CGCE, parità di trattamento tra uomini e donne, discriminazione indiretta, indennità di licenziamento, non equiparabilità del periodo di congedo parentale al servizio militare o civile

Di seguito pubblichiamo la sentenza della Corte di Giustizia 8 giugno 2004, Österreichischer Gewerkschaftsbund, causa C-220/02.

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
8 giugno 2004

«Principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e femminile – Nozione di retribuzione – Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, dei periodi di servizio militare svolti – Possibilità di paragonare i lavoratori che effettuano un servizio militare e le lavoratrici che, alla fine del loro congedo di maternità, si avvalgono di un congedo parentale la cui durata non viene presa in considerazione ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento»
Nel procedimento C-220/02,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten
e
Wirtschaftskammer Österreich,
domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 141 CE e 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, (JO L 45, p. 19),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans, A. Rosas, J.–P. Puissochet (relatore) e J. N. Cunha Rodrigues, presidenti di Sezione, R. Schintgen, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, dal sig. S. von Bahr e dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, giudici
avvocato generale: sig.ra J. Kokott,
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
viste le osservazioni scritte presentate:

per l’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten, dalla sig.ra K. Mayr, Referent der Kammer für Arbeiter und Angestellte für Oberösterreich,

per la Wirtschaftskammer Österreich, dal sig. O. Körner, in qualità di agente,

per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente,

per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra N. Yerell e dal sig. H. Kreppel, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza
sentite le osservazioni orali dell’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten, rappresentato dal sig. K. Mayr, della Wirtschaftskammer Österreich, rappresentata dal sig. O. Körner, del governo austriaco, rappresentato dal sig. G. Hesse, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dal sig. H. Kreppel, all’udienza del 3 febbraio 2004,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale presentate all’udienza del 12 febbraio 2004,
ha pronunciato la seguente

Sentenza

1
Con ordinanza 22 maggio 2002, pervenuta alla Corte il 14 giugno successivo, l’Oberster Gerichtshof ha posto, a norma dell’art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali relative all’interpretazione degli artt. 141 CE e 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19).
2
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra l’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten (in prosieguo: il «Gewerkschaftsbund»), sindacato che rappresenta gli impiegati del settore privato, e la Wirtschaftskammer Österreich, camera di commercio austriaca, avente ad oggetto una rivendicazione della parità di trattamento nelle indennità di licenziamento tra lavoratori di sesso maschile e femminile.

Contesto giuridico
Normativa comunitaria
3
L’art. 141, nn. 1 e 2, CE dispone:
«1.Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
4
L’art. 1 della direttiva 75/117 prevede quanto segue:
«Il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, previsto dall’articolo 119 del trattato, denominato in appresso “principio della parità delle retribuzioni”, implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.
In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni basate sul sesso».
Normativa nazionale
5
Il contesto giuridico nazionale rilevante, come emerge dall’ordinanza di rinvio, si presenta come segue:
Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, dei periodi di congedo in caso di gravidanza o parto
6
Ai sensi delle disposizioni dell’art. 23 dell’Angestelltengesetz (legge sugli impiegati, BGBl 1921/292, modificato dal BGBl 2002/100; in prosieguo: l’«AngG»), che, in forza dell’art. 2, paragrafo 1, dell’Arbeiter?Abfertigungsgesetz (legge relativa all’indennità di licenziamento degli operai), si applica anche agli operai, i lavoratori hanno diritto, a certe condizioni, ad un’indennità di licenziamento. L’importo di tale indennità dipende, in particolare, dall’anzianità di servizio del lavoratore.
7
Ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, del Mutterschutzgesetz 1979, (legge relativa alla protezione della madre; BGBl 221/1979, modificato dal BGBl 2002/100; in prosieguo: il “MSchG”), le donne incinte non possono lavorare le otto settimane precedenti la data presunta del parto. Emerge peraltro dall’art. 3, paragrafo 3, del MSchG, che, al di fuori di tale periodo di otto settimane, le donne incinte sono sottoposte a un divieto di lavorare anche quando il proseguimento dell’attività minacci la vita o la salute della madre o del bambino.
8
L’art. 5, paragrafo 1, del MSchG prevede che le donne non possono lavorare nelle otto settimane successive al parto. In caso di nascita prematura, nascita multipla o parto cesareo, tale periodo è di almeno dodici settimane.
9
L’Oberster Gerichtshof, nella causa 9 ObA 199/00f, ha affermato che i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’anzianità di servizio ai fini della determinazione dell’indennità di licenziamento. Il giudice ha motivato la sua posizione in particolare con la circostanza che non esiste una disposizione contraria nella legislazione.
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Successivamente a questi periodi, la lavoratrice subordinata, ai sensi dell’art. 15, paragrafo 1, del MSchG, ha diritto, su sua richiesta, ad un congedo senza retribuzione fino al secondo anno di vita del bambino, a condizione che viva con quest’ultimo nello stesso focolare domestico. Ai sensi dell’art. 15, paragrafo 2, del MSchG, tale congedo parentale si deve protrarre per almeno tre mesi. Durante tale periodo di congedo, il contratto di lavoro non può essere risolto e la lavoratrice subordinata non può essere licenziata. Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo, quest’ultima beneficia della stessa protezione per quattro settimane dal termine del detto congedo.
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Ai sensi dell’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG, «[s]e non è stato disposto diversamente, il periodo di congedo [parentale] non viene preso in considerazione ai fini dei diritti dipendenti dall’anzianità di servizio».
Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, della durata del servizio militare
12
Ai sensi dell’art. 8 dell’Arbeitsplatz-Sicherungsgesetz, (legge sulla salvaguardia del posto di lavoro, BGBl 1991/683, modificato dal BGBl I 1998/30; in prosieguo: l’«APSG»), «laddove i diritti di un lavoratore dipendono dall’anzianità di servizio, i periodi:
1. del servizio militare ai sensi dell’art. 27, paragrafo 1, nn. 1-4 e 6-8, del Wehrgesetz (legge sulla difesa) (ora: art. 19, paragrafo 1, nn. 1-4 e 6-8, del Wehrgesetz 2001) ,
2) del servizio militare come soldato a contratto temporaneo ai sensi dell’art. 27, paragrafo 1, n. 5, del Wehrgesetz (ora: art. 19, paragrafo 1, n. 5, del Wehrgesetz 2001), fino a 12 mesi,
3. dell’addestramento riservato alle donne e
4. del servizio civile,
in costanza di rapporto di lavoro,
sono da aggiungere al periodo di servizio».
13
L’art. 12 dell’APSG prevede, per i lavoratori interessati una protezione particolare, in tali periodi, contro la risoluzione del loro contratto di lavoro o il loro licenziamento. Tale protezione decorre a partire dal momento in cui al lavoratore è notificata la convocazione per il servizio militare, il servizio di addestramento riservato alle donne o il servizio civile fino a, di regola, un mese dopo il termine del suo servizio, ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, n. 3), dell’APSG.
14
Ai sensi dell’art. 20, paragrafo 1, del Wehrgesetz, tutti i soggetti alla leva sono tenuti a svolgere un servizio militare di sei mesi. Qualora lo richiedano interessi di natura militare, essi possono essere trattenuti per un periodo supplementare per una durata corrispondente alle esigenze militari in questione e tale durata non può superare gli otto mesi
15
A tale periodo corrispondente al detto servizio vanno aggiunti i periodi di esercitazioni delle truppe che i soggetti all’obbligo di leva devono svolgere per il mantenimento del livello di addestramento e per l’insegnamento di compiti di intervento ai sensi dell’art. 19, paragrafo 1, n. 2), del Wehrgesetz 2001. La durata di tali esercitazioni va stabilita sulla base delle esigenze militari e di regola non deve superare i 15 giorni all’anno.
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Allo stesso titolo possono essere presi in considerazione altri periodi, come, in particolare, quelli delle esercitazioni per quadri, ai sensi dell’art. 19, paragrafo 1, n. 3), del Wehrgesetz. Tali periodi vengono svolti volontariamente o per convocazione qualora siano motivati da esigenze militari. Le esercitazioni per quadri servono all’addestramento dei soggetti all’obbligo di leva per funzioni di inquadramento nonché al mantenimento e all’approfondimento delle competenze acquisite. La durata obbligatoria delle dette esercitazioni, ai sensi dell’art. 21, paragrafo 1, n. 1), è di novanta giorni, per le funzioni di ufficiale e ai sensi del n. 2) della detta disposizione è di sessanta giorni per le restanti funzioni di inquadramento. E’ tuttavia possibile continuare tali esercitazioni volontariamente per una durata pari al doppio della loro durata complessiva.
17
Dall’art. 23, paragrafo 1, del Wehrgesetz 2001, emerge inoltre che i soggetti all’obbligo di leva, che hanno svolto completamente il loro servizio militare della durata di otto mesi, possono essere chiamati, su presentazione volontaria, compatibilmente con le esigenze militari del momento, a servire come «soldato a contratto temporaneo» per una durata complessiva massima di sei mesi. A determinate condizioni è possibile un prolungamento di quattro mesi.
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Ai sensi dell’art. 37, paragrafo 1, del Wehrgesetz 2001, anche le donne, a seconda delle esigenze militari del momento, possono partecipare ad un addestramento, su presentazione volontaria («Ausbildungsdienst»), per un periodo di 12 mesi, ai sensi dell’art. 8, n. 3), dell’APSG. Qualora vi siano esigenze militari di forza maggiore può essere disposto un prolungamento fino a sei mesi. Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo 37, alle donne in addestramento sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 3 – 9 del MSchG relative alla tutela di donne incinte e madri in allattamento.
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Conformemente all’art. 2, paragrafo 1, del Zivildienstgesetz (legge costituzionale sul servizio civile) del 1986, svolgono un servizio civile i soggetti all’obbligo di leva che vengano ritenuti idonei al servizio militare ma che dichiarino di non poter assolvere ai loro obblighi militari in quanto sono contrari, per motivi di coscienza, all’uso di armi contro le persone salvo in casi di legittima difesa personale o a favore di un terzo. La durata di tale servizio viene presa in considerazione nel calcolo dell’anzianità di servizio nell’impiego svolto precedentemente allo stesso titolo di quella del servizio militare.
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Occorre peraltro aggiungere che la normativa nazionale prevede altri periodi di congedo che danno diritto a che venga presa in considerazione la loro durata nel calcolo dell’indennità di licenziamento. Questo è, in particolare, il caso dei congedi di formazione dei rappresentanti del personale ai sensi dell’art. 119, n. 1, dell’Arbeitsverfassungsgesetz (legge federale che disciplina i rapporti di lavoro e l’organizzazione sociale delle imprese; in prosieguo: l’«ArbVG»), per i membri del comitato aziendale.
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La durata di altri congedi non è invece presa in considerazione. E’ il caso dei congedi di formazione contrattati tra il datore di lavoro e il lavoratore, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 1, dell’Arbeitsvertragsrechts — Anpassungsgesetz (legge sull’adeguamento della normativa in materia di contratti di lavoro, in prosieguo l’«AVRAG») o di una messa in congedo senza retribuzione convenuta tra il datore di lavoro e il lavoratore durante la quale quest’ultimo beneficia dei sussidi dell’assicurazione contro la disoccupazione o del servizio responsabile del mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 12 dell’AVRAG.

Controversia principale
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Il Gewerkschaftsbund, ricorrente nella causa principale, ha presentato all’Oberster Gerichtshof un ricorso diretto a far dichiarare che il primo congedo parentale dei lavoratori vincolati da un rapporto di lavoro deve essere riconosciuto, nel calcolare l’importo dell’indennità di licenziamento, a titolo di anzianità di servizio, e per un periodo di otto mesi allo stesso modo del servizio militare o del servizio civile.
23
Secondo il Gewerkschaftsbund, il fatto che, ai sensi dell’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG, i periodi di congedo parentale non siano riconosciuti ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento di cui all’art. 23 dell’AngG, contrariamente ai periodi di servizio militare o civile svolti, costituisce una discriminazione indiretta vietata dall’art. 141 CE.
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I lavoratori in congedo parentale sarebbero, infatti, donne nel 98,253 % dei casi, mentre gli uomini rappresentano l’1,747 % del totale. Orbene, solo una piccola parte dei contratti collettivi prevedrebbe il riconoscimento di tali periodi di congedo parentale a titolo di anzianità di servizio.
25
La durata del servizio militare, obbligatorio per gli uomini, o del servizio civile sostitutivo, viene integralmente riconosciuta per i diritti calcolati, segnatamente , in funzione dell’anzianità. Orbene, tali servizi riguarderebbero esclusivamente gli uomini. Per il 2000, ad esempio, solo un centinaio di donne avrebbe svolto il servizio di addestramento militare loro riservato.
26
Il sindacato ne deduce che tale disparità di trattamento tra i lavoratori, in maggioranza donne, che prendono un congedo parentale ed i lavoratori, in maggioranza uomini, che svolgono un servizio militare o civile costituisce una discriminazione indiretta.
27
L’Oberster Gerichtshof espone che, di regola, il riconoscimento ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento, di periodi di congedo non retribuiti è escluso per legge quando tali congedi vengano presi su iniziativa del lavoratore, tranne se le ragioni per cui il detto lavoratore si avvale di un congedo costituiscano un motivo grave che lo autorizza a risolvere egli stesso il rapporto di lavoro conservando l’indennità di licenziamento, alle condizioni previste dalla legge nazionale.
28
Il giudice del rinvio osserva che, quanto alla decisione del lavoratore di continuare ad occuparsi del proprio figlio dopo la scadenza della sedicesima settimana di congedo di maternità, la Corte ha già affermato, nella sentenza 14 settembre 1999, causa C-249/97, Gruber (Racc. pag. I-5295, punti 32 e segg.), che i gravi motivi, menzionati agli artt. 26 dell’AngG e 82 bis della Gewerbeordnung 1859, (codice del commercio e dell’industria; in prosieguo la «GewO 1859»), comportanti la risoluzione anticipata da parte del lavoratore si distinguono dalla necessità di accudire il proprio figlio. La Corte preciserebbe che si tratta di un motivo indipendente dalle condizioni di lavoro nell’impresa o dal comportamento del datore di lavoro e che tale motivo non rende impossibile il proseguimento del lavoro.
29
L’Oberster Gerichtshof ne deduce che si deve paragonare il gruppo di genitori che si avvale di un congedo aggiuntivo per l’assistenza ai figli nel proprio interesse e unicamente su base volontaria, con quello dei lavoratori che, per altri motivi rientranti nella loro sfera, ma che non impediscono loro di lavorare, come l’assistenza a parenti malati, decidono di sospendere le prestazioni lavorative per un periodo prolungato.
30
Il giudice del rinvio afferma che il fatto che il legislatore favorisca i genitori, conferendo loro la possibilità di avvalersi unilateralmente di un congedo per l’educazione invece di dover risolvere il loro rapporto di lavoro e riconoscendo loro inoltre una protezione particolare in materia di licenziamento, non può essere considerato una discriminazione a danno delle lavoratrici.
31
L’Oberster Gerichtshof constata, tuttavia, che il ricorrente nella causa principale si discosta da tale tesi effettuando l’analisi della discriminazione che deriverebbe dal paragone tra il gruppo di persone in congedo parentale per le quali il periodo in cui non sono in servizio non viene riconosciuto ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento e il gruppo di quelle i cui periodi di servizio militare o civile, vengono, invece, riconosciuti per il detto calcolo.

Questioni pregiudiziali
32
L’Oberster Gerichtshof, considerando, ciò premesso, che la soluzione della controversia per la quale è stato adito dipende dall’interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario di cui trattasi, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se la nozione di retribuzione di cui all’art. 141 CE, e all’art. 1 della direttiva (…) 75/117 (…), debba essere interpretata nel senso che essa comprende anche disposizioni di legge generali come quelle contenute nell’art. 8 (…) [dell’APSG], secondo le quali, nell’interesse pubblico, i periodi di servizio svolti nei settori definiti da tale testo di esecuzione di funzioni pubbliche, durante i quali generalmente non è possibile l’esecuzione di prestazioni di lavoro private, devono essere presi in considerazione ai fini dei diritti dei lavoratori calcolati sulla base della durata del rapporto di lavoro di diritto privato.
2)
Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117 (…) debbano essere interpretati nel senso che, per quanto riguarda l’aspetto della parità di retribuzione, in un sistema di retribuzione che, in caso di risoluzione effettiva del rapporto di lavoro non dovuta ad iniziativa del lavoratore, salvo per gravi ragioni, o a lui non imputabile, riconosce ai lavoratori – principalmente per ricompensare la trascorsa fedeltà all’impresa e per agevolare la transizione verso un nuovo impiego – un’indennità di licenziamento proporzionale alla durata del rapporto di lavoro, e nel cui ambito i singoli periodi corrispondenti a questa durata hanno carattere del tutto autonomo ed è possibile escludere i periodi di congedo non remunerato, quando il congedo è stato preso per motivi di interesse del lavoratore e per sua iniziativa, senza che vi siano ragioni gravi che consentirebbero al lavoratore di risolvere il contratto di lavoro conservando l’indennità di licenziamento, il gruppo di lavoratori/lavoratrici menzionato nell’art. 8 dell’APSG (gruppo A) sia paragonabile al gruppo di lavoratrici che, dopo la scadenza delle 16 settimane di regolare “congedo di maternità”, per accudire il proprio figlio, facendo valere le disposizioni di cui all’art. 15 [del] Mutterschutzgesetz (…) decidono di prendere un congedo parentale (“congedo per l’educazione dei figli”) con sospensione delle retribuzioni in corso – al massimo – fino al secondo anno di vita del bambino (gruppo B).
3)
Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117 (…) debbano essere interpretati nel senso che le differenze tra i gruppi di lavoratori/lavoratrici indicati nella seconda questione, che consistono essenzialmente nella circostanza che nel gruppo A, in cui rientra “chi presta servizio militare”,

di regola sussiste un obbligo di “entrata in servizio” ma, perlomeno, anche in caso di presentazione volontaria,

tale entrata in servizio è possibile solo subordinatamente all’interesse pubblico alla stessa e

generalmente non è possibile effettuare prestazioni di lavoro nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato – anche se si tratta di un altro rapporto di lavoro,
mentre nel gruppo B, costituito da lavoratori/lavoratrici in “congedo parentale”,

è lasciato unicamente alla scelta del lavoratore di avvalersi, nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro, di un congedo parentale per accudire il figlio e

durante tale periodo di congedo parentale, nel tempo restante nonostante l’accudimento del figlio, gli interessati possono continuare a prestare in forma limitata attività lavorative nell’ambito di un rapporto di lavoro privato,
sono sufficienti a giustificare oggettivamente il diverso riconoscimento di questi periodi ai fini dei diritti dipendenti dall’anzianità di servizio».

Sulla prima questione
33
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.
Osservazioni presentate alla Corte
34
Il Gewerkschaftsbund, il governo austriaco e la Commissione delle Comunità europee, sostengono che un aumento del diritto all’indennità di licenziamento, come quello risultante dall’art. 8 dell’APSG, a vantaggio delle persone che svolgono un servizio militare o l’equivalente, deve essere considerato un elemento della retribuzione, come l’indennità di licenziamento (v. sentenze Gruber, cit., punto 22, e 27 gennaio 2000, causa C-190/98, Graf, Racc. pag. I-493, punto 14).
35
La Wirtschaftskammer Österreich ritiene, viceversa, che l’obbligo per il datore di lavoro privato di riconoscere, per il calcolo dell’indennità di licenziamento, i periodi di sospensione del rapporto di lavoro non rientri nella nozione di retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE o de la direttiva 75/117.
Giudizio della Corte
36
Né le parti del procedimento principale, né il governo austriaco né la Commissione contestano che la controversia principale abbia ad oggetto la durata del rapporto di lavoro con un datore di lavoro e che tale durata debba essere presa in considerazione per il calcolo dell’importo dell’indennità di licenziamento, in quanto essa rientra nella nozione di retribuzione (v., in tal senso, sentenza Gruber, cit., punto 22).
37
La circostanza che tale durata possa essere aumentata, ai sensi di una disposizione legislativa, prendendo in considerazione quella del servizio militare o civile svolto nell’interesse generale e senza relazione con l’impiego a titolo del quale è stata accordata l’indennità, non incide sulla natura di retribuzione della detta indennità.
38
In tal modo, poiché il regime dell’indennità di licenziamento rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE, le situazioni particolari, riguardanti diversi lavoratori, con riferimento a tale regime, possono essere analizzate sulla base delle disposizioni di tale articolo.
39
Di conseguenza, la prima questione va risolta nel senso che il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.

Sulla seconda e terza questione
40
Con la sua seconda e terza questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 141 CE e la direttiva 75/117 ostino a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile, svolto in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.
Osservazioni presentate alla Corte
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Il Gewerkschaftsbund fa valere che, secondo una costante giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof, i periodi non retribuiti devono, di regola, essere riconosciuti ai fini del calcolo dell’importo dell’indennità di licenziamento, per tutto il tempo in cui sussiste il rapporto d’impiego.
42
Il ricorrente nella causa principale ritiene che non vi siano vere differenze tra il gruppo A, costituito dai lavoratori che svolgono un servizio militare o civile, e il gruppo B, costituito dai lavoratori in congedo parentale, definiti nella seconda e terza questione pregiudiziale.
43
Non sarebbe infatti corretto osservare che , a differenza del servizio militare il cui svolgimento costituirebbe un obbligo nell’interesse generale, il congedo parentale, poiché traduce «il desiderio di accudire il proprio bambino» avrebbe una base volontaria e rientrerebbe dunque esclusivamente nell’interesse privato dell’interessato (a).
44
Da una parte, il servizio militare può essere prolungato per periodi volontari. Dall’altra, le donne sarebbero costrette ad avvalersi di un congedo parentale quando vi siano pochi posti nelle strutture di accoglienza, in quanto gli uomini sarebbero poco attratti da tale congedo e gli inadempimenti agli obblighi di custodia e educazione dei figli sarebbero penalmente sanzionati.
45
Inoltre secondo il ricorrente nella causa principale, i due gruppi si troverebbero nella medesima situazione per quanto riguarda la loro possibilità di lavorare durante il periodo considerato.
46
Il Gewerkschaftsbund giunge pertanto alla conclusione che, sotto il profilo della parità di retribuzione ai sensi degli artt. 141 CE o 1 della direttiva 75/117, il gruppo di lavoratori di cui all’art. 8 dell’APSG è paragonabile al gruppo di lavoratrici soggetto all’art. 15 del MSchG, e che si deve affermare che il secondo gruppo subisce una discriminazione ingiustificata rispetto al primo.
47
Per la Wirtschaftskammer Österreich, non è possibile paragonare il gruppo A, costituito da persone che svolgono il loro servizio militare, ed il gruppo B, costituito da persone in congedo parentale, in quanto gli obiettivi perseguiti dal legislatore sono diversi per le norme che riguardano ciascuno dei due gruppi, per cui non si può ritenere che le loro situazioni siano paragonabili.
48
L’Oberster Gerichtshof, nell’ordinanza di rinvio, rileverebbe che il regime austriaco del diritto all’indennità di licenziamento consente di non tener conto della durata del congedo parentale poiché tale congedo viene preso per motivi rientranti nell’interesse del lavoratore e su iniziativa del medesimo.
49
Gli interessi del lavoratore sarebbero invece estranei ai servizi obbligatori di cui all’art. 8 dell’APSG. Per quanto riguarda i servizi svolti volontariamente di cui fa peraltro parte il servizio di addestramento militare aperto alle donne, l’unico criterio per autorizzarli è costituito dalle esigenze militari dello Stato. In tal caso, la sospensione del contratto di lavoro servirebbe interessi di carattere generale e soprattutto militare.
50
Ciò premesso, il trattamento differenziato dei gruppi A e B sarebbe conforme agli artt 141 CE e 1 della direttiva 75/117.
51
La Wirtschaftskammer Österreich aggiunge che la ragione principale per cui i gruppi A e B non possono essere paragonati è dovuta al fatto che le persone che svolgono il loro servizio militare subiscono una disparità di trattamento derivante direttamente dall’appartenenza ad un sesso. Tale disparità consisterebbe nell’esclusione di tali persone per la durata del servizio militare o del servizio civile, non solo dall’accesso all’impiego, ma anche dalla formazione e dalla promozione professionale, circostanza che arreca loro uno svantaggio rispetto alle donne. La compatibilità con il diritto comunitario di vantaggi accordati agli uomini per compensare tale disparità sarebbe stata ammessa nelle sentenze 7 dicembre 2000, causa C-79/99, Schnorbus, (Racc. pag. I-10997), e 11 marzo 2003, causa C-186/01, Dory, (Racc. pag. I?2479).
52
Anche secondo il governo austriaco le lavoratrici che si avvalgono di un congedo parentale conformemente al MSchG e le persone che svolgono il loro servizio militare non si trovano in una situazione paragonabile.
53
Esso ritiene che si tratta di motivi obiettivi che spiegano che tali periodi, durante i quali sono sospesi gli obblighi risultanti dal contratto di lavoro, non siano riconosciuti allo stesso modo per il calcolo dell’indennità di licenziamento, e che tale differenza non costituirebbe una discriminazione basata sul sesso e condannata dall’art. 141 CE.
54
La Commissione sostiene che non è necessario effettuare un paragone tra i due regimi di indennità di licenziamento esaminati precedentemente e che l’Oberster Gerichtshof desidera semplicemente sapere se gli artt. 141 CE e 1 della direttiva 75/117 debbano essere interpretati nel senso che, dal punto di vista della discriminazione indiretta, ostino ad una normativa nazionale quale quella introdotta dall’art. 15 septies del MSchG.
55
Secondo la Commissione, sembrerebbe inoltre che si possa constatare una discriminazione diretta basata sul sesso, in quanto la causa principale si riferisce al mancato riconoscimento di un congedo che in realtà riguarda solo i lavoratori subordinati di sesso femminile, poiché l’esclusione di cui all’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG si riferisce solo alle donne. La Commissione si conforma tuttavia all’approccio scelto dal giudice del rinvio ed esamina se sussista una discriminazione indiretta.
56
Per quanto riguarda la domanda posta dal giudice del rinvio, la Commissione sostiene che la questione della discriminazione indiretta risultante dai diversi regimi del congedo parentale e del periodo di servizio militare o civile, per quanto riguarda l’indennità di licenziamento, può rimanere in sospeso. Il paragone tra tali due regimi, da una parte, non apporta nulla di più per accertare la discriminazione già accertata solo in base alla normativa restrittiva dell’art. 15 septies del MSchG e, dall’altra, non farebbe nemmeno emergere un motivo obiettivo estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso tale da giustificare la detta discriminazione.
57
In ogni caso, la Commissione considera che non vi sia un fattore obiettivo ed estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso che possa giustificare la disparità di trattamento delle donne derivante dall’art. 15 septies del MSchG.
Giudizio della Corte
58
La discriminazione diretta richiamata dalla Commissione deriverebbe dal fatto che per i lavoratori di sesso maschile non sarebbe previsto alcun rinvio all’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG che prevede il non riconoscimento dei periodi di congedo parentale. Tuttavia né le parti nella controversia principale né il governo austriaco, né la Commissione contestano che la normativa in vigore sia sufficiente ad assicurare un trattamento identico per i congedi parentali di cui si avvalgono gli uomini e quelli di cui si avvalgono le donne.
59
Quanto alla questione posta dal giudice del rinvio, relativa alla disparità di trattamento, per quanto riguarda l’indennità di licenziamento, tra i lavoratori che prendono un congedo di maternità e quelli che svolgono un servizio militare o civile, va ricordato che il principio della parità delle retribuzioni sancito all’art. 141 CE e dalla direttiva 75/117, così come il principio di non-discriminazione di cui esso costituisce una particolare espressione, presuppone che i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile che ne beneficiano si trovino in situazioni paragonabili (v. sentenze 16 settembre 1999, causa C-218/98, Abdoulaye e a., Racc. pag. I?5723, punto 16, e 29 novembre 2001, causa C-366/99, Griesmar,Racc. pag. I-9383, punto 39).
60
Orbene, nella fattispecie, il congedo parentale è un congedo di cui un lavoratore si avvale volontariamente per crescere il proprio figlio. Esso non può perdere tale carattere volontario a causa della difficoltà di trovare strutture adatte ad accogliere un bambino molto piccolo, per quanto spiacevole possa essere tale situazione. Tale congedo non ha la medesima finalità del congedo di maternità; è disciplinato da una normativa diversa e può, d’altronde, essere preso in periodi diversi da quelli che seguono il congedo di maternità.
61
Lo svolgimento di un servizio di leva, invece, risponde ad un obbligo civico previsto dalla legge e non all’interesse privato del lavoratore. Il vincolo imposto, nell’interesse pubblico, al rapporto di lavoro ha carattere generale indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa e dall’anzianità del lavoratore in quest’ultima.
62
Nell’ambito del servizio di leva, chi è soggetto a tale obbligo è a disposizione delle forze armate, in un periodo che egli non sceglie. La specificità dell’obbligo di servizio di leva ha peraltro portato la Corte ad affermare che il diritto comunitario non ostava a che tale obbligo, in uno Stato membro, venga riservato agli uomini (sentenza Dory, cit.).
63
La circostanza che un servizio possa essere volontariamente prolungato non lo priva della sua natura né ne modifica l’oggetto. Infatti, anche se il prolungamento del servizio militare avviene su base volontaria, un tale prolungamento continua ad essere dettato dal soddisfacimento di un’esigenza pubblica ai sensi dell’APSG che subordina la possibilità di prolungamento ad esigenze militari di forza maggiore (artt. 8 dell’APSG, 19, 20, 23 e 37 del Wehrgesetz).
64
In ciascuno dei casi, la sospensione del contratto di lavoro è così motivata da ragioni proprie, più in particolare l’interesse del lavoratore e della sua famiglia in quello del congedo parentale e l’interesse della collettività nazionale in quello del servizio di leva. Poiché tali ragioni sono di natura diversa, i lavoratori che ne beneficiano non si trovano in situazioni paragonabili.
65
Di conseguenza, la seconda e la terza questione vanno risolte nel senso che l’art. 141 CE e la direttiva 75/117 non ostano a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile svolto in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.

Sulle spese
66
Le spese sostenute dal governo austriaco e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi
LA CORTE (Sezione unica)
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall’Oberster Gerichtshof, con ordinanza 22 maggio 2002, dichiara:
1)
Il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.
2)
L’art. 141 CE e la direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, non ostano a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile, svolti in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.

CGCE, parità di trattamento tra uomini e donne, discriminazione indiretta, indennità di licenziamento, non equiparabilità del periodo di congedo parentale al servizio militare o civile.

Di seguito pubblichiamo la sentenza della Corte di Giustizia 8 giugno 2004, Österreichischer Gewerkschaftsbund, causa C-220/02.

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
8 giugno 2004

«Principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e femminile – Nozione di retribuzione – Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, dei periodi di servizio militare svolti – Possibilità di paragonare i lavoratori che effettuano un servizio militare e le lavoratrici che, alla fine del loro congedo di maternità, si avvalgono di un congedo parentale la cui durata non viene presa in considerazione ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento»
Nel procedimento C-220/02,
avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten
e
Wirtschaftskammer Österreich,
domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 141 CE e 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, (JO L 45, p. 19),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans, A. Rosas, J.–P. Puissochet (relatore) e J. N. Cunha Rodrigues, presidenti di Sezione, R. Schintgen, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, dal sig. S. von Bahr e dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, giudici
avvocato generale: sig.ra J. Kokott,
cancelliere: sig. H. von Holstein, cancelliere aggiunto
viste le osservazioni scritte presentate:

per l’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten, dalla sig.ra K. Mayr, Referent der Kammer für Arbeiter und Angestellte für Oberösterreich,

per la Wirtschaftskammer Österreich, dal sig. O. Körner, in qualità di agente,

per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agente,

per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra N. Yerell e dal sig. H. Kreppel, in qualità di agenti,
vista la relazione d’udienza
sentite le osservazioni orali dell’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten, rappresentato dal sig. K. Mayr, della Wirtschaftskammer Österreich, rappresentata dal sig. O. Körner, del governo austriaco, rappresentato dal sig. G. Hesse, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dal sig. H. Kreppel, all’udienza del 3 febbraio 2004,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale presentate all’udienza del 12 febbraio 2004,
ha pronunciato la seguente

Sentenza

1
Con ordinanza 22 maggio 2002, pervenuta alla Corte il 14 giugno successivo, l’Oberster Gerichtshof ha posto, a norma dell’art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali relative all’interpretazione degli artt. 141 CE e 1 della direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19).
2
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra l’Österreichischer Gewerkschaftsbund, Gewerkschaft der Privatangestellten (in prosieguo: il «Gewerkschaftsbund»), sindacato che rappresenta gli impiegati del settore privato, e la Wirtschaftskammer Österreich, camera di commercio austriaca, avente ad oggetto una rivendicazione della parità di trattamento nelle indennità di licenziamento tra lavoratori di sesso maschile e femminile.

Contesto giuridico
Normativa comunitaria
3
L’art. 141, nn. 1 e 2, CE dispone:
«1.Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo».
4
L’art. 1 della direttiva 75/117 prevede quanto segue:
«Il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, previsto dall’articolo 119 del trattato, denominato in appresso “principio della parità delle retribuzioni”, implica, per uno stesso lavoro o per un lavoro al quale è attribuito un valore uguale, l’eliminazione di qualsiasi discriminazione basata sul sesso in tutti gli elementi e le condizioni delle retribuzioni.
In particolare, qualora si utilizzi un sistema di classificazione professionale per determinare le retribuzioni, questo deve basarsi su principi comuni per i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile ed essere elaborato in modo da eliminare le discriminazioni basate sul sesso».
Normativa nazionale
5
Il contesto giuridico nazionale rilevante, come emerge dall’ordinanza di rinvio, si presenta come segue:
Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, dei periodi di congedo in caso di gravidanza o parto
6
Ai sensi delle disposizioni dell’art. 23 dell’Angestelltengesetz (legge sugli impiegati, BGBl 1921/292, modificato dal BGBl 2002/100; in prosieguo: l’«AngG»), che, in forza dell’art. 2, paragrafo 1, dell’Arbeiter?Abfertigungsgesetz (legge relativa all’indennità di licenziamento degli operai), si applica anche agli operai, i lavoratori hanno diritto, a certe condizioni, ad un’indennità di licenziamento. L’importo di tale indennità dipende, in particolare, dall’anzianità di servizio del lavoratore.
7
Ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, del Mutterschutzgesetz 1979, (legge relativa alla protezione della madre; BGBl 221/1979, modificato dal BGBl 2002/100; in prosieguo: il “MSchG”), le donne incinte non possono lavorare le otto settimane precedenti la data presunta del parto. Emerge peraltro dall’art. 3, paragrafo 3, del MSchG, che, al di fuori di tale periodo di otto settimane, le donne incinte sono sottoposte a un divieto di lavorare anche quando il proseguimento dell’attività minacci la vita o la salute della madre o del bambino.
8
L’art. 5, paragrafo 1, del MSchG prevede che le donne non possono lavorare nelle otto settimane successive al parto. In caso di nascita prematura, nascita multipla o parto cesareo, tale periodo è di almeno dodici settimane.
9
L’Oberster Gerichtshof, nella causa 9 ObA 199/00f, ha affermato che i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’anzianità di servizio ai fini della determinazione dell’indennità di licenziamento. Il giudice ha motivato la sua posizione in particolare con la circostanza che non esiste una disposizione contraria nella legislazione.
10
Successivamente a questi periodi, la lavoratrice subordinata, ai sensi dell’art. 15, paragrafo 1, del MSchG, ha diritto, su sua richiesta, ad un congedo senza retribuzione fino al secondo anno di vita del bambino, a condizione che viva con quest’ultimo nello stesso focolare domestico. Ai sensi dell’art. 15, paragrafo 2, del MSchG, tale congedo parentale si deve protrarre per almeno tre mesi. Durante tale periodo di congedo, il contratto di lavoro non può essere risolto e la lavoratrice subordinata non può essere licenziata. Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo, quest’ultima beneficia della stessa protezione per quattro settimane dal termine del detto congedo.
11
Ai sensi dell’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG, «[s]e non è stato disposto diversamente, il periodo di congedo [parentale] non viene preso in considerazione ai fini dei diritti dipendenti dall’anzianità di servizio».
Riconoscimento, ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento, della durata del servizio militare
12
Ai sensi dell’art. 8 dell’Arbeitsplatz-Sicherungsgesetz, (legge sulla salvaguardia del posto di lavoro, BGBl 1991/683, modificato dal BGBl I 1998/30; in prosieguo: l’«APSG»), «laddove i diritti di un lavoratore dipendono dall’anzianità di servizio, i periodi:
1. del servizio militare ai sensi dell’art. 27, paragrafo 1, nn. 1-4 e 6-8, del Wehrgesetz (legge sulla difesa) (ora: art. 19, paragrafo 1, nn. 1-4 e 6-8, del Wehrgesetz 2001) ,
2) del servizio militare come soldato a contratto temporaneo ai sensi dell’art. 27, paragrafo 1, n. 5, del Wehrgesetz (ora: art. 19, paragrafo 1, n. 5, del Wehrgesetz 2001), fino a 12 mesi,
3. dell’addestramento riservato alle donne e
4. del servizio civile,
in costanza di rapporto di lavoro,
sono da aggiungere al periodo di servizio».
13
L’art. 12 dell’APSG prevede, per i lavoratori interessati una protezione particolare, in tali periodi, contro la risoluzione del loro contratto di lavoro o il loro licenziamento. Tale protezione decorre a partire dal momento in cui al lavoratore è notificata la convocazione per il servizio militare, il servizio di addestramento riservato alle donne o il servizio civile fino a, di regola, un mese dopo il termine del suo servizio, ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, n. 3), dell’APSG.
14
Ai sensi dell’art. 20, paragrafo 1, del Wehrgesetz, tutti i soggetti alla leva sono tenuti a svolgere un servizio militare di sei mesi. Qualora lo richiedano interessi di natura militare, essi possono essere trattenuti per un periodo supplementare per una durata corrispondente alle esigenze militari in questione e tale durata non può superare gli otto mesi
15
A tale periodo corrispondente al detto servizio vanno aggiunti i periodi di esercitazioni delle truppe che i soggetti all’obbligo di leva devono svolgere per il mantenimento del livello di addestramento e per l’insegnamento di compiti di intervento ai sensi dell’art. 19, paragrafo 1, n. 2), del Wehrgesetz 2001. La durata di tali esercitazioni va stabilita sulla base delle esigenze militari e di regola non deve superare i 15 giorni all’anno.
16
Allo stesso titolo possono essere presi in considerazione altri periodi, come, in particolare, quelli delle esercitazioni per quadri, ai sensi dell’art. 19, paragrafo 1, n. 3), del Wehrgesetz. Tali periodi vengono svolti volontariamente o per convocazione qualora siano motivati da esigenze militari. Le esercitazioni per quadri servono all’addestramento dei soggetti all’obbligo di leva per funzioni di inquadramento nonché al mantenimento e all’approfondimento delle competenze acquisite. La durata obbligatoria delle dette esercitazioni, ai sensi dell’art. 21, paragrafo 1, n. 1), è di novanta giorni, per le funzioni di ufficiale e ai sensi del n. 2) della detta disposizione è di sessanta giorni per le restanti funzioni di inquadramento. E’ tuttavia possibile continuare tali esercitazioni volontariamente per una durata pari al doppio della loro durata complessiva.
17
Dall’art. 23, paragrafo 1, del Wehrgesetz 2001, emerge inoltre che i soggetti all’obbligo di leva, che hanno svolto completamente il loro servizio militare della durata di otto mesi, possono essere chiamati, su presentazione volontaria, compatibilmente con le esigenze militari del momento, a servire come «soldato a contratto temporaneo» per una durata complessiva massima di sei mesi. A determinate condizioni è possibile un prolungamento di quattro mesi.
18
Ai sensi dell’art. 37, paragrafo 1, del Wehrgesetz 2001, anche le donne, a seconda delle esigenze militari del momento, possono partecipare ad un addestramento, su presentazione volontaria («Ausbildungsdienst»), per un periodo di 12 mesi, ai sensi dell’art. 8, n. 3), dell’APSG. Qualora vi siano esigenze militari di forza maggiore può essere disposto un prolungamento fino a sei mesi. Ai sensi del paragrafo 4 del medesimo articolo 37, alle donne in addestramento sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 3 – 9 del MSchG relative alla tutela di donne incinte e madri in allattamento.
19
Conformemente all’art. 2, paragrafo 1, del Zivildienstgesetz (legge costituzionale sul servizio civile) del 1986, svolgono un servizio civile i soggetti all’obbligo di leva che vengano ritenuti idonei al servizio militare ma che dichiarino di non poter assolvere ai loro obblighi militari in quanto sono contrari, per motivi di coscienza, all’uso di armi contro le persone salvo in casi di legittima difesa personale o a favore di un terzo. La durata di tale servizio viene presa in considerazione nel calcolo dell’anzianità di servizio nell’impiego svolto precedentemente allo stesso titolo di quella del servizio militare.
20
Occorre peraltro aggiungere che la normativa nazionale prevede altri periodi di congedo che danno diritto a che venga presa in considerazione la loro durata nel calcolo dell’indennità di licenziamento. Questo è, in particolare, il caso dei congedi di formazione dei rappresentanti del personale ai sensi dell’art. 119, n. 1, dell’Arbeitsverfassungsgesetz (legge federale che disciplina i rapporti di lavoro e l’organizzazione sociale delle imprese; in prosieguo: l’«ArbVG»), per i membri del comitato aziendale.
21
La durata di altri congedi non è invece presa in considerazione. E’ il caso dei congedi di formazione contrattati tra il datore di lavoro e il lavoratore, ai sensi dell’art. 11, paragrafo 1, dell’Arbeitsvertragsrechts — Anpassungsgesetz (legge sull’adeguamento della normativa in materia di contratti di lavoro, in prosieguo l’«AVRAG») o di una messa in congedo senza retribuzione convenuta tra il datore di lavoro e il lavoratore durante la quale quest’ultimo beneficia dei sussidi dell’assicurazione contro la disoccupazione o del servizio responsabile del mercato del lavoro, ai sensi dell’art. 12 dell’AVRAG.

Controversia principale
22
Il Gewerkschaftsbund, ricorrente nella causa principale, ha presentato all’Oberster Gerichtshof un ricorso diretto a far dichiarare che il primo congedo parentale dei lavoratori vincolati da un rapporto di lavoro deve essere riconosciuto, nel calcolare l’importo dell’indennità di licenziamento, a titolo di anzianità di servizio, e per un periodo di otto mesi allo stesso modo del servizio militare o del servizio civile.
23
Secondo il Gewerkschaftsbund, il fatto che, ai sensi dell’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG, i periodi di congedo parentale non siano riconosciuti ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento di cui all’art. 23 dell’AngG, contrariamente ai periodi di servizio militare o civile svolti, costituisce una discriminazione indiretta vietata dall’art. 141 CE.
24
I lavoratori in congedo parentale sarebbero, infatti, donne nel 98,253 % dei casi, mentre gli uomini rappresentano l’1,747 % del totale. Orbene, solo una piccola parte dei contratti collettivi prevedrebbe il riconoscimento di tali periodi di congedo parentale a titolo di anzianità di servizio.
25
La durata del servizio militare, obbligatorio per gli uomini, o del servizio civile sostitutivo, viene integralmente riconosciuta per i diritti calcolati, segnatamente , in funzione dell’anzianità. Orbene, tali servizi riguarderebbero esclusivamente gli uomini. Per il 2000, ad esempio, solo un centinaio di donne avrebbe svolto il servizio di addestramento militare loro riservato.
26
Il sindacato ne deduce che tale disparità di trattamento tra i lavoratori, in maggioranza donne, che prendono un congedo parentale ed i lavoratori, in maggioranza uomini, che svolgono un servizio militare o civile costituisce una discriminazione indiretta.
27
L’Oberster Gerichtshof espone che, di regola, il riconoscimento ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento, di periodi di congedo non retribuiti è escluso per legge quando tali congedi vengano presi su iniziativa del lavoratore, tranne se le ragioni per cui il detto lavoratore si avvale di un congedo costituiscano un motivo grave che lo autorizza a risolvere egli stesso il rapporto di lavoro conservando l’indennità di licenziamento, alle condizioni previste dalla legge nazionale.
28
Il giudice del rinvio osserva che, quanto alla decisione del lavoratore di continuare ad occuparsi del proprio figlio dopo la scadenza della sedicesima settimana di congedo di maternità, la Corte ha già affermato, nella sentenza 14 settembre 1999, causa C-249/97, Gruber (Racc. pag. I-5295, punti 32 e segg.), che i gravi motivi, menzionati agli artt. 26 dell’AngG e 82 bis della Gewerbeordnung 1859, (codice del commercio e dell’industria; in prosieguo la «GewO 1859»), comportanti la risoluzione anticipata da parte del lavoratore si distinguono dalla necessità di accudire il proprio figlio. La Corte preciserebbe che si tratta di un motivo indipendente dalle condizioni di lavoro nell’impresa o dal comportamento del datore di lavoro e che tale motivo non rende impossibile il proseguimento del lavoro.
29
L’Oberster Gerichtshof ne deduce che si deve paragonare il gruppo di genitori che si avvale di un congedo aggiuntivo per l’assistenza ai figli nel proprio interesse e unicamente su base volontaria, con quello dei lavoratori che, per altri motivi rientranti nella loro sfera, ma che non impediscono loro di lavorare, come l’assistenza a parenti malati, decidono di sospendere le prestazioni lavorative per un periodo prolungato.
30
Il giudice del rinvio afferma che il fatto che il legislatore favorisca i genitori, conferendo loro la possibilità di avvalersi unilateralmente di un congedo per l’educazione invece di dover risolvere il loro rapporto di lavoro e riconoscendo loro inoltre una protezione particolare in materia di licenziamento, non può essere considerato una discriminazione a danno delle lavoratrici.
31
L’Oberster Gerichtshof constata, tuttavia, che il ricorrente nella causa principale si discosta da tale tesi effettuando l’analisi della discriminazione che deriverebbe dal paragone tra il gruppo di persone in congedo parentale per le quali il periodo in cui non sono in servizio non viene riconosciuto ai fini del calcolo dell’indennità di licenziamento e il gruppo di quelle i cui periodi di servizio militare o civile, vengono, invece, riconosciuti per il detto calcolo.

Questioni pregiudiziali
32
L’Oberster Gerichtshof, considerando, ciò premesso, che la soluzione della controversia per la quale è stato adito dipende dall’interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario di cui trattasi, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se la nozione di retribuzione di cui all’art. 141 CE, e all’art. 1 della direttiva (…) 75/117 (…), debba essere interpretata nel senso che essa comprende anche disposizioni di legge generali come quelle contenute nell’art. 8 (…) [dell’APSG], secondo le quali, nell’interesse pubblico, i periodi di servizio svolti nei settori definiti da tale testo di esecuzione di funzioni pubbliche, durante i quali generalmente non è possibile l’esecuzione di prestazioni di lavoro private, devono essere presi in considerazione ai fini dei diritti dei lavoratori calcolati sulla base della durata del rapporto di lavoro di diritto privato.
2)
Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117 (…) debbano essere interpretati nel senso che, per quanto riguarda l’aspetto della parità di retribuzione, in un sistema di retribuzione che, in caso di risoluzione effettiva del rapporto di lavoro non dovuta ad iniziativa del lavoratore, salvo per gravi ragioni, o a lui non imputabile, riconosce ai lavoratori – principalmente per ricompensare la trascorsa fedeltà all’impresa e per agevolare la transizione verso un nuovo impiego – un’indennità di licenziamento proporzionale alla durata del rapporto di lavoro, e nel cui ambito i singoli periodi corrispondenti a questa durata hanno carattere del tutto autonomo ed è possibile escludere i periodi di congedo non remunerato, quando il congedo è stato preso per motivi di interesse del lavoratore e per sua iniziativa, senza che vi siano ragioni gravi che consentirebbero al lavoratore di risolvere il contratto di lavoro conservando l’indennità di licenziamento, il gruppo di lavoratori/lavoratrici menzionato nell’art. 8 dell’APSG (gruppo A) sia paragonabile al gruppo di lavoratrici che, dopo la scadenza delle 16 settimane di regolare “congedo di maternità”, per accudire il proprio figlio, facendo valere le disposizioni di cui all’art. 15 [del] Mutterschutzgesetz (…) decidono di prendere un congedo parentale (“congedo per l’educazione dei figli”) con sospensione delle retribuzioni in corso – al massimo – fino al secondo anno di vita del bambino (gruppo B).
3)
Se l’art. 141 CE e l’art. 1 della direttiva 75/117 (…) debbano essere interpretati nel senso che le differenze tra i gruppi di lavoratori/lavoratrici indicati nella seconda questione, che consistono essenzialmente nella circostanza che nel gruppo A, in cui rientra “chi presta servizio militare”,

di regola sussiste un obbligo di “entrata in servizio” ma, perlomeno, anche in caso di presentazione volontaria,

tale entrata in servizio è possibile solo subordinatamente all’interesse pubblico alla stessa e

generalmente non è possibile effettuare prestazioni di lavoro nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato – anche se si tratta di un altro rapporto di lavoro,
mentre nel gruppo B, costituito da lavoratori/lavoratrici in “congedo parentale”,

è lasciato unicamente alla scelta del lavoratore di avvalersi, nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro, di un congedo parentale per accudire il figlio e

durante tale periodo di congedo parentale, nel tempo restante nonostante l’accudimento del figlio, gli interessati possono continuare a prestare in forma limitata attività lavorative nell’ambito di un rapporto di lavoro privato,
sono sufficienti a giustificare oggettivamente il diverso riconoscimento di questi periodi ai fini dei diritti dipendenti dall’anzianità di servizio».

Sulla prima questione
33
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.
Osservazioni presentate alla Corte
34
Il Gewerkschaftsbund, il governo austriaco e la Commissione delle Comunità europee, sostengono che un aumento del diritto all’indennità di licenziamento, come quello risultante dall’art. 8 dell’APSG, a vantaggio delle persone che svolgono un servizio militare o l’equivalente, deve essere considerato un elemento della retribuzione, come l’indennità di licenziamento (v. sentenze Gruber, cit., punto 22, e 27 gennaio 2000, causa C-190/98, Graf, Racc. pag. I-493, punto 14).
35
La Wirtschaftskammer Österreich ritiene, viceversa, che l’obbligo per il datore di lavoro privato di riconoscere, per il calcolo dell’indennità di licenziamento, i periodi di sospensione del rapporto di lavoro non rientri nella nozione di retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE o de la direttiva 75/117.
Giudizio della Corte
36
Né le parti del procedimento principale, né il governo austriaco né la Commissione contestano che la controversia principale abbia ad oggetto la durata del rapporto di lavoro con un datore di lavoro e che tale durata debba essere presa in considerazione per il calcolo dell’importo dell’indennità di licenziamento, in quanto essa rientra nella nozione di retribuzione (v., in tal senso, sentenza Gruber, cit., punto 22).
37
La circostanza che tale durata possa essere aumentata, ai sensi di una disposizione legislativa, prendendo in considerazione quella del servizio militare o civile svolto nell’interesse generale e senza relazione con l’impiego a titolo del quale è stata accordata l’indennità, non incide sulla natura di retribuzione della detta indennità.
38
In tal modo, poiché il regime dell’indennità di licenziamento rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE, le situazioni particolari, riguardanti diversi lavoratori, con riferimento a tale regime, possono essere analizzate sulla base delle disposizioni di tale articolo.
39
Di conseguenza, la prima questione va risolta nel senso che il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.

Sulla seconda e terza questione
40
Con la sua seconda e terza questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 141 CE e la direttiva 75/117 ostino a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile, svolto in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.
Osservazioni presentate alla Corte
41
Il Gewerkschaftsbund fa valere che, secondo una costante giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof, i periodi non retribuiti devono, di regola, essere riconosciuti ai fini del calcolo dell’importo dell’indennità di licenziamento, per tutto il tempo in cui sussiste il rapporto d’impiego.
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Il ricorrente nella causa principale ritiene che non vi siano vere differenze tra il gruppo A, costituito dai lavoratori che svolgono un servizio militare o civile, e il gruppo B, costituito dai lavoratori in congedo parentale, definiti nella seconda e terza questione pregiudiziale.
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Non sarebbe infatti corretto osservare che , a differenza del servizio militare il cui svolgimento costituirebbe un obbligo nell’interesse generale, il congedo parentale, poiché traduce «il desiderio di accudire il proprio bambino» avrebbe una base volontaria e rientrerebbe dunque esclusivamente nell’interesse privato dell’interessato (a).
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Da una parte, il servizio militare può essere prolungato per periodi volontari. Dall’altra, le donne sarebbero costrette ad avvalersi di un congedo parentale quando vi siano pochi posti nelle strutture di accoglienza, in quanto gli uomini sarebbero poco attratti da tale congedo e gli inadempimenti agli obblighi di custodia e educazione dei figli sarebbero penalmente sanzionati.
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Inoltre secondo il ricorrente nella causa principale, i due gruppi si troverebbero nella medesima situazione per quanto riguarda la loro possibilità di lavorare durante il periodo considerato.
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Il Gewerkschaftsbund giunge pertanto alla conclusione che, sotto il profilo della parità di retribuzione ai sensi degli artt. 141 CE o 1 della direttiva 75/117, il gruppo di lavoratori di cui all’art. 8 dell’APSG è paragonabile al gruppo di lavoratrici soggetto all’art. 15 del MSchG, e che si deve affermare che il secondo gruppo subisce una discriminazione ingiustificata rispetto al primo.
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Per la Wirtschaftskammer Österreich, non è possibile paragonare il gruppo A, costituito da persone che svolgono il loro servizio militare, ed il gruppo B, costituito da persone in congedo parentale, in quanto gli obiettivi perseguiti dal legislatore sono diversi per le norme che riguardano ciascuno dei due gruppi, per cui non si può ritenere che le loro situazioni siano paragonabili.
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L’Oberster Gerichtshof, nell’ordinanza di rinvio, rileverebbe che il regime austriaco del diritto all’indennità di licenziamento consente di non tener conto della durata del congedo parentale poiché tale congedo viene preso per motivi rientranti nell’interesse del lavoratore e su iniziativa del medesimo.
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Gli interessi del lavoratore sarebbero invece estranei ai servizi obbligatori di cui all’art. 8 dell’APSG. Per quanto riguarda i servizi svolti volontariamente di cui fa peraltro parte il servizio di addestramento militare aperto alle donne, l’unico criterio per autorizzarli è costituito dalle esigenze militari dello Stato. In tal caso, la sospensione del contratto di lavoro servirebbe interessi di carattere generale e soprattutto militare.
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Ciò premesso, il trattamento differenziato dei gruppi A e B sarebbe conforme agli artt 141 CE e 1 della direttiva 75/117.
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La Wirtschaftskammer Österreich aggiunge che la ragione principale per cui i gruppi A e B non possono essere paragonati è dovuta al fatto che le persone che svolgono il loro servizio militare subiscono una disparità di trattamento derivante direttamente dall’appartenenza ad un sesso. Tale disparità consisterebbe nell’esclusione di tali persone per la durata del servizio militare o del servizio civile, non solo dall’accesso all’impiego, ma anche dalla formazione e dalla promozione professionale, circostanza che arreca loro uno svantaggio rispetto alle donne. La compatibilità con il diritto comunitario di vantaggi accordati agli uomini per compensare tale disparità sarebbe stata ammessa nelle sentenze 7 dicembre 2000, causa C-79/99, Schnorbus, (Racc. pag. I-10997), e 11 marzo 2003, causa C-186/01, Dory, (Racc. pag. I?2479).
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Anche secondo il governo austriaco le lavoratrici che si avvalgono di un congedo parentale conformemente al MSchG e le persone che svolgono il loro servizio militare non si trovano in una situazione paragonabile.
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Esso ritiene che si tratta di motivi obiettivi che spiegano che tali periodi, durante i quali sono sospesi gli obblighi risultanti dal contratto di lavoro, non siano riconosciuti allo stesso modo per il calcolo dell’indennità di licenziamento, e che tale differenza non costituirebbe una discriminazione basata sul sesso e condannata dall’art. 141 CE.
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La Commissione sostiene che non è necessario effettuare un paragone tra i due regimi di indennità di licenziamento esaminati precedentemente e che l’Oberster Gerichtshof desidera semplicemente sapere se gli artt. 141 CE e 1 della direttiva 75/117 debbano essere interpretati nel senso che, dal punto di vista della discriminazione indiretta, ostino ad una normativa nazionale quale quella introdotta dall’art. 15 septies del MSchG.
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Secondo la Commissione, sembrerebbe inoltre che si possa constatare una discriminazione diretta basata sul sesso, in quanto la causa principale si riferisce al mancato riconoscimento di un congedo che in realtà riguarda solo i lavoratori subordinati di sesso femminile, poiché l’esclusione di cui all’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG si riferisce solo alle donne. La Commissione si conforma tuttavia all’approccio scelto dal giudice del rinvio ed esamina se sussista una discriminazione indiretta.
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Per quanto riguarda la domanda posta dal giudice del rinvio, la Commissione sostiene che la questione della discriminazione indiretta risultante dai diversi regimi del congedo parentale e del periodo di servizio militare o civile, per quanto riguarda l’indennità di licenziamento, può rimanere in sospeso. Il paragone tra tali due regimi, da una parte, non apporta nulla di più per accertare la discriminazione già accertata solo in base alla normativa restrittiva dell’art. 15 septies del MSchG e, dall’altra, non farebbe nemmeno emergere un motivo obiettivo estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso tale da giustificare la detta discriminazione.
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In ogni caso, la Commissione considera che non vi sia un fattore obiettivo ed estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso che possa giustificare la disparità di trattamento delle donne derivante dall’art. 15 septies del MSchG.
Giudizio della Corte
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La discriminazione diretta richiamata dalla Commissione deriverebbe dal fatto che per i lavoratori di sesso maschile non sarebbe previsto alcun rinvio all’art. 15 septies, paragrafo 1, del MSchG che prevede il non riconoscimento dei periodi di congedo parentale. Tuttavia né le parti nella controversia principale né il governo austriaco, né la Commissione contestano che la normativa in vigore sia sufficiente ad assicurare un trattamento identico per i congedi parentali di cui si avvalgono gli uomini e quelli di cui si avvalgono le donne.
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Quanto alla questione posta dal giudice del rinvio, relativa alla disparità di trattamento, per quanto riguarda l’indennità di licenziamento, tra i lavoratori che prendono un congedo di maternità e quelli che svolgono un servizio militare o civile, va ricordato che il principio della parità delle retribuzioni sancito all’art. 141 CE e dalla direttiva 75/117, così come il principio di non-discriminazione di cui esso costituisce una particolare espressione, presuppone che i lavoratori di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile che ne beneficiano si trovino in situazioni paragonabili (v. sentenze 16 settembre 1999, causa C-218/98, Abdoulaye e a., Racc. pag. I?5723, punto 16, e 29 novembre 2001, causa C-366/99, Griesmar,Racc. pag. I-9383, punto 39).
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Orbene, nella fattispecie, il congedo parentale è un congedo di cui un lavoratore si avvale volontariamente per crescere il proprio figlio. Esso non può perdere tale carattere volontario a causa della difficoltà di trovare strutture adatte ad accogliere un bambino molto piccolo, per quanto spiacevole possa essere tale situazione. Tale congedo non ha la medesima finalità del congedo di maternità; è disciplinato da una normativa diversa e può, d’altronde, essere preso in periodi diversi da quelli che seguono il congedo di maternità.
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Lo svolgimento di un servizio di leva, invece, risponde ad un obbligo civico previsto dalla legge e non all’interesse privato del lavoratore. Il vincolo imposto, nell’interesse pubblico, al rapporto di lavoro ha carattere generale indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa e dall’anzianità del lavoratore in quest’ultima.
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Nell’ambito del servizio di leva, chi è soggetto a tale obbligo è a disposizione delle forze armate, in un periodo che egli non sceglie. La specificità dell’obbligo di servizio di leva ha peraltro portato la Corte ad affermare che il diritto comunitario non ostava a che tale obbligo, in uno Stato membro, venga riservato agli uomini (sentenza Dory, cit.).
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La circostanza che un servizio possa essere volontariamente prolungato non lo priva della sua natura né ne modifica l’oggetto. Infatti, anche se il prolungamento del servizio militare avviene su base volontaria, un tale prolungamento continua ad essere dettato dal soddisfacimento di un’esigenza pubblica ai sensi dell’APSG che subordina la possibilità di prolungamento ad esigenze militari di forza maggiore (artt. 8 dell’APSG, 19, 20, 23 e 37 del Wehrgesetz).
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In ciascuno dei casi, la sospensione del contratto di lavoro è così motivata da ragioni proprie, più in particolare l’interesse del lavoratore e della sua famiglia in quello del congedo parentale e l’interesse della collettività nazionale in quello del servizio di leva. Poiché tali ragioni sono di natura diversa, i lavoratori che ne beneficiano non si trovano in situazioni paragonabili.
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Di conseguenza, la seconda e la terza questione vanno risolte nel senso che l’art. 141 CE e la direttiva 75/117 non ostano a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile svolto in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.

Sulle spese
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Le spese sostenute dal governo austriaco e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi
LA CORTE (Sezione unica)
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dall’Oberster Gerichtshof, con ordinanza 22 maggio 2002, dichiara:
1)
Il vantaggio rappresentato, per le persone che svolgono un servizio militare o, in sostituzione, un servizio civile obbligatorio volontariamente prolungabile, dal riconoscimento della durata di tali servizi ai fini del calcolo di un’indennità di licenziamento alla quale le stesse potrebbero in seguito avere diritto, deve essere considerato un elemento della loro retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.
2)
L’art. 141 CE e la direttiva del Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, non ostano a che nel calcolo dell’indennità di licenziamento venga riconosciuta, a titolo di anzianità di servizio, la durata del servizio militare o del suo equivalente civile, svolti in maggioranza da uomini, ma non quella dei congedi parentali di cui si avvalgono più frequentemente le donne.