CERTAMENTE INCOSTITUZIONALE – La legge Fini-Giovanardi a giudizio il 12 febbraio davanti alla Corte costituzionale

1. La legge Fini-Giovanardi davanti alla Corte costituzionale

Ci sono questioni di legittimità costituzionale particolarmente importanti. Perché, più di tutte, rivelano la correlazione tra separazione dei poteri e tutela dei diritti. Perché, più di altre, testimoniano come l’eccesso di potere del Governo e del Parlamento produca effetti nefasti sul funzionamento della giustizia e sulla condizione delle carceri.

Questa è la caratura costituzionale della quaestio che, il 12 febbraio, il Giudice delle leggi sarà chiamato a decidere. Attiene alla dubbia costituzionalità delle modifiche introdotte nel 2006 al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope: la c.d. legge Fini-Giovanardi.

2. Genealogia di un eccesso di potere

In principio era l’art. 4 del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 232, norma già eccentrica rispetto ad un provvedimento necessario e urgente perché diretto a fronteggiare le spese e le esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino. Tale disposizione – abrogando in corsa uno degli iniqui automatismi normativi appena introdotti dalla legge Cirielli (legge 5 dicembre 2005, n. 251) – prevede un’ipotesi speciale di sospensione dell’esecuzione di pene detentive nei confronti di tossicodipendenti recidivi, mirando così a favorirne il recupero.

In sede di conversione parlamentare, quello stesso articolo diventa il pretestuoso aggancio normativo per una riforma di sistema di tutt’altro segno. Attraverso la tecnica abusata del maxiemendamento blindato con l’apposizione della questione di fiducia, il Governo ottiene dal Parlamento un’inedita disciplina a regime in materia di stupefacenti: 23 nuovi articoli, punitivi e proibizionisti, introdotti programmaticamente dalla scelta di equiparare sul piano sanzionatorio sostanze stupefacenti “leggere” e “pesanti”, inasprendone l’unitaria cornice edittale (art. 4-bis, legge 21 febbraio 2006, n. 49).

Così operando, il procedimento di conversione previsto dall’art. 77 della Costituzione «viene utilizzato come escamotage per far approvare un’iniziativa legislativa del tutto nuova, di fatto inemendabile, eludendo le regole ordinarie del procedimento legislativo» (così la Cassazione, sez. III penale, nel suo atto di promovimento).

Della forzatura compiuta il Governo ha piena contezza, eppure procede egualmente. Come uno schiacciasassi. Ignora il parere contrario del Comitato per la legislazione e i rilievi critici emersi nel dibattito parlamentare. Spiana i limiti all’emendabilità di un decreto-legge posti dai regolamenti parlamentari e dalla legge ordinamentale 23 agosto 1988, n. 400. Mette il Capo dello Stato con le spalle al muro: approvata la legge di conversione pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e a ridosso dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici, diventava impossibile un eventuale rinvio presidenziale, perché ne avrebbe messo in pericolo il regolare svolgimento in condizioni di sicurezza. Il 21 febbraio 2006, infatti, la legge Fini-Giovanardi viene promulgata.

Tocca ora alla Corte costituzionale ripristinare il rispetto di regole così prepotentemente compromesse. Meglio tardi che mai.

3. Quando la forma è sostanza

Non sempre tutto è possibile, perché a tutto esiste un limite. Anche ai poteri del Governo mediante decretazione d’urgenza e del Parlamento in sede di conversione in legge, come la Corte costituzionale ha stabilito nella sua più recente giurisprudenza.

Il catalogo rilevante è questo: [1] l’assenza dei presupposti di necessità e urgenza quale vizio formale del decreto-legge e vizio in procedendo della legge di conversione, la cui evidente mancanza è censurabile dalla Corte costituzionale (sentenze nn. 171/2007, 128/2008); [2] l’incostituzionalità di emendamenti «non estranei» al decreto-legge inseriti in sede di conversione, se privi dei requisiti di cui all’art. 77 della Costituzione (sentenza n. 355/2010); [3] l’incostituzionalità degli emendamenti «estranei» al decreto-legge, per violazione del peculiare procedimento normativo stabilito dall’art. 77 della Costituzione (sentenza n. 22/2012); [4] il divieto per il decreto-legge di veicolare riforme ordinamentali, perché incomprimibili nella contingenza dei casi straordinari di necessità e urgenza (sentenza n. 220/2013); [5] l’incostituzionalità di norme introdotte mediante decretazione d’urgenza se prive di immediata operatività (sentenza n. 220/2013).

Sono picchetti perimetrali il cui travalicamento ha indotto la Corte costituzionale – in tutte le pronunce citate – ad annullare la legge di conversione, di volta in volta oggetto del suo sindacato. Se esiste un obbligo di coerenza giurisprudenziale, lo stesso destino attende la legge Fini-Giovanardi ora all’attenzione dei giudici costituzionali.

Sono regole procedurali dove forma e sostanza si fondono. Sul loro rispetto è tornata a vigilare anche la Presidenza della Repubblica, da ultimo con la lettera del Presidente Napolitano, inviata il 27 dicembre 2013 ai Presidenti del Senato e della Camera, sulle modalità di svolgimento dell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto-legge c.d. “salva Roma” (decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126). Ma già in precedenza, inascoltato, il Quirinale aveva ammonito per iscritto Governo e Parlamento ad esercitare con il massimo rigore e senza esondazioni i rispettivi poteri in sede di decretazione d’urgenza e di conversione in legge (cfr. il messaggio del Presidente Ciampi inviato alle Camere il 29 marzo 2002, e le lettere del Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere e del Consiglio datate 22 febbraio 2011 e 23 febbraio 2012). La Corte costituzionale ha, oggi, l’occasione per dimostrare che i due Custodi della Costituzione fanno sentire, come devono, un’unica voce.

4. I vizi formali della legge Fini-Giovanardi

Alla luce della suddetta giurisprudenza costituzionale, l’art. 4-bis della legge Fini-Giovanardi risulta viziato sotto il profilo formale, comunque lo si valuti (eterogeneo oppure omogeneo) rispetto al contenuto del decreto-legge innestato dal maxiemendamento governativo.

Se ritenuta «estranea», la disposizione impugnata è certamente incostituzionale. Approvandola, le Camere hanno spezzato il nesso funzionale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione, alterando così la sequenza procedurale tipica prescritta dall’art. 77 della Costituzione. E ciò non si può fare, rappresentando un uso improprio del potere parlamentare di conversione (cfr. sentenza n. 22/2012).

Se ritenuta invece «non estranea», la disposizione impugnata è egualmente incostituzionale. Essa andrà valutata dalla Corte costituzionale in termini di necessità e di urgenza, rivelandone l’evidente mancanza (cfr. sentenza n. 355/2010): infatti, la giustificazione costituzionale dell’originario art. 4 del provvedimento governativo (garantire l’efficacia dei programmi terapeutici di recupero di tossicodipendenti recidivi) non è uno scudo dietro il quale possa trovare riparo l’art. 4-bis aggiunto in sede di conversione (che assimila, inasprendolo, il trattamento sanzionatorio per l’uso di sostanze stupefacenti, “leggere” o “pesanti” che siano).

Tertium non datur, come sapientemente argomentano i giudici remittenti, prospettando quale principale il primo profilo d’incostituzionalità, cui il secondo è logicamente subordinato. Nessuna questione alternativa a rischio d’inammissibilità, dunque.

5. I vizi sostanziali della legge Fini-Giovanardi

L’impugnato art. 4-bis della legge di conversione viene censurato anche in ragione del suo contenuto normativo.

Ad essere violato è, innanzitutto, il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) che impone discipline differenziate di situazioni diverse. La disposizione introdotta in sede di conversione, invece, prevedendo un’ identica dosimetria sanzionatoria per tutte le sostanze stupefacenti, finisce per ricondurre ad un’identica disciplina penale fattispecie tra loro non assimilabili.

Violato, inoltre, è il dovere gravante sul legislatore statale di rispettare gli obblighi internazionali pattizi (art. 117, 1° comma, della Costituzione). Introducendo la tabella unica delle sostanze e quindi la parificazione sanzionatoria per tutte le droghe, “leggere” e “pesanti”, la disposizione impugnata contraddice il principio di proporzionalità delle pene prescritto dalla Carta di Nizza (art. 49, 3° comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE) e positivizzato in ambito europeo da una decisione quadro del Consiglio dell’UE (n. 2004/757/GAI).

6. Altri vizi formali, oltre a quelli prospettati dai giudici a quibus

Fin qui le censure d’incostituzionalità prospettate negli atti di promovimento dei giudici a quibus. Alla luce della successiva sentenza n. 220/2013 della Corte costituzionale è possibile evidenziarne di ulteriori.

Dichiarando l’illegittimità costituzionale della riforma delle Province approntata mediante decretazione d’urgenza, la sopravvenuta pronuncia ha stabilito il principio della «palese inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema», rilevando «come non sia utilizzabile un atto normativo, come il decreto-legge, per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure strettamente organizzative». E’ quanto, invece, hanno preteso fare Governo e Parlamento con la legge Fini-Giovanardi introducendo – in sede di conversione – una nuova disciplina a regime in materia di sostanze stupefacenti, in sostituzione delle corrispondenti disposizioni del previgente testo unico (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).

E ancora. La sopravvenuta sentenza n. 220/2013 reca importanti affermazioni circa l’operatività delle misure veicolate dal decreto-legge: esse devono «operare immediatamente», perché il provvedimento provvisorio del Governo «entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo». Non è una regola rispettata dall’impugnato art. 4-bis. Esso, infatti, rinvia ad un successivo decreto ministeriale la determinazione della soglia quantitativa di sostanza stupefacente, oltre la quale la sua detenzione può essere punita.

Anche se non prospettati negli atti di promovimento, si tratta di profili d’incostituzionalità egualmente inclusi nel thema decidendum, formalmente determinato dalla disposizione impugnata (l’art. 4-bis della legge di conversione) e dai parametri invocati (tra i quali l’art. 77 della Costituzione). La Corte costituzionale, dunque, non potrà ignorarli.

7. Le conseguenze di una sentenza d’accoglimento

Da qualunque prospettiva la si guardi, dunque, la legge Fini-Giovanardi è certamente incostituzionale.

Il suo annullamento modificherebbe l’attuale assetto sanzionatorio in materia di stupefacenti, restituendolo al compasso edittale precedente alla riforma del 2006. Come precisa la Cassazione nel suo atto di promovimento, «è invero pacifico che l’accertamento della invalidità di una norma abrogatrice e il suo annullamento da parte della Corte costituzionale, specialmente se per vizi di forma o procedurali, determina la caducazione dell’effetto abrogativo, con conseguente ripristino della norma precedentemente abrogata, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale» (cfr., ex plurimis, sentenze nn. 107/1974, 108/1986 e 314/2009).

Nessun pericoloso vuoto normativo, dunque. Né alcuna invasione della Corte costituzionale nell’ambito della discrezionalità legislativa. Semmai il ritorno ad un quadro punitivo meno repressivo di quello attuale, e politicamente più allineato con il significato di fondo del referendum popolare del 1993, favorevole a una depenalizzazione della detenzione di sostante stupefacenti per uso personale. Un indirizzo politico complessivo che – con un colpo di mano procedimentale – la legge Fini-Giovanardi ha cancellato, riportando indietro le lancette dell’orologio.

8. Cancellare una legge “carcerogena”

La reintroduzione – tramite giudicato costituzionale – di una normativa penale più favorevole produrrebbe un’ulteriore conseguenza di sistema: un significativo effetto deflattivo nelle carceri italiane.

Oggetto di un drammatico messaggio alle Camere inviato l’8 ottobre scorso dal Presidente della Repubblica Napolitano, l’attuale sovraffollamento carcerario è alla base della condanna subita dall’Italia in sede di Consiglio d’Europa pronunciata con sentenza-pilota dalla Corte EDU (Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013). Condannando lo Stato italiano per violazione del divieto di tortura (art. 3 CEDU), quella sentenza chiama all’azione – ciascuno secondo le proprie competenze – tutti i poteri statali. Corte costituzionale compresa.

Di tale sovraffollamento «strutturale e sistemico» la legge Fini-Giovanardi è una delle principali cause normative: un detenuto su tre entra in carcere ogni anno per violazione dell’attuale normativa antidroga (art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). La previsione di sanzioni severe (da 6 a 20 anni di carcere) per detenzione illecita di qualsiasi sostanza stupefacente comporta l’incriminazione di molti consumatori, anche per il semplice possesso di una quantità minimamente eccedente la soglia fissata da apposito decreto ministeriale. La scelta a favore di un inasprimento punitivo generalizzato, infine, moltiplica esponenzialmente le denunce e i relativi procedimenti penali, inflazionando oltremisura l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura.

E’ necessario ripensare l’intera disciplina in una materia a così grande impatto sociale, andando ben oltre la mera riduzione della pena massima per i reati di lieve entità, ora abbassata da 6 a 5 anni (cfr. art. 2, decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146). Spetta alla Corte costituzionale, oggi, reintrodurre un primo, fondamentale elemento di razionalità, mostrandosi fedele alla propria tradizione di “isola della ragione”.


Promotori dell’appello

Stefano Anastasia, Presidente de La Società della Ragione

Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti per la Regione Toscana

Luigi Saraceni, Avvocato


Estensore e primo firmatario

Andrea Pugiotto, Università di Ferrara


Giuristi

Alessandra Algostino, Università di Torino

Salvo Andò, Università Kore

Francesco Belvisi, Università di Modena e Reggio Emilia

Francesco Bilancia, Università di Chieti-Pescara

Giuditta Brunelli, Università di Ferrara

Daniele Butturini, Università di Verona

Silvia Buzzelli, Università di Milano-Bicocca

Michele Carducci, Università del Salento

Guido Casaroli, Università di Ferrara

Carlo Casonato, Università di Trento

Pierluigi Chiassoni, Università di Genova

Paolo Comanducci, Università di Genova

Marilisa D’Amico, Università di Milano

Marco Dani, Università di Trento

Claudio De Fiores, Seconda Università di Napoli

Giovanni Di Cosimo, Università di Macerata

Francesco Di Donato, Università di Napoli Federico II

Ombretta Di Giovine, Università di Foggia

Gianluca Famiglietti, Università di Pisa

Marzia Ferraioli, Università di Roma Tor Vergata

Luigi Ferrajoli, Università di Roma Tre

Carlo Fiorio, Università di Perugia

Davide Galliani, Università di Milano

Silvio Gambino, Università della Calabria

Riccardo Guastini, Università di Genova

Andrea Guazzarotti, Università di Ferrara

Giovanni Guiglia, Università di Verona

Silvia Larizza, Università di Pavia

Alberto Lucarelli, Università di Napoli Federico II

Sandro Margara, già Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze

Giuseppe Mosconi, Università di Padova

Nicola Muffato, Università di Trieste

Francesco Palermo, Università di Verona

Manfredi Parodi Giusino, Università di Palermo

Massimo Pavarini, Università di Bologna

Marcello Piazza, Università della Calabria

Cesare Pinelli, Università di Roma

Tamar Pitch, Università di Perugia

Fernando Puzzo, Università della Calabria

Maria Letteria Quatrocchi, Università di Messina

Lucia Re, Università di Firenze

Giorgio Repetto, Università di Perugia

Eligio Resta, Università di Roma Tre

Silvio Riondato, Università di Padova

Stefano Rodotà, Università La Sapienza di Roma

Marco Ruotolo, Università Roma Tre

Carmela Salazar, Università Mediterranea di Reggio Calabria

Sergio Salvatore, Università del Salento

Emilio Santoro, Università di Firenze

Stefania Sartarelli, Università di Perugia

Antonia Maria Scaravilli, Università Kore

Salvatore Senese, già presidente di sezione, Corte suprema di Cassazione

Persio Tincani, Università di Bergamo

Paolo Veronesi, Università di Ferrara

Mauro Volpi, Università di Perugia


Garanti ed operatori di settore

Giorgio Bignami, Presidente di Forum Droghe

Riccardo De Facci, Vice Presidente CNCA

Mario Fappani, già garante dei detenuti di Brescia

Ornella Favero, Direttrice di Ristretti Orizzonti

Livio Ferrari, già garante dei detenuti di Rovigo

Margherita Forestan, Garante dei detenuti di Verona

Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone

Elisabetta Laganà, Garante dei detenuti di Bologna

Marcello Marighelli, Garante detenuti di Ferrara

Armando Michelizza, Garante dei detenuti di Ivrea

Alessandra Naldi, Garante detenuti di Milano

Gianfranco Oppo, Garante dei detenuti di Nuoro

Rosanna Palci, Garante dei detenuti di Trieste

Filippo Pegorari, Garante detenuti di Roma

Francesco Racchetti, Garante detenuti di Sondrio

Piero Rossi, Garante detenuti della Puglia

Antonio Sammartino, Garante detenuti di Pistoia

Marco Solimano, Garante dei detenuti di Livorno

Sergio Steffenoni, Garante detenuti di Venezia

Italo Tanoni,  Garante dei detenuti delle Marche

Adriana Tocco, Garante dei detenuti della Campania

Associazione l’Altro Diritto, Garante dei detenuti di San Gimignano 

Si può aderire inviando una mail con nome, cognome e qualifica a info@societadellaragione.it