali, l’accordo quadro deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato preveda, nel settore in questione, altre misure effettive per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi ai sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo, esso non osta all’applicazione di una norma di diritto nazionale che vieti in modo assoluto, nel solo settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che, in quanto destinati a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, devono essere considerati abusivi. Spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’applicazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
190 Per contro, poiché la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro non si applica ai lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, essa non obbliga gli Stati membri ad adottare sanzioni nel caso in cui un siffatto contratto soddisfi, in realtà, esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro.
Sulle conseguenze derivanti per i giudici nazionali dall’interpretazione delle clausole 5, n. 1 e 8, n. 1, dell’accordo quadro
191 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, in forza del diritto comunitario, egli sia tenuto ad escludere l’applicazione di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004 di cui al procedimento principale qualora essa contrasti con le disposizioni dell’accordo quadro, e ad applicare al suo posto una «norma equivalente» come quella prevista all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
192 Alla luce delle soluzioni fornite alle altre questioni, la questione in parola riveste un carattere rilevante per il giudice del rinvio nell’ipotesi in cui esso, in linea con quanto affermato ai punti 103‑106 nonché 147‑176 della presente sentenza, dovesse pervenire alla conclusione che la normativa nazionale, come interpretata o applicata dalle autorità nazionali, eventualmente non comporti misure effettive destinate ad evitare e, se del caso, a sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi da parte di datori di lavoro appartenenti al settore pubblico, così violando la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, nonché nell’eventuale ipotesi in cui detto giudice dovesse concludere, in linea con quanto affermato ai punti 138‑139 e 146 della presente sentenza, che il decreto presidenziale n. 164/2004 costituisce una reformatio in peius del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato giustificata dalla necessità di attuare l’accordo quadro, in violazione dell’art. 8, n. 3, di quest’ultimo.
193 Al fine di rispondere alla questione posta, occorre ricordare che risulta da una giurisprudenza costante che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, esse possono essere invocate dai singoli nei confronti dello Stato, anche in qualità di datore di lavoro (v., segnatamente, in tal senso, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punti 46 e 49, nonché 20 marzo 2003, causa C‑187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741, punti 69 e 71).
194 Ciò avviene, secondo la giurisprudenza, in tutti i casi in cui non è effettivamente garantita la piena applicazione di tale direttiva, vale a dire non soltanto nel caso di mancata o inesatta trasposizione di quest’ultima, ma anche nel caso in cui le misure nazionali che recepiscono correttamente la direttiva in questione non vengano applicate in modo tale da conseguire il risultato che essa si prefigge (sentenza 11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑6325, punto 27).
195 Come ha già statuito la Corte, la suddetta giurisprudenza può essere applicata agli accordi che, come l’accordo quadro, sono nati da un dialogo condotto sul fondamento dell’art. 139, n. 1, CE tra parti sociali a livello comunitario e sono stati attuati, conformemente al n. 2 del medesimo articolo, da una direttiva del Consiglio, di cui costituiscono quindi parte integrante (sentenza Impact, cit., punto 58).
– Sulla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
196 Occorre ricordare che la Corte ha già statuito che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale. Infatti, ai sensi di tale disposizione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purché tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori. Peraltro, non è possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtù della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro (sentenza Impact, cit., punti 71, 78 e 79).
197 Tuttavia, come risulta da una giurisprudenza costante, nell’applicare il diritto interno i giudici nazionali sono tenuti ad interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE. Siffatto obbligo d’interpretazione conforme riguarda l’insieme delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori che posteriori alla direttiva di cui trattasi (v., in particolare, sentenza Adeneler e a., cit., punto 108, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 56).
198 L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto comunitario quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v., in particolare, sentenza Adeneler e a., cit., punto 109, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 57).
199 È ben vero che l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli della certezza del diritto e dell’irretroattività, e non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 110, e Impact, punto 100, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit. punto 58).
200 Tuttavia, il principio di interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (v. citate sentenze Adeneler e a., punto 111, e Impact, punto 101, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 59).
201 Come la Corte ha precisato al punto 115 della citata sentenza Adeneler e a., nel caso di tardiva attuazione di una direttiva, l’obbligo generale che incombe ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva esiste solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione di quest’ultima (v. anche ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 63).
202 Peraltro, nel caso in cui il risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione, occorre ricordare che, secondo la sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I‑5357, punto 39), il diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire i danni da essi causati ai singoli a causa della mancata attuazione di tale direttiva, purché siano soddisfatte tre condizioni. Anzitutto, la direttiva in questione deve avere lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli. Deve essere, poi, possibile individuare il contenuto di tali diritti sulla base delle disposizioni di detta direttiva. Infine, deve sussistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato membro e il danno subito (v. sentenza 14 luglio 1994, causa C‑91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I‑3325, punto 27, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 60).
203 Nel caso di specie spetta pertanto al giudice del rinvio, nei limiti del suo potere e qualora si sia verificato un utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, interpretare ed applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare debitamente il suddetto abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. In tale contesto, spetta a tale giudice valutare se le disposizioni dell’art. 8, n 3, della legge 2112/1920 possano, eventualmente, trovare applicazione ai fini di siffatta interpretazione conforme.
204 Quanto all’incidenza, a tale riguardo, della circostanza che l’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica è stato modificato successivamente all’entrata in vigore della direttiva 1999/70 e prima della scadenza del termine per la sua trasposizione, allo scopo di vietare in modo assoluto, nel settore pubblico, la conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, è sufficiente ricordare che una direttiva produce effetti giuridici nei confronti dello Stato membro destinatario – e pertanto di tutti gli organi nazionali – a seguito della sua pubblicazione o dalla data della sua notifica, a seconda dei casi (v. sentenza Adeneler e a., cit., punto 119, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 67).
205 Nel caso di specie, l’art. 3 della direttiva 1999/70 specifica che essa entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, vale a dire il 10 luglio 1999.
206 Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte, dall’applicazione combinata degli artt. 10, secondo comma, CE e 249, terzo comma, CE con la direttiva in questione risulta che, in pendenza del termine per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri destinatari di essa devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenze Inter-Environnement Wallonie, cit., punto 45; 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL, Racc. pag. I‑4431, punto 58, e Mangold, cit., punto 67). A questo proposito poco rileva il fatto che la norma di diritto nazionale in parola, adottata dopo l’entrata in vigore della direttiva di cui trattasi, sia o meno finalizzata al recepimento di tale direttiva (sentenza Adeneler e a., cit., punto 121, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 69).
207 Ne consegue che tutte le autorità degli Stati membri sono soggette all’obbligo di garantire la piena efficacia delle disposizioni del diritto comunitario (v. sentenze Francovich e a., cit., punto 32; 13 gennaio 2004, causa C‑453/00, Kühne & Heitz, Racc. pag. I‑837, punto 20, nonché Pfeiffer e a., cit., punto 111), anche quando tali autorità modificano la loro Costituzione.
– Sulla clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro
208 Con riguardo alla clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, occorre ricordare che, come rilevato al punto 126 della presente sentenza, detta clausola non vieta qualsiasi riduzione del livello di tutela dei lavoratori a tempo determinato, bensì unicamente quelle che, da un lato, sono giustificate dalla necessità di «attuare» tale accordo, e, dall’altro, hanno ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato.
209 Ne consegue, in primo luogo, che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, come risulta dalla rubrica della clausola stessa, verte sulla sola «attuazione» di tale accordo da parte degli Stati membri e/o delle parti sociali, obbligati a recepirlo nell’ordinamento giuridico interno, vietando loro, come è stato rilevato al punto 133 della presente sentenza, di giustificare all’atto di tale recepimento una reformatio in peius del livello generale di tutela dei lavoratori mediante la necessità di applicare l’accordo quadro de quo.
210 In secondo luogo, il fatto che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro si limiti a vietare, stando alla sua formulazione, di «ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dal [presente accordo]», comporta che soltanto una reformatio in peius di ampiezza tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a tempo determinato è idonea a ricadere nel suo ambito applicativo, come risulta dal punto 140 della presente sentenza. Orbene, i singoli non potrebbero fondare sul descritto divieto un diritto dal contenuto sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato.
211 Ne consegue che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non soddisfa i requisiti per produrre un effetto diretto.
212 In tale contesto, spetta ai giudici nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto più possibile in modo da consentirne un’applicazione conforme alle finalità perseguite dall’accordo quadro (v., per analogia, la giurisprudenza citata ai punti 197‑200 della presente sentenza).
213 Considerato quanto precede, si deve rispondere al giudice del rinvio che esso è tenuto ad interpretare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo quanto più possibile conforme alle clausole 5, n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro, nonché a stabilire, in tale contesto, se una «norma equivalente» ai sensi della prima di tali clausole, come quella prevista all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, debba essere applicata ai procedimenti principali al posto di certe altre disposizioni di diritto interno.
Sulle spese
214 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) La clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta all’adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004, recante disposizioni riguardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato nel settore pubblico, che, al fine di recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel settore pubblico, prevede l’applicazione delle misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi indicate al n. 1, lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel diritto interno esista già una «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, relativa al recesso obbligatorio dal contratto di lavoro degli impiegati del settore privato, circostanza che compete al giudice del rinvio verificare, a condizione però che detta normativa, da un lato, non comprometta l’effettività della prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, come derivante dalla suddetta norma equivalente, e, dall’altro, rispetti il diritto comunitario ed in particolare la clausola 8, n. 3, di detto accordo.
2) La clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale venga applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in un modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore pubblico sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per contro, la medesima clausola non si applica nel caso di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
3) La clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto di lavoro a tempo determinato.
4) La clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004, che – a differenza di una norma di diritto interno previgente quale l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 – da un lato, non prevede più, per l’ipotesi di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, la conversione di questi ultimi in contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure condiziona quest’ultima al rispetto di talune condizioni cumulative e restrittive, e, dall’altro, esclude i lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato dal godimento delle misure di tutela da esso previste, dal momento che siffatte modifiche riguardano una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato oppure sono compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 5, n. 1, del suddetto accordo quadro, ciò che spetta a tale giudice verificare.
Tuttavia, l’attuazione di detto accordo quadro ad opera di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004 non può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dal medesimo accordo quadro. In particolare, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone che detta normativa preveda, per quanto riguarda l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti requisiti siano soddisfatti.
5) In circostanze come quelle delle cause principali, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato preveda, nel settore in questione, altre misure effettive per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi ai sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo, esso non osta all’applicazione di una norma di diritto nazionale che vieti in modo assoluto, nel solo settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che, in quanto destinati a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, devono essere considerati abusivi. Spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’applicazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
Per contro, poiché la clausola 5, n. 1, di tale accordo quadro non si applica ai lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, essa non obbliga gli Stati membri ad adottare sanzioni nel caso in cui un siffatto contratto soddisfi, in realtà, esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro.
6) Il giudice del rinvio è tenuto a interpretare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo quanto più possibile conforme alle clausole 5, n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nonché a stabilire, in tale contesto, se una «norma equivalente» ai sensi della prima di tali clausole, come quella prevista all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, debba essere applicata ai procedimenti principali al posto di certe altre disposizioni di diritto interno.
Firme
——————————————————————————–
* Lingua processuale: il greco.