I ministri finanziari, riunitisi nell’ambito dell’incontro annuale del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, tenutosi a Washington dal 24 al 25 settembre 2005, pare abbiano segnato un avanzamento rispetto a quanto stabilito nel piano del G-8 per la cancellazione del debito dei paesi più poveri.
Gli otto ministri si sono impegnati, con una lettera firmata individualmente, a fornire alla Banca mondiale le misure necessarie per cancellare il 100% del debito di 18 paesi fra i più poveri del mondo.
Si tratta di una somma pari a 40 miliardi di dollari e si è prevista anche l’eventuale estensione dell’operazione di remissione anche nei confronti di altri paesi.
Sul senso complessivo, sulle modalità, sulle reali finalità di questa operazione restano, tuttavia, i dubbi, le perplessità, le critiche già espresse in una precedente nota (vedi, nella Rubrica “Notizie” di questa Rivista, del 14. 07.2005, la nota, a cura di G. BUCCI – L. PATRUNO, dal titolo “Il G-8 di Gleneagles “razionalizza” il debito dei Paesi poveri. Aiuti e protezionismo: la quadratura del cerchio nelle decisioni del vertice più atteso”).
La decisione sopramenzionata aveva, tuttavia, incontrato l’opposizione di alcuni paesi nordeuropei (Belgio, Olanda, Austria), che sono i maggiori donatori in favore dei paesi poveri.
Questi erano preoccupati per il fatto che l’intervento avrebbe prosciugato un terzo delle risorse poste, dalla Banca mondiale, a disposizione dei prestiti per i paesi poveri.
Si riteneva, cioè, che, alle dichiarazioni politiche del presidente americano e del premier inglese, non avrebbe fatto seguito un impegno concreto finalizzato a compensare, la Banca mondiale, delle risorse perdute.
I ministri finanziari hanno, tuttavia, sostenuto, nella loro lettera, che preserveranno, mediante il loro intervento, il ruolo di sostegno svolto dalla Banca mondiale nei confronti dei paesi poveri ed hanno, altresì, assicurato che «risorse addizionali» saranno «allocate sulla base della necessità, della governance e dell’abilità di usarle efficacemente per la riduzione della povertà e della crescita».
Anche l’Italia si è impegnata a presentare un disegno di legge finalizzato ad autorizzare il pagamento della sua parte, in relazione all’intera durata dei prestiti cancellati.
I tempi di realizzazione dell’operazione di cancellazione del debito appaiono, comunque, incerti.
Le fonti di informazione collegate al Fondo monetario e alla Banca mondiale esprimono, però, ottimismo, sia perché non si vuole offuscare, con un atteggiamento incerto, una decisione sostenuta politicamente ai più alti livelli, sia perché, su queste tematiche, vi è stata una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale.
Nella riunione del G-7 si sono, inoltre, affrontati i problemi della crescita dell’economia, specie in relazione alle gravi questioni del prezzo del petrolio, della crisi produttiva e dell’eccesso di domanda. Le preoccupazioni, espresse dai ministri e dai governatori, sono, appunto, quelle concernenti l’impatto dell’aumento del prezzo del greggio sulla fiducia dei consumatori e le connesse ripercussioni sull’inflazione. Queste potrebbero, infatti, indurre le Banche centrali ad operare una stretta monetaria.
L’attenzione si è concentrata, in primo luogo, sull’economia USA, sia perché essa sta subendo, negli ultimi tempi, le conseguenze disastrose degli uragani, sia perché – a detta del presidente della Federal Reserve – il terrorismo ed il petrolio costituiscono la fonte principale dei rischi per l’economia americana.
Il G-7 ha ritenuto, comunque, il quadro dell’economia mondiale, positivo, anche se ha rilevato che l’aumento del prezzo dell’oro nero contribuisce ad aggravare gli squilibri globali, ed in specie il deficit esterno degli Stati Uniti, a fronte, viceversa, di un crescente surplus in Asia ed ora anche in Medio Oriente.
L’Europa viene considerata l’area dove la crescita avviene più debolmente. Ad essa viene, pertanto, come di consueto, assegnato il compito di attuare le riforme “strutturali”. www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2005/02/index.htm
Si deve osservare, a questo proposito, che il Fondo monetario internazionale ha espresso preoccupazione per l’andamento dei «conti pubblici» italiani e per la «perdita di competitività» dovuta, in particolare, al «collasso delle esportazioni». Il Pil italiano, nel suo rapporto col deficit, resta sotto accusa. Questa situazione era stata, del resto, già acclarata dall’Unione europea che ha imposto, all’Italia, il rientro nei parametri previsti dal Patto di stabilità e di crescita. Il Fondo monetario ritiene, come sempre, che l’aumento del Pil si possa ottenere con l’applicazione dei “neutrali” parametri o criteri monetari, indifferenti, cioè, al «benessere» individuale e collettivo.
La ricetta è quella, ormai, nota: le “riforme strutturali” compressive della “spesa pubblica”, dei “diritti sociali”, del “costo del lavoro” e del “sistema pensionistico”. Queste indicazioni puntuali e vincolanti di politica economica, costituiscono, specie nella prospettiva dell’emanazione delle leggi finanziarie, ulteriore conferma della delega effettuata, da ciascuno Stato, del proprio potere sovrano alla cosiddetta «Trimurti mondiale». Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, il WTO si sono posti, ormai, come «decisori di ultima istanza delle politiche degli Stati».
Gli ispettori del Fondo monetario vengono, ogni anno, in Italia, come in ogni altro paese, ad esaminare «D.P.E.F., legge finanziaria e bilancio, consuntivi, relazione del Governatore della Banca centrale, dati statistici sull’andamento della bilancia commerciale e del P.I.L., ed esprimono, sotto forma di parere, le direttive, in verità abbastanza dettagliate oltre che vincolanti per il Governo». Il «discostarsi da quelle direttive può provocare conseguenze perverse sugli investimenti e sull’andamento della borsa». Un «economista che conta (…) ha spiegato che i governi devono obbedire e rispondere non soltanto alle domande della constituency politica ma anche a quelle della constituency economica. Facendoci capire che, delle due, la constituency economica è la più esigente, la più imperiosa, la più potente». Proprio questi insegnamenti sollecitano, tuttavia, la necessità di avviare l’opera di ricostruzione e di realizzazione del «costituzionalismo (…) nel nuovo millennio, quello dei grandi spazi e quello globale»». Qualcosa, del resto, «si muove in questa direzione, mobilitando masse di donne e di uomini dei vari continenti, masse enormi che chiedono ai governi di rifiutare la guerra, di garantire la pace, che è la condizione prioritaria per la stessa pensabilità del costituzionalismo» (Così G. FERRARA, Sulla responsabilità politica, in G. AZZARITI (a cura di), La responsabilità politica nell’era del maggioritario e nella crisi della statualità, Torino, Giappichelli, 2005, p. 41).
Nei giorni del vertice, in effetti, migliaia di persone sono accorse, proprio a due passi dalla Casa bianca, ad esprimere il ripudio della guerra, a chiedere il ritiro delle truppe e lo stanziamento del denaro non per i conflitti bellici ma a favore dei popoli sfruttati degli Usa,dell’Irak, del mondo (sul ruolo dei movimenti in relazione al rilancio del costituzionalismo negli spazi sovranazionali e globali cfr. M. DOGLIANI, Può la costituzione europea non essere una costituzione in senso moderno?, in Democrazia e diritto, n. 2, 2003, spec. pp. 88-89; U. ALLEGRETTI, Il movimento internazionale come attore costituzionale, in Democrazia e diritto, n. 1, 2004).