CGCE, regime pensionistico dei funzionari pubblici occupati a orario ridotto, discriminazione indiretta fondata sul sesso, eventuale giustificazione per motivi obiettivi.

La Corte di Giustizia delle Comunità europee dichiara che l’art. 119 CE e l’art. 141, nn. 1 e 2, CE ostano a una disciplina nazionale che comporta una riduzione sproporzionata dell’importo della pensione dei funzionari pubblici che hanno svolto le loro funzioni a orario ridotto, nel caso in cui tale categoria comprenda un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini, a meno che non vi siano fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso che giustifichino tale legislazione. Non può essere considerata valida giustificazione né l’obiettivo di limitare la spesa pubblica né l’argomentazione secondo la quale la pensione “ridotta” costituisce, in tale ipotesi, il corrispettivo di una prestazione di lavoro meno significativa ovvero una misura volta ad evitare che i funzionari occupati ad orario ridotto siano avvantaggiati rispetto a quelli occupati a tempo pieno.

CGCE, sentenza 23 ottobre 2003, Schönheit e Becker, cause riunite C-4/02 e C-5/02

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
23 ottobre 2003 (1)
«Politica sociale – Lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile – Parità di retribuzione – Applicabilità dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE – 143 CE) e dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, nonché della direttiva 86/378/CEE, o della direttiva 79/7/CEE – Nozione di retribuzione – Regime pensionistico dei funzionari pubblici – Calcolo della pensione di vecchiaia dei funzionari pubblici ad orario ridotto – Esistenza di una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori a tempo pieno – Esistenza di una discriminazione indiretta fondata sul sesso – Presupposti per una giustificazione eventuale per motivi obiettivi, estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso – Protocollo sull’art. 119 del Trattato CE (divenuto Protocollo sull’art. 141 CE) – Efficacia nel tempo»
Nei procedimenti riuniti C-4/02 e C-5/02,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Germania) nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra
Hilde Schönheit
e
Stadt Frankfurt am Main (causa C-4/02),
e tra
Silvia Becker
e
Land Hessen (causa C-5/02),
domande vertenti sull’interpretazione dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE – 143 CE), del Protocollo sull’art. 119 del Trattato CE, allegato al Trattato CE dal Trattato sull’Unione europea (divenuto Protocollo sull’art. 141 CE), dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24), e della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CEE, e relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), quale modificata dalla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE (GU 1997, L 46, pag. 20), nonché della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6),
LA CORTE (Quinta Sezione),
composta dal sig. A. La Pergola (relatore), facente funzione di presidente della Quinta Sezione, dai sigg. P. Jann e S. von Bahr, giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig. H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
– per la sig.ra Schönheit, dal sig. A. Fischer, Rechtsanwalt (causa C-4/02);
– per la sig.ra Becker, dalla sig.ra A. Kähler, Rechtsanwältin (causa C-5/02);
– per il governo tedesco, dai sigg. W.-D. Plessing e M. Lumma, in qualità di agenti (cause C-4/02 e C-5/02);
– per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra N. Yerrell e dal sig. H. Kreppel, in qualità di agenti (cause C-4/02 e C-5/02),
vista la relazione d’udienza,
sentite le osservazioni orali della sig.ra Becker, rappresentata dal sig. Schröder, Justiziar, e dal sig. Kähler, e della Commissione, rappresentata dal sig. F. Hoffmeister, in qualità di agente, all’udienza del 6 marzo 2003,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 maggio 2003,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con ordinanze 12 novembre 2001, pervenute alla Corte il 9 gennaio 2002, per quanto concerne la causa C-4/02, e il 10 gennaio 2002, per quanto concerne la causa C-5/02, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main (Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno) ha proposto, in forza dell’art. 234 CE, undici questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE – 143 CE), del Protocollo sull’art. 119 del Trattato CE, allegato al Trattato CE dal Trattato sull’Unione europea (divenuto Protocollo sull’art. 141 CE), dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24), e della direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/378/CE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale (GU L 225, pag. 40), quale modificata dalla direttiva del Consiglio 20 dicembre 1996, 96/97/CE (GU 1997, L 46, pag. 20; in prosieguo: la «direttiva 86/378»), nonché della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/80/CE, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6).
2.
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di controversie sorte tra, da un lato, la sig.ra Schönheit e il comune di Francoforte sul Meno (causa C-4/02) e, dall’altro, la sig.ra Becker e il Land dell’Assia (causa C-5/02), in merito alla determinazione dei diritti pensionistici delle ricorrenti.
Ambito normativo
La normativa comunitaria
Il Trattato CE
3.
L’art. 119, primo e secondo comma, del Trattato CE dispone quanto segue:
«Ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro.
Per retribuzione deve essere inteso, ai sensi del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
4.
Dal 1° maggio 1999, data dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, l’art. 141 CE prevede quanto segue:
«1. Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra [i] lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.
(…)».
5.
L’art. 141, nn. 1 e 2, primo comma, CE è pertanto identico, in sostanza, all’art. 119, primo e secondo comma, del Trattato.
6.
Il Protocollo sull’art. 141 CE dispone quanto segue:
«Ai fini dell’applicazione dell’articolo 141 del Trattato, le prestazioni in virtù di un regime professionale di sicurezza sociale non saranno considerate come retribuzione se e nella misura in cui esse possono essere attribuite ai periodi di occupazione precedenti il 17 maggio 1990, eccezion fatta per i lavoratori o i loro aventi diritto che, prima di detta data, abbiano intentato un’azione giudiziaria o introdotto un reclamo equivalente secondo il diritto nazionale applicabile».
7.
Il Protocollo sull’art. 141 CE è identico, salvo la sostituzione del riferimento all’art. 119 del Trattato con un riferimento all’art. 141 CE, al Protocollo n. 2 sull’art. 119 del Trattato che istituisce la Comunità europea, allegato al Trattato sull’Unione europea 7 febbraio 1992 (in prosieguo: il «Protocollo n. 2»).
La direttiva 79/7
8.
La direttiva 79/7 si applica, in conformità al suo art. 3, n. 1, lett. a), ai regimi giuridici che assicurano una protezione contro, in particolare, il rischio vecchiaia.
9.
L’art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 prevede quanto segue:
«Il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
– il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi,
– l’obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi,
– il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonché le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni».
La direttiva 86/378
10.
A norma dell’art. 2, n. 1, della direttiva 86/378:
«Sono considerati regimi professionali di sicurezza sociale i regimi non regolati dalla direttiva 79/7/CEE aventi lo scopo di fornire ai lavoratori, subordinati o autonomi, raggruppati nell’ambito di un’impresa o di un gruppo di imprese, di un ramo economico o di un settore professionale o interprofessionale, prestazioni destinate a integrare le prestazioni fornite dai regimi legali di sicurezza sociale o a sostituirsi ad esse, indipendentemente dal fatto che l’affiliazione a questi regimi sia obbligatoria o facoltativa».
11.
Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 86/378:
«La presente direttiva si applica:
a) ai regimi professionali che assicurano una protezione contro i rischi seguenti:
(…)
– vecchiaia, compreso il caso del pensionamento anticipato,
(…)».
12.
L’art. 5, n. 1, della direttiva 86/378 così dispone:
«Nelle condizioni stabilite dalle disposizioni che seguono, il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
(…)
– il calcolo delle prestazioni, (…)».
13.
Ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 86/378:
«Nelle disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento sono da includere quelle che si basano direttamente o indirettamente sul sesso, in particolare con riferimento allo stato coniugale o di famiglia, per:
(…)
h) fissare livelli differenti per le prestazioni, salvo se necessario per tener conto di elementi di calcolo attuariale che sono differenti per i due sessi nel caso di regimi nei quali le prestazioni sono definite in base ai contributi.
Nel caso di regimi a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi, i cui esempi sono riportati nell’allegato, possono variare sempreché l’ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell’utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda del sesso all’atto dell’attuazione del finanziamento del regime;
(…)».
La direttiva 97/80
14.
Ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva 97/80:
«Ai fini del principio della parità di trattamento di cui al paragrafo 1, sussiste discriminazione indiretta quando una [dis]posizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri colpiscono una quota nettamente più elevata d’individui d’uno dei due sessi a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano adeguati e necessari e possano essere giustificati da ragioni obiettive non basate sul sesso».
15.
L’art. 4 della direttiva 97/80 dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
2. La presente direttiva non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole alla parte attrice.
3. Gli Stati membri possono non applicare il paragrafo 1 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente».
La normativa nazionale
16.
Il fünftes Gesetz zur Änderung dienstrechtlicher Vorschriften (quinta legge di riforma della normativa in materia di pubblico impiego) 25 luglio 1984 (BGBl. I, pag. 998; in prosieguo: la «legge di riforma 1984»), ha introdotto nell’art. 14, intitolato «Importo della pensione», n. 1, prima frase, seconda parte, del Gesetz über die Versorgung der Beamten und Richter in Bund und Ländern (legge sulla pensione dei funzionari pubblici e dei giudici federali e dei Land) 24 agosto 1976 (BGBl. I, pag. 3839; in prosieguo: il «BeamtVG»), un abbattimento dell’aliquota per i funzionari pubblici che godano di aspettative non retribuite e di riduzioni dell’orario di lavoro per motivi di famiglia e in forza del regolamento sui congedi speciali (in prosieguo: l’«abbattimento dell’aliquota»).
17.
A norma dell’art. 14, n. 1, del BeamtVG, nella versione risultante dalla legge di riforma 1984, applicabile dal 1° agosto 1984 al 31 dicembre 1991 (in prosieguo: la «versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG»):
«La pensione è pari, sino al compimento di un periodo di servizio rilevante ai fini della maturazione della pensione della durata di dieci anni, al 35% ed aumenta per ogni anno di servizio sino al compimento del venticinquesimo anno di servizio in ragione del 2%, successivamente in ragione dell’1% per i periodi di servizio rilevanti ai fini della maturazione della pensione sino a concorrenza del massimo del 75% (…); in caso di lavoro a tempo parziale, ad orario ridotto o di aspettativa, l’aliquota di pensione risultante ai sensi del disposto del primo periodo, senza considerare i periodi di esenzione dal servizio, viene ridotta, prima dell’applicazione dell’aliquota massima, proporzionalmente in base al rapporto tra il periodo di servizio rilevante ai fini della maturazione della pensione effettivamente compiuto ed il periodo rilevante ai fini della maturazione della pensione che sarebbe stato compiuto, qualora non vi fosse stata esenzione dal servizio (…) nei limiti, tuttavia, di un minimo del 35% e di un massimo del 75% (…)».
18.
L’abbattimento dell’aliquota introdotto dalla legge di riforma 1984, applicato al sistema di scaglioni pensionistici decrescenti dalla versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, è stato abrogato dall’art. 14, punto 16, del fünftes Gesetz zur Änderung besoldungsrechtlicher Vorschriften (quinta legge di riforma della normativa sulle retribuzioni) 28 maggio 1990, entrato in vigore il 1° gennaio 1992 (BGBl. I, pag. 967; in prosieguo: la «legge 1990 di riforma delle retribuzioni»).
19.
Per di più, il sistema di scaglioni pensionistici decrescenti della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG è stato sostituito da un sistema lineare di diritti pensionistici.
20.
Pertanto, l’art. 14 del BeamtVG, intitolato «Importo della pensione», nella versione vigente dal 1° gennaio 1992 (in prosieguo: la «nuova versione dell’art. 14 del BeamtVG»), così dispone:
«1) La pensione viene determinata in misura pari all’1,875% per ogni anno di servizio rilevante ai fini della pensione (…), sino a concorrenza di un massimo del 75% (…)».
21.
L’art. 85 del BeamtVG, intitolato «Aliquota della pensione per i pubblici funzionari in servizio al 31 dicembre 1991», nella versione modificata dalla legge 1990 di riforma delle retribuzioni, dispone quanto segue:
«1) Per coloro già in possesso dello status di pubblico funzionario (…) al 31 dicembre 1991 resta salva l’aliquota di pensione già maturata sino a tale data, e il conteggio del periodo di servizio rilevante ai fini della pensione e dell’aliquota della pensione viene operato sulla base della normativa vigente al 31 dicembre 1991; resta esclusa, in tal caso, l’applicazione dell’art. 14, n. 1, prima frase, secondo e terzo periodo. L’aliquota della pensione risultante sulla base del disposto delle frasi prima e seconda aumenta annualmente, a decorrere dal 1° gennaio 1992, sulla base del periodo rilevante ai fini della pensione indicato come tale dalla normativa vigente a decorrere dalla data medesima, in ragione dell’1% dello stipendio rilevante ai fini della pensione, sino a concorrenza massima del 75%; (…).
(…)
4) L’aliquota di pensione risultante ai sensi dei precedenti nn. 1, 2 o 3 sarà assunta a base del calcolo della pensione, qualora risulti superiore all’aliquota derivante ai sensi della presente legge per l’intero periodo di servizio rilevante ai fini della maturazione della pensione. L’aliquota di pensione risultante ai sensi del n. 1 non può essere superiore all’aliquota risultante sulla base della normativa vigente sino al 31 dicembre 1991.
(…)».
22.
L’art. 6 del BeamtVG, nella versione pubblicata il 16 marzo 1999 (BGBl. I, pagg. 322, 847, 2033), sotto il titolo «Periodi di servizio ordinari rilevanti ai fini della maturazione della pensione», dispone quanto segue:
«1) Ai fini della maturazione della pensione rileva il periodo di servizio compiuto dal pubblico funzionario in Germania, nell’ambito di tale specifico rapporto di lavoro, dal giorno della prima nomina a funzionario alle dipendenze di un ente di diritto pubblico. Sono esclusi dal computo
(…)
5. i periodi di collocamento in aspettativa non retribuita
(…)
I periodi di lavoro ad orario ridotto rilevano ai fini della maturazione della pensione solamente pro rata, in misura corrispondente alla riduzione dell’orario di lavoro ordinario (…)».
Cause principali e questioni pregiudiziali
Causa C-4/02
23.
La sig.ra Schönheit, nata il 12 luglio 1939, è entrata in servizio presso il comune di Francoforte sul Meno il 1° aprile 1966 in qualità di assistente sociale, come impiegata e, dal 1° gennaio 1984, come funzionario pubblico.
24.
Sino al 30 giugno 1992, l’interessata ha svolto le sue funzioni a tempo pieno. Dal 1° luglio 1992 al 31 dicembre 1995 essa ha svolto le sue funzioni a metà tempo. Dopo aver goduto, dal 1° gennaio al 30 giugno 1996, di un’aspettativa non retribuita di sei mesi, essa ha ripreso a svolgere le sue funzioni ad orario ridotto. Con decisione del suo datore di lavoro 12 luglio 1999, dal 1° agosto 1999 essa è stata poi collocata anticipatamente a riposo su sua domanda.
25.
Con decisione adottata parimenti il 12 luglio 1999, il comune di Francoforte sul Meno le ha riconosciuto una pensione pari al 65,8% della sua ultima retribuzione valida ai fini pensionistici.
26.
Quest’aliquota pensionistica è stata calcolata nel seguente modo.
27.
In un primo tempo, il comune di Francoforte sul Meno ha calcolato, in applicazione dell’art. 6 del BeamtVG, la durata del servizio ordinario dell’interessata rilevante ai fini della pensione (in prosieguo: il «periodo di servizio effettivo») ed ha moltiplicato questo periodo per una percentuale pari all’1,875%, secondo la nuova versione dell’art. 14 del BeamtVG, giungendo a un’aliquota pensionistica pari al 56,99%.
28.
In un secondo tempo, il datore di lavoro della sig.ra Schönheit, in osservanza dell’art. 85, n. 4, prima frase, del BeamtVG, poiché l’interessata era già funzionario pubblico alla data del 31 dicembre 1991, ha calcolato l’aliquota pensionistica che potrebbe essere riconosciuta a quest’ultima in applicazione dei criteri di calcolo di cui all’art. 85, n. 1, del BeamtVG. Detti criteri di calcolo davano come risultato un’aliquota di pensione pari al 70,79%.
29.
In un terzo tempo, conformemente all’art. 85, n. 4, seconda frase, del BeamtVG, il datore di lavoro della sig.ra Schönheit ha calcolato l’aliquota di pensione che sarebbe stata applicabile all’interessata in osservanza delle disposizioni vigenti sino al 31 dicembre 1991, ossia in applicazione della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, ivi compreso l’abbattimento dell’aliquota. A tal fine, esso ha anzitutto calcolato l’aliquota di pensione alla quale l’interessata avrebbe avuto diritto senza i periodi di esenzione dal servizio di cui essa ha goduto durante la sua carriera lavorativa (in prosieguo: l’«aliquota fittizia di pensione»), ossia come se l’interessata avesse lavorato a tempo pieno per l’intera durata di tale periodo (in prosieguo: il «periodo di servizio fittizio»). Tale periodo di servizio fittizio avrebbe conferito all’interessata il diritto a un’aliquota fittizia di pensione pari al 74%. Il comune di Francoforte sul Meno ha poi ridotto tale aliquota conformemente al rapporto esistente tra il periodo di servizio effettivo e il periodo di servizio fittizio, ottenendo un’aliquota del 65,8%.
30.
Quest’ultima aliquota è quella che è stata presa in considerazione nella decisione adottata il 12 luglio 1999 dal comune di Francoforte sul Meno, conformemente all’art. 85, n. 4, seconda frase, del BeamtVG, poiché tale aliquota è inferiore a quella calcolata in osservanza del n. 1 del detto articolo.
31.
Il 3 agosto 1999 la sig.ra Schönheit ha presentato reclamo avverso la decisione 12 luglio 1999, che determina l’importo della sua pensione.
32.
Questo reclamo è stato respinto con decisione del comune di Francoforte sul Meno 4 gennaio 2000.
33.
Il 7 febbraio 2000 la sig.ra Schönheit ha allora adito il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main, chiedendo l’annullamento delle decisioni del comune di Francoforte sul Meno 12 luglio 1999 e 4 gennaio 2000, riguardanti la determinazione dei suoi diritti pensionistici. L’interessata chiede parimenti che l’aliquota della sua pensione venga stabilita pari ad almeno il 70,79%.
34.
Nella sua ordinanza di rinvio, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main ritiene che l’abbattimento dell’aliquota previsto dalla versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, applicato all’atto della determinazione dell’aliquota di pensione della sig.ra Schönheit con le decisioni impugnate, sia incompatibile con l’art. 141 CE poiché esso determina, a svantaggio dell’interessata, una discriminazione indiretta fondata sul sesso che non è giustificata da fattori obiettivi.
35.
Il giudice del rinvio ritiene a tal proposito che l’abbattimento dell’aliquota controverso riguardi solo i lavoratori ad orario ridotto, di cui diminuisce la pensione, a fronte del fatto che la percentuale di uomini occupati ad orario ridotto presso le amministrazioni del Land dell’Assia è notevolmente inferiore a quello delle donne. In base a fonti ufficiali riguardanti il personale occupato direttamente e indirettamente al servizio del Land dell’Assia, dei comuni e dei consorzi tra comuni situati nel detto Land, nel 1993 il 92,05% del personale di cui trattasi occupato ad orario ridotto era composto da donne. Secondo altre fonti ufficiali, nel 1996 su 150 007 agenti dell’amministrazione del Land dell’Assia, 33 260 erano occupati ad orario ridotto e, di questi, 29 236 erano donne (87,9%) a fronte di 4 024 uomini (12,1%).
36.
Il giudice del rinvio ritiene che non esistano ragioni obiettive che possano giustificare una siffatta disparità di trattamento. L’obiettivo di limitare la spesa pubblica, invocato dai pubblici poteri in sede d’introduzione dell’abbattimento dell’aliquota, non potrebbe giustificare, secondo il giudice del rinvio, la disparità di trattamento di cui trattasi.
37.
Tuttavia, la giurisprudenza del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) sarebbe orientata in senso contrario a quest’analisi. In base a numerose sentenze recenti del detto giudice, la riduzione pro rata temporis della pensione in caso di lavoro ad orario ridotto e di aspettativa non retribuita non costituisce un atto illecito di discriminazione indiretta nei confronti delle donne. Infatti, una siffatta riduzione sarebbe obiettivamente giustificata dal fatto che la pensione è in questo caso il corrispettivo di una prestazione di lavoro meno rilevante.
38.
Secondo tale giurisprudenza, la versione precedente dell’art. 14, n. 1, prima frase, seconda parte, del BeamtVG avrebbe semplicemente consentito di rettificare il trattamento comparativamente più vantaggioso per i funzionari pubblici occupati ad orario ridotto, che si basava sul sistema di scaglioni di pensione decrescenti previsto dalla versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG.
39.
Alla luce di ciò, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main, ritenendo che esistono dubbi in merito all’interpretazione delle disposizioni comunitarie rilevanti per la soluzione della controversia principale, con ordinanza 12 novembre 2001 ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le nove questioni pregiudiziali seguenti:
«1) Se la concessione di pensioni di vecchiaia, ai sensi delle disposizioni del BeamtVG, ricada nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 141, nn. 1 e 2, CE), in combinato disposto con la direttiva 86/378/CEE ovvero con le disposizioni della direttiva 79/7/CEE.
2) Se le prestazioni previdenziali di cui al BeamtVG costituiscano un regime ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. h), della direttiva 86/378/CEE, nel qual caso, a prescindere dal fatto che il regime venga finanziato con fondi del bilancio dello Stato, occorrerebbe tener conto di elementi di calcolo attuariali o ad essi equivalenti ai fini della differenziazione del livello delle prestazioni.
3) Se i requisiti necessari perché risulti giustificata una discriminazione indiretta basata sul sesso, ravvisabile prima facie, ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva 97/80/CE, ai fini dell’applicabilità dell’art. 119 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 141, nn. 1 e 2, CE) nonché delle disposizioni della direttiva 86/378/CEE, valgano a prescindere dalla circostanza se in sede giudiziaria sia sorta questione in ordine all’agevolazione dell’onere della prova ovvero se tale questione risulti irrilevante in considerazione del principio, applicabile al procedimento giudiziario, secondo cui il giudice procede all’istruttoria d’ufficio.
4) Se la necessità dell’applicazione di un criterio apparentemente neutro debba essere valutata, riguardo a norme di legge, unicamente in considerazione della ratio e dei motivi che abbiano determinato l’emanazione della norma, desumibili dal procedimento legislativo, particolarmente quando tali ratio e motivi siano stati documentati nel corso del procedimento di emanazione della norma e possa essere quindi in essi ravvisato il motivo determinante per l’emanazione della norma stessa.
5) Qualora, accanto (v. questione sub 4)) o in aggiunta a tali elementi, possano essere prese in considerazione altre legittime finalità legislative quali giustificazioni, ai sensi dell’art. 2, n. 2, della direttiva 97/80/CE, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, ai fini dell’accertamento di una discriminazione indiretta basata sul sesso; se, in tal caso, il giudice nazionale possa autonomamente procedere all’accertamento di legittime finalità insite in una determinata norma giuridica ed eventualmente ritenere giustificato, in base ad esse, un elemento di differenziazione, in particolare quando considerazioni di tal genere si fondino su riflessioni di ordine logico-sistematico. Se ciò valga anche nel caso in cui tali considerazioni siano rimaste prive di corrispondenza con la ratio che abbia determinato l’emanazione della norma, documentata nel corso del procedimento legislativo.
6) Se un trattamento più sfavorevole ravvisabile, prima facie, nei confronti di funzionari pubblici di sesso femminile ad orario ridotto nella fissazione del trattamento di quiescenza calcolato in percentuale dell’ultimo stipendio possa essere giustificato come necessario, in considerazione di una legittima finalità, quando risulti comunque assicurato un trattamento minimo in funzione dei primi dieci anni di servizio, che non tenga conto della riduzione dell’orario di lavoro, ancorché le prestazioni previdenziali a favore dei pubblici funzionari derivino esclusivamente da fondi generali del bilancio dello Stato e non dai contributi dei funzionari medesimi. Se la necessità di tale regime possa risultare giustificata, eventualmente a titolo suppletivo, in considerazione della natura alimentare delle prestazioni previdenziali e della loro natura di principio derivato dall’ordinamento dei funzionari pubblici ai sensi dell’art. 33, n. 5, del Grundgesetz (Costituzione tedesca).
7) Nell’ipotesi in cui risulti accertata la necessità del regime, a termini della questione sub 6), se una riduzione dell’aliquota del trattamento di quiescenza a favore di funzionari pubblici, di sesso maschile e di sesso femminile, di età più avanzata – aventi diritto a prestazioni previdenziali ben al di sopra del trattamento minimo corrispondente ad almeno 10 anni di servizio contributivi – possa essere ancora ritenuta adeguata (proporzionata) in considerazione della precedente attività lavorativa ad orario ridotto, quando la riduzione non corrisponda solo linearmente al ridotto volume complessivo di ore lavorative, bensì consideri in termini più sfavorevoli il rapporto tra il periodo di attività lavorativa a tempo pieno rispetto al periodo di attività ad orario ridotto, sebbene per i funzionari pubblici, di sesso maschile e di sesso femminile, di età più avanzata sia ormai fuori discussione l’eventuale concessione sproporzionatamente più favorevole del trattamento di quiescenza minimo operata indipendentemente dalla riduzione del volume di ore lavorative. Se, in tale contesto, non risulterebbe (più) adeguato rinunciare alla riduzione, superiore alla corretta proporzione, dell’aliquota della pensione di funzionari pubblici di sesso maschile e di sesso femminile di età e anzianità di servizio più avanzate, sostituendola esclusivamente con una riduzione proporzionale del trattamento minimo.
8) Se l’insorgenza di costi supplementari di amministrazione del personale, derivanti dall’assunzione di ulteriori funzionari in conseguenza dell’estensione del lavoro ad orario ridotto rispetto al lavoro a tempo pieno sinora vigente, restando inalterati i posti in bilancio e in organico, possa giustificare la necessità di porre tali costi a carico dei funzionari ad orario ridotto mediante riduzione, superiore alla corretta proporzione, della loro aliquota di pensione, ai sensi dell’art. 14, n. 1, prima frase, secondo e terzo periodo, del BeamtVG, nel testo vigente sino al 31 dicembre 1991.
9) Se sia adeguato prendere in considerazione tali costi (v. questione sub 8)), qualora l’onere derivante dall’aggravio dei costi di gestione del personale venga posto a carico unicamente dei funzionari che abbiano precedentemente svolto attività lavorativa ad orario ridotto e, quindi, in misura del tutto preponderante a carico di funzionari di sesso femminile, sebbene l’estensione delle possibilità di lavoro ad orario ridotto risulti principalmente finalizzata, nella nuova disciplina legislativa, a ridurre il tasso generale di disoccupazione mediante il parziale smaltimento dell’eccesso della domanda di posti di lavoro nel pubblico impiego, proveniente da entrambi i sessi».
Causa C-5/02
40.
La sig.ra Becker, nata il 15 luglio 1951, dal 23 agosto 1971 è funzionario pubblico al servizio del Land dell’Assia, in qualità di insegnante. Tra il 1° agosto 1981 e il 31 luglio 1989 essa ha svolto la sua attività ad orario ridotto. Dal 1° agosto 1989 al 31 luglio 1995 essa ha goduto di un’aspettativa non retribuita e, tra il 1° agosto 1995 e il 31 gennaio 2000, essa ha ripreso a svolgere le sue funzioni ad orario ridotto. Dal 1° febbraio 2000 il Land dell’Assia ha collocato anticipatamente a riposo la sig.ra Becker per invalidità.
41.
Con decisione 5 gennaio 2000, il Regierungspräsidium Darmstadt (Ufficio governativo di Darmstadt, Germania) ha riconosciuto alla sig.ra Becker una pensione pari al 52,18% della sua ultima retribuzione valida ai fini della pensione.
42.
Tale aliquota di pensione è stata calcolata nel seguente modo.
43.
In un primo tempo, il Regierungspräsidium Darmstadt ha calcolato, in osservanza dell’art. 6 del BeamtVG, il periodo di servizio effettivo dell’interessata ed ha moltiplicato detto periodo per la percentuale dell’1,875% prevista dalla nuova versione dell’art. 14 del BeamtVG, giungendo ad un’aliquota di pensione pari al 47,31%.
44.
In un secondo tempo, il datore di lavoro della sig.ra Becker, in osservanza dell’art. 85, n. 4, prima frase, del BeamtVG, poiché l’interessata era già funzionario pubblico alla data del 31 dicembre 1991, ha calcolato l’aliquota pensionistica che potrebbe essere riconosciuta a quest’ultima in applicazione dei criteri di calcolo di cui all’art. 85, n. 1, del BeamtVG. Detti criteri di calcolo davano come risultato un’aliquota di pensione pari al 57,94%.
45.
In un terzo tempo, conformemente all’art. 85, n. 4, seconda frase, del BeamtVG, il datore di lavoro della sig.ra Becker ha calcolato l’aliquota di pensione che sarebbe stata applicabile all’interessata in osservanza delle disposizioni vigenti sino al 31 dicembre 1991, ossia in applicazione della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, ivi compreso l’abbattimento dell’aliquota. A tal fine, esso ha anzitutto calcolato l’aliquota di pensione fittizia dell’interessata in base al periodo di servizio fittizio. Detto periodo avrebbe conferito all’interessata il diritto a un’aliquota fittizia di pensione pari al 72%. Il Regierungspräsidium Darmstadt ha poi ridotto tale aliquota conformemente al rapporto esistente tra il periodo di servizio effettivo e il periodo di servizio fittizio, ottenendo un’aliquota del 52,18%.
46.
Quest’ultima aliquota è quella che è stata presa in considerazione nella decisione adottata il 5 gennaio 2000 dal Regierungspräsidium Darmstadt, conformemente all’art. 85, n. 4, seconda frase, del BeamtVG, poiché tale aliquota è inferiore a quella calcolata in osservanza del n. 1 del detto articolo.
47.
L’8 febbraio 2000 la sig.ra Becker ha presentato reclamo avverso la decisione 5 gennaio 2000, che determina l’importo della sua pensione.
48.
Questo reclamo è stato respinto con decisione del Regierungspräsidium Darmstadt 30 novembre 2000.
49.
Il 21 dicembre 2000 la sig.ra Becker ha allora adito il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main, chiedendo l’annullamento delle decisioni del Regierungspräsidium Darmstadt 5 gennaio 2000 e 30 novembre 2000, relative alla determinazione dei suoi diritti pensionistici. L’interessata chiede anche che l’aliquota della sua pensione sia stabilita come pari almeno al 57,94%.
50.
Nella sua ordinanza di rinvio, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main ha esposto le ragioni, identiche a quelle illustrate nella sua ordinanza di rinvio all’origine della causa C-4/02, per le quali esso ritiene che un’interpretazione delle disposizioni comunitarie rilevanti sia necessaria ai fini della soluzione della controversia principale.
51.
Pertanto, con ordinanza 12 novembre 2001 il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte undici questioni pregiudiziali, di cui le prime nove sono identiche a quelle presentate nell’ambito della causa C-4/02.
52.
Nella sua ordinanza di rinvio relativa alla causa C-5/02, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main illustra in particolare alcune considerazioni relative all’efficacia nel tempo del Protocollo n. 2. Esso rileva a tal proposito che potrebbe sembrare contrario al principio della buona fede applicare tale protocollo nella causa principale dal momento che, anteriormente alla data del 17 maggio 1990, i datori di lavoro pubblici tedeschi, ivi compreso il Land dell’Assia, erano già consapevoli del fatto che la disposizione concernente l’abbattimento dell’aliquota poteva condurre a svantaggi considerevoli e sproporzionati a carico dei funzionari pubblici ad orario ridotto, ragion per cui tale abbattimento è stato abrogato con la legge 1990 di riforma delle retribuzioni la quale, benché pubblicata il 28 maggio 1990, era stata approvata dal Parlamento sin dal 10 e 11 maggio 1990.
53.
Tali considerazioni inducono il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main a sottoporre alla Corte, nella causa C-5/02, le due questioni supplementari seguenti, che si aggiungono alle prime nove questioni, identiche a quelle proposte nell’ambito della causa C-4/02:
«10) Se il protocollo sull’art. 119 del Trattato CE, facente parte del Trattato sull’Unione Europea 1992 (GU C 191, pag. 3, in particolare pag. 68), escluda in ogni caso una verifica dei criteri di calcolo dei periodi di servizio precedenti il 17 maggio 1990 alla luce dell’art. 119 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 141, nn. 1 e 2, CE) e se siffatto divieto di verifica valga anche nel caso in cui i criteri di calcolo applicabili ai periodi di servizio compiuti precedentemente il 17 maggio 1990 siano stati modificati dopo tale data, ma dette modifiche attuino solo parzialmente un adattamento alle prescrizioni dell’art. 119 del Trattato CE, escludendo, per determinate categorie, un adeguamento in pari misura favorevole.
11) Se per il rispetto della data di riferimento del 17 maggio 1990 per l’adozione di normative sia rilevante il giorno della pubblicazione sull’apposito organo ufficiale oppure la conclusione dei lavori in seno all’organo legislativo, anche quando per la legge sia richiesta l’approvazione del governo federale».
54.
Con ordinanza del presidente della Corte 8 febbraio 2002, le cause C-4/02 e C-5/02 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.
Sulle prime due questioni (cause C-4/02 e C-5/02)
55.
Con le sue prime due questioni, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se una pensione di vecchiaia versata in osservanza di un regime come quello istituito dal BeamtVG rientri nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato e dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, nonché nella sfera di applicazione delle direttive relative all’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne e, in caso di soluzione affermativa, se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che esse ostano, in linea di principio, a una disciplina, quale quella risultante dal combinato disposto dell’art. 85 del BeamtVG e della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, la quale comporta una riduzione dell’importo della pensione dei pubblici funzionari che hanno svolto le loro funzioni ad orario ridotto durante una parte almeno della loro carriera.
56.
A tal proposito, occorre ricordare che, per valutare se una pensione di vecchiaia rientri nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato e, dal 1° maggio 1999, in quello dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, soltanto il criterio relativo alla constatazione che la pensione è corrisposta al lavoratore per il rapporto di lavoro che lo lega al suo ex datore di lavoro, vale a dire il criterio dell’impiego, desunto dalla lettera stessa delle citate disposizioni, può avere carattere determinante (v., in tal senso, sentenze 28 settembre 1994, causa C-7/93, Beune, Racc. pag. I-4471, punto 43; 17 aprile 1997, causa C-147/95, Evrenopoulos, Racc. pag. I-2057, punto 19; 29 novembre 2001, causa C-366/99, Griesmar, Racc. pag. I-9383, punto 28, e 12 settembre 2002, causa C-351/00, Niemi, Racc. pag. I-7004, punto 45).
57.
E’ vero che a tale criterio non si può attribuire carattere esclusivo, dato che le pensioni corrisposte dai regimi legali previdenziali possono, in tutto o in parte, tener conto della retribuzione dell’attività lavorativa (cit. sentenze Beune, punto 44, Evrenopoulos, punto 20, Griesmar, punto 29, e Niemi, punto 46). Ebbene, siffatte pensioni non costituiscono retribuzioni ai sensi dell’art. 119 del Trattato o dell’art. 141 CE (v., in tal senso, cit. sentenze Beune, punti 24 e 44, Griesmar, punto 27, e Niemi, punto 39).
58.
Tuttavia, le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o hanno potuto avere un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessi soltanto una categoria particolare di lavoratori, se sia direttamente proporzionale agli anni di servizio prestati e se il suo importo sia calcolato in base all’ultima retribuzione del dipendente pubblico (cit. sentenze Beune, punto 45, Evrenopoulos, punto 21, Griesmar, punto 30, e Niemi, punto 47). La pensione corrisposta dal datore di lavoro pubblico è in tal caso del tutto simile a quella che verserebbe un datore di lavoro privato ai suoi ex dipendenti (cit. sentenze Beune, punto 45, Griesmar, punto 30, e Niemi, punto 47).
59.
Occorre pertanto, al fine di determinare se una pensione di vecchiaia versata in forza di un regime quale quello istituito dal BeamtVG rientri nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato e in quella dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, esaminare se questa pensione soddisfi i tre criteri suddetti.
60.
A tal riguardo, è importante rilevare, in primo luogo, che la Corte ha già dichiarato che i dipendenti pubblici che beneficiano di un regime pensionistico devono essere considerati come una categoria particolare di lavoratori. Infatti, essi si distinguono dai lavoratori di un’impresa o di un gruppo di imprese, di un comparto economico o di un settore professionale o interprofessionale soltanto in ragione delle caratteristiche peculiari che disciplinano il loro rapporto di lavoro con lo Stato, con altri enti o datori di lavoro pubblici (cit. sentenze Griesmar, punto 31, e Niemi, punto 48).
61.
In secondo luogo, per quanto concerne il criterio in base al quale la pensione dev’essere direttamente proporzionale al periodo di servizio prestato, occorre constatare che dalle disposizioni del BeamtVG risulta che il livello della pensione versata in forza della detta legge è determinato dalla durata della carriera del funzionario pubblico.
62.
In terzo luogo, per quanto riguardo l’importo delle prestazioni, occorre rilevare che, in osservanza del BeamtVG, questo è calcolato sulla base dell’ultima retribuzione del funzionario pubblico valida ai fini della pensione.
63.
Ne consegue che una pensione di vecchiaia versata in forza di un regime quale quello istituito dal BeamtVG, il quale soddisfa i tre criteri propri del rapporto d’impiego, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato e, dal 1° maggio 1999, in quella dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE.
64.
Di conseguenza, una pensione siffatta non costituisce una pensione versata da un regime previdenziale legale, di modo che il regime istituito dal BeamtVG non rientra nella sfera di applicazione della direttiva 79/7.
65.
Benché un regime quale quello istituito dal BeamtVG costituisca effettivamente un regime previdenziale professionale ai sensi della direttiva 86/378, non occorre tuttavia interrogarsi sull’efficacia della detta direttiva nel caso in cui una discriminazione fondata sul sesso in materia pensionistica possa essere direttamente accertata attraverso gli elementi costitutivi della retribuzione e i criteri enunciati nell’art. 119 del Trattato e nell’art. 141, nn. 1 e 2, CE (v., in tal senso, sentenza Beune, cit., punto 64). Lo stesso ragionamento vale per quanto concerne le disposizioni della direttiva 97/80.
66.
Occorre valutare se ciò si verifichi nel caso di specie.
67.
Sul punto, occorre ricordare che l’art. 119 del Trattato e l’art. 141, nn. 1 e 2, CE sanciscono il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile per un medesimo lavoro. Tale principio osta non solo all’applicazione delle norme che dispongono discriminazioni direttamente fondate sul sesso, ma anche all’applicazione di norme che conservano differenze di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile in applicazione di criteri non fondati sul sesso, ogni volta che le dette differenze non possano spiegarsi in base a fattori obiettivamente giustificati ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso (v. sentenze 15 dicembre 1994, cause riunite C-399/92, C-409/92, C-425/92, C-34/93, C-50/93 e C-78/93, Helmig e a., Racc. pag. I-5727, punto 20, e 9 febbraio 1999, causa C-167/97, Seymour-Smith e Perez, Racc. pag. I-623, punto 52).
68.
Per quanto concerne le disposizioni controverse del BeamtVG, è pacifico che esse non istituiscono discriminazioni direttamente fondate sul sesso. Occorre pertanto verificare se esse possano costituire una discriminazione indiretta, in contrasto con l’art. 119 del Trattato e con l’art. 141, nn. 1 e 2, CE.
69.
Al fine di accertare l’esistenza di una siffatta discriminazione, occorre verificare se le disposizioni controverse producano, nei confronti dei lavoratori di sesso femminile, effetti più sfavorevoli di quelli che essi producono in capo ai lavoratori di sesso maschile (v., in particolare, in tal senso, sentenza Seymour-Smith e Perez, cit., punto 58).
70.
A tal proposito, è pacifico che l’applicazione delle disposizioni sull’abbattimento dell’aliquota unitamente al sistema di scaglioni decrescenti può condurre al risultato che, a fronte di uno stesso numero di ore lavorative prestate, il lavoro ad orario ridotto dia diritto a una pensione inferiore a quella risultante dall’orario di lavoro a tempo pieno.
71.
Occorre pertanto determinare se i dati statistici disponibili indichino che una percentuale considerevolmente più elevata di lavoratori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile è colpita dalle disposizioni del BeamtVG, le quali comportano una riduzione dell’importo della pensione dei funzionari pubblici che hanno svolto le loro funzioni ad orario ridotto durante una parte almeno della loro carriera. Una siffatta situazione costituirebbe un indizio di discriminazione fondata sul sesso, a meno che le disposizioni controverse non siano giustificate da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione di tale natura.
72.
Nel caso di specie, dalle ordinanze di rinvio si ricava che una percentuale considerevolmente più elevata di funzionari pubblici di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile lavora ad orario ridotto ed è pertanto colpita dalle disposizioni controverse del BeamtVG.
73.
Alla luce di ciò, occorre constatare, sulla base delle indicazioni fornite a tal riguardo dal giudice del rinvio, che disposizioni del tipo di quelle oggetto delle cause principali possono condurre a una discriminazione dei lavoratori di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile contraria alla parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile per un medesimo lavoro, a meno che le dette disposizioni non siano giustificate da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
74.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, occorre risolvere le prime due questioni dichiarando che una pensione di vecchiaia versata in osservanza di un regime quale quello istituito dal BeamtVG rientra nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato e dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE. Queste disposizioni ostano a una disciplina, quale quella risultante dal combinato disposto dell’art. 85 del BeamtVG e della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, la quale può comportare una riduzione dell’importo della pensione dei funzionari pubblici che hanno svolto le loro funzioni ad orario ridotto durante una parte almeno della loro carriera, quando questa categoria di funzionari pubblici comprende un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini, a meno che tale legislazione non sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
Sulle questioni terza-nona (cause C-4/02 e C-5/02)
75.
Con le sue questioni terza-nona, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza, in caso di soluzione affermativa alle prime due questioni, a quali condizioni una normativa, quale quella derivante dal combinato disposto dell’art. 85 del BeamtVG e della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, possa essere giustificata da fattori obiettivi estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
Osservazioni presentate alla Corte
76.
La sig.ra Becker sostiene che non esistono ragioni obiettive che consentano di giustificare l’effetto discriminatorio dell’abbattimento dell’aliquota, dal quale consegue che un funzionario pubblico occupato ad orario ridotto, il quale abbia fornito complessivamente un lavoro quantitativamente identico a quello di un funzionario pubblico a tempo pieno, semplicemente distribuito su un periodo più lungo, goda tuttavia di un’aliquota di pensione meno elevata. Vero è che è stato sostenuto talvolta che tale disparità di trattamento possa essere giustificata da ragioni economiche, poiché l’abbattimento dell’aliquota avrebbe lo scopo, secondo tale opinione, di compensare gli oneri economici supplementari derivanti, per i pubblici poteri, dall’introduzione di opportunità di lavoro ad orario ridotto. Tuttavia, secondo la sig.ra Becker, una siffatta giustificazione non può essere accolta.
77.
Secondo il governo tedesco, anche motivi diversi da quello di limitare le spese pubbliche, indicato nella motivazione della normativa nazionale, possono giustificare una discriminazione indiretta e il giudice nazionale deve tener conto anche dei motivi ricavabili dalla ratio delle disposizioni controverse.
78.
Il governo tedesco ne trae la conclusione che, nella presente fattispecie, il Verwaltungsgericht Frankfurt am Main deve verificare se sussistano giustificazioni diverse per l’abbattimento dell’aliquota rispetto a quelle dedotte nella motivazione della legge, che possano evincersi da un obiettivo esame complessivo della normativa tedesca in materia di pensioni dei dipendenti pubblici in vigore all’epoca dei fatti.
79.
A tal riguardo, il governo tedesco sostiene che dalla detta legislazione nazionale si può dedurre che l’abbattimento dell’aliquota costituiva un meccanismo correttivo inerente al sistema pensionistico, avente lo scopo di evitare che i dipendenti pubblici occupati ad orario ridotto risultassero avvantaggiati in conseguenza dell’applicazione del precedente sistema di scaglioni di pensione decrescenti. A causa della decrescenza del precedente sistema pensionistico, il vantaggio di cui godevano i dipendenti pubblici che non avevano lavorato per tutta la loro carriera a tempo pieno non poteva essere compensato tenendo semplicemente conto proporzionalmente dei periodi di lavoro ad orario ridotto. Il carattere decrescente del precedente sistema pensionistico rendeva necessaria piuttosto una diversa procedura di adeguamento, l’abbattimento dell’aliquota. Pertanto, il regime dell’abbattimento dell’aliquota è semplicemente un meccanismo correttivo per conseguire l’equità interna del sistema pensionistico dei dipendenti pubblici.
80.
La Commissione afferma che una disparità di retribuzione tra uomini e donne quale quella risultante dalle disposizioni di cui trattasi del BeamtVG, motivata unicamente da considerazioni di ordine finanziario, è in contrasto con l’art. 141 CE. Essa invoca a tal riguardo la sentenza Roks e a., pronunciata dalla Corte (sentenza 24 febbraio 1994, causa C-343/92, Racc. pag. I-571, punti 35-37).
81.
La Commissione aggiunge che incombe in ultima istanza al giudice nazionale determinare se e in che misura una disposizione legislativa che si applica a prescindere dal sesso del lavoratore, ma che colpisce di fatto una percentuale considerevolmente più elevata di donne che di uomini, sia giustificata da ragioni obiettive, estranee a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. A parere della Commissione, la Corte può tuttavia fornire al giudice del rinvio indicazioni che gli consentano di determinare se esista un criterio obiettivo di giustificazione della normativa nazionale di cui trattasi, prendendo in considerazione il complesso della situazione giuridica e concreta, illustrato dall’ordinanza di rinvio.
Giudizio della Corte
82.
Va anzitutto rilevato che spetta in ultima analisi al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se ed entro quali limiti una disposizione di legge la quale si applichi indipendentemente dal sesso del lavoratore, ma colpisca di fatto una percentuale notevolmente più elevata di donne che di uomini, sia giustificata da motivi obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso (v., in particolare, sentenze 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kühn, Racc. pag. 2743, punto 15, e Seymour Smith e Perez, cit., punto 67).
83.
Tuttavia, ancorché spetti al giudice nazionale, nel contesto di un rinvio pregiudiziale, accertare l’esistenza di siffatti elementi obiettivi nel caso concreto per il quale è stato adito, la Corte, chiamata a fornire al giudice nazionale risposte utili, è competente a fornire indicazioni, tratte dal fascicolo della causa principale come pure dalle osservazioni scritte ed orali sottopostele, idonee a mettere il giudice nazionale in grado di decidere (sentenze 7 marzo 1996, causa C-278/93, Freers e Speckmann, Racc. pag. I-1165, punto 24; Seymour-Smith e Perez, cit., punto 68, e 20 marzo 2003, causa C-187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I-0000, punto 52).
84.
A tal proposito, occorre sottolineare anzitutto che l’obiettivo di limitare la spesa pubblica il quale, secondo il giudice del rinvio, sarebbe stato invocato dai pubblici poteri all’atto di istituire l’abbattimento dell’aliquota nella legislazione nazionale, non può essere considerato una valida giustificazione di una disparità di trattamento fondata sul sesso.
85.
Infatti, la Corte ha già dichiarato che considerazioni di bilancio non possono giustificare una discriminazione a sfavore di uno dei sessi. Infatti, ammettere che siffatte considerazioni possano giustificare una differenza di trattamento tra uomini e donne la quale, in loro mancanza, costituirebbe una discriminazione indiretta fondata sul sesso comporterebbe che l’applicazione e la portata di una norma tanto fondamentale del diritto comunitario come quella della parità tra uomini e donne possano variare, nel tempo e nello spazio, a seconda della situazione delle finanze pubbliche degli Stati membri (sentenze Roks e a., cit., punti 35 e 36; 6 aprile 2000, causa C-226/98, Jørgensen, Racc. pag. I-2447, punto 39, e Kutz-Bauer, cit., punti 59 e 60).
86.
Tuttavia, una disparità di trattamento tra uomini e donne può essere giustificata, eventualmente, da ragioni diverse da quelle invocate all’atto dell’adozione del provvedimento che ha istituito una siffatta disparità.
87.
Infatti, spetta allo Stato membro, autore di un siffatto provvedimento, oppure alla parte in causa nel giudizio principale che lo invoca di dimostrare, dinanzi al giudice nazionale, l’esistenza di ragioni obiettive ed estranee a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso che consentano di giustificare il detto provvedimento (v., in tal senso, cit. sentenze Seymour-Smith e Perez, punto 69, e Kutz-Bauer, punto 62), senza che i detti soggetti siano vincolati a tal riguardo dall’intenzione espressa in sede di adozione del detto atto.
88.
Il governo tedesco sostiene che l’abbattimento dell’aliquota istituito con il BeamtVG costituisce un meccanismo correttivo inerente al sistema pensionistico, avente lo scopo di evitare che i funzionari pubblici occupati ad orario ridotto siano avvantaggiati rispetto ai funzionari pubblici occupati a tempo pieno, in conseguenza dell’applicazione del precedente sistema di scaglioni di pensione decrescenti.
89.
Peraltro, dalle ordinanze di rinvio si ricava che, secondo la giurisprudenza del Bundesverwaltungsgericht, l’abbattimento dell’aliquota opera una riduzione proporzionale della pensione in caso di lavoro ad orario ridotto e di aspettativa non retribuita e non costituisce pertanto una misura di discriminazione indiretta contraria al principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, garantita dal diritto comunitario. Infatti, una siffatta riduzione sarebbe obiettivamente giustificata dalla circostanza che la pensione costituisce, in tale ipotesi, il corrispettivo di una prestazione lavorativa meno rilevante.
90.
A tal proposito, occorre rilevare preliminarmente che, come sottolineato dall’avvocato generale nel paragrafo 102 delle sue conclusioni, il diritto comunitario non osta al calcolo di una pensione di vecchiaia effettuato secondo una regola pro rata temporis in caso di lavoro ad orario ridotto.
91.
Infatti, oltre al numero di anni di servizio di un funzionario pubblico, la rilevanza del periodo lavorativo effettivamente svolto da quest’ultimo durante la sua carriera, paragonato a quello di un funzionario pubblico che abbia svolto durante tutta la sua carriera il proprio lavoro a tempo pieno, costituisce un criterio obiettivo ed estraneo a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, che consente una riduzione proporzionata dei suoi diritti pensionistici.
92.
L’art. 6 del BeamtVG, secondo il quale i periodi di lavoro ad orario ridotto risultano validi ai fini pensionistici solo a concorrenza del rapporto esistente tra l’orario ridotto e l’orario di lavoro ordinario, applica un siffatto criterio obiettivo.
93.
Viceversa, un provvedimento che porti a ridurre l’importo della pensione di vecchiaia di un lavoratore in modo sproporzionato alla rilevanza dei suoi periodi di attività ad orario ridotto non può essere considerato obiettivamente giustificato dal fatto che la pensione costituisce in tale ipotesi il corrispettivo di una prestazione di lavoro meno significativa.
94.
Nella fattispecie, come illustrato dall’avvocato generale nei paragrafi 60-62 delle sue conclusioni, l’applicazione a un funzionario pubblico che abbia lavorato ad orario ridotto durante la sua carriera dell’abbattimento dell’aliquota previsto dalla versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG comporta una riduzione dell’aliquota della pensione di quest’ultimo superiore a quella, proporzionata alla rilevanza del suo periodo di lavoro, che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 6 del BeamtVG.
95.
Un siffatto risultato non può essere giustificato dall’argomento, invocato dal governo tedesco, secondo il quale un siffatto abbattimento dell’aliquota sarebbe giustificato dall’obiettivo di assicurare la parità di trattamento tra i funzionari pubblici occupati ad orario ridotto e quelli occupati a tempo pieno nel sistema di scaglioni di pensione decrescenti.
96.
Infatti, l’abbattimento dell’aliquota non garantisce il raggiungimento di un simile obiettivo. Come si ricava dai paragrafi 60-63 e 100 delle conclusioni dell’avvocato generale, in caso di parità di ore lavorative prestate durante tutto il corso della loro carriera da un funzionario pubblico che abbia lavorato ad orario ridotto e da uno che abbia lavorato a tempo pieno, l’applicazione al primo del regime dell’abbattimento dell’aliquota può comportare il riconoscimento a quest’ultimo di un’aliquota di pensione inferiore a quella attribuita al secondo in applicazione della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG. In realtà, l’introduzione dell’abbattimento dell’aliquota ha avuto l’effetto di ridurre, per un tale funzionario pubblico occupato ad orario ridotto, i vantaggi risultanti dal sistema di scaglioni di pensione decrescenti, mentre i funzionari occupati a tempo pieno continuavano a poter godere di questi vantaggi, in particolare quando liquidavano i loro diritti pensionistici dopo i primi periodi di servizio, utili alla maturazione, su base annua, di diritti pensionistici superiori a quelli concessi per gli anni successivi.
97.
Dalle considerazioni sin qui svolte discende che occorre risolvere le questioni terza-nona dichiarando che:
– spetta al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se ed entro quali limiti una disposizione di legge la quale si applichi indipendentemente dal sesso del lavoratore, ma colpisca di fatto una percentuale notevolmente più elevata di donne che di uomini, sia giustificata da motivi obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso;
– l’obiettivo di limitare la spesa pubblica non può essere considerato una valida giustificazione di una disparità di trattamento fondata sul sesso;
– una disparità di trattamento tra uomini e donne può essere giustificata, eventualmente, da ragioni diverse da quelle invocate all’atto dell’adozione del provvedimento che ha istituito una siffatta disparità;
– una normativa nazionale, quale quella derivante dal combinato disposto dell’art. 85 del BeamtVG e della versione precedente dell’art. 14 del BeamtVG, che porti a ridurre l’importo della pensione di vecchiaia di un lavoratore in modo sproporzionato riguardo ai suoi periodi di attività ad orario ridotto non può essere considerata obiettivamente giustificata dal fatto che la pensione costituisce in tale ipotesi il corrispettivo di una prestazione di lavoro meno significativa, oppure perché essa ha lo scopo di evitare che i funzionari pubblici occupati ad orario ridotto siano avvantaggiati rispetto a quelli occupati a tempo pieno.
Sulle questioni decima e undicesima (causa C-5/02)
98.
Con le sue questioni decima e undicesima, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il Protocollo n. 2 e il Protocollo sull’art. 141 CE debbano essere interpretati nel senso che essi escludono, a livello generale, rispettivamente, l’applicazione dell’art. 119 del Trattato e l’applicazione dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE a prestazioni previste da un regime previdenziale professionale, dovute a titolo di periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990, oppure se a tal riguardo si debba prendere in considerazione la circostanza che le disposizioni nazionali applicabili a tali periodi lavorativi sono state modificate da una normativa nazionale adottata prima di tale data, ma pubblicata in seguito, la quale lascia sussistere in taluni casi una disparità di trattamento in contrasto con le dette disposizioni del Trattato.
99.
A tale riguardo, occorre ricordare preliminarmente che la Corte ha dichiarato, nei punti 44 e 45 della sua sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber (Racc. pag. I-1889), che considerazioni tassative di certezza del diritto ostano alla rimessa in discussione di rapporti giuridici che hanno esaurito i loro effetti nel passato quando in tal caso l’equilibrio finanziario di numerosi regimi pensionistici rischi di essere retroattivamente sconvolto, di modo che l’efficacia diretta dell’art. 119 del Trattato non può essere fatta valere per chiedere il riconoscimento di un diritto alla pensione con effetto da una data precedente a quella della detta sentenza, ad eccezione di chi si sia adoperato in tempo utile per salvaguardare i propri diritti.
100.
Così come la Corte ha precisato nella sentenza 6 ottobre 1993, causa C-109/91, Ten Oever (Racc. pag. I-4879, punti 19 e 20), conformemente alla citata sentenza Barber, l’efficacia diretta dell’art. 119 del Trattato può essere fatta valere, per esigere la parità di trattamento in materia di pensioni erogate da regimi professionali, soltanto con riferimento alle prestazioni dovute per i periodi lavorativi successivi al 17 maggio 1990, data della detta sentenza, fatta salva l’eccezione prevista per i lavoratori o per i loro aventi causa che abbiano, prima di tale data, intentato un’azione in giudizio o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale vigente (sentenza 11 dicembre 1997, causa C-246/96, Magorrian e Cunningham, Racc. pag. I-7153, punto 25).
101.
Questa limitazione compare parimenti nel Protocollo n. 2, il quale presenta un collegamento evidente con la citata sentenza Barber, poiché si riferisce in particolare alla stessa data del 17 maggio 1990. In sostanza, il Protocollo n. 2 ha accolto, estendendola a tutte le prestazioni fornite da un regime aziendale di previdenza sociale e incorporandola nel Trattato, la stessa interpretazione data alla citata sentenza Barber dalla citata sentenza Ten Oever (sentenza 28 settembre 1994, causa C-57/93, Vroege, Racc. pag. I-4541, punto 41).
102.
Questa limitazione è parimenti ripresa nel Protocollo sull’art. 141 CE, la cui redazione è identica a quella del Protocollo n. 2.
103.
Orbene, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 110 delle sue conclusioni, né dalla sentenza Barber, né dal Protocollo n. 2 o dal Protocollo sull’art. 141 CE sono desumibili ragioni per ammettere eccezioni diverse da quelle da essi espressamente previste alla regola secondo la quale l’efficacia diretta dell’art. 119 del Trattato o quella dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE può essere invocata, al fine di esigere la parità di trattamento in materia di pensioni professionali, solo per le prestazioni dovute a titolo di periodi lavorativi successivi al 17 maggio 1990.
104.
Di conseguenza, occorre risolvere le questioni decima e undicesima dichiarando che il Protocollo n. 2 e il Protocollo sull’art. 141 CE debbono essere interpretati nel senso che essi escludono, rispettivamente, l’applicazione dell’art. 119 del Trattato e l’applicazione dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, a prestazioni previste da un regime previdenziale professionale, dovute a titolo di periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990, fatta salva l’eccezione prevista per i lavoratori o per i loro aventi causa che abbiano, prima di tale data, intentato un’azione in giudizio o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale vigente.
Sulle spese
105.
Le spese sostenute dal governo tedesco e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Verwaltungsgericht Frankfurt am Main con ordinanze 12 novembre 2001, dichiara:
1) Una pensione di vecchiaia versata in osservanza di un regime quale quello istituito dal Gesetz über die Versorgung der Beamten und Richter in Bund und Ländern 24 agosto 1976, nella versione pubblicata il 16 marzo 1999, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE – 143 CE) e dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE. Queste disposizioni ostano a una disciplina, quale quella risultante dal combinato disposto dell’art. 85 e della versione precedente dell’art. 14 della citata legge, la quale può comportare una riduzione dell’importo della pensione dei funzionari pubblici che hanno svolto le loro funzioni ad orario ridotto durante una parte almeno della loro carriera, quando questa categoria di funzionari pubblici comprende un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini, a meno che tale legislazione non sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.
2) Spetta al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se ed entro quali limiti una disposizione di legge la quale si applichi indipendentemente dal sesso del lavoratore, ma colpisca di fatto una percentuale notevolmente più elevata di donne che di uomini, sia giustificata da motivi obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.
L’obiettivo di limitare la spesa pubblica non può essere considerato una valida giustificazione di una disparità di trattamento fondata sul sesso.
Una disparità di trattamento tra uomini e donne può essere giustificata, eventualmente, da ragioni diverse da quelle invocate all’atto dell’adozione del provvedimento che ha istituito una siffatta disparità.
Una normativa nazionale, quale quella derivante dal combinato disposto dell’art. 85 del Gesetz über die Versorgung der Beamten und Richter in Bund und Ländern e della versione precedente dell’art. 14 della detta legge, che porti a ridurre l’importo della pensione di vecchiaia di un lavoratore in modo sproporzionato riguardo ai suoi periodi di attività ad orario ridotto non può essere considerata obiettivamente giustificata dal fatto che la pensione costituisce in tale ipotesi il corrispettivo di una prestazione di lavoro meno significativa, oppure perché essa ha lo scopo di evitare che i funzionari pubblici occupati ad orario ridotto siano avvantaggiati rispetto a quelli occupati a tempo pieno.
3) Il Protocollo n. 2 sull’art. 119 del Trattato che istituisce la Comunità europea e il Protocollo sull’art. 141 CE allegato al Trattato CE debbono essere interpretati nel senso che essi escludono, rispettivamente, l’applicazione dell’art. 119 del Trattato CE e l’applicazione dell’art. 141, nn. 1 e 2, CE, a prestazioni previste da un regime previdenziale professionale, dovute a titolo di periodi lavorativi anteriori al 17 maggio 1990, fatta salva l’eccezione prevista per i lavoratori o per i loro aventi causa che abbiano, prima di tale data, intentato un’azione in giudizio o proposto un reclamo equivalente a norma del diritto nazionale vigente.
La Pergola Jannvon Bahr
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 ottobre 2003.

1: Lingua processuale: il tedesco.