1. Con decreto-legge del 22 settembre 2006, n. 259, pubblicato lo stesso giorno sulla Gazzetta Ufficiale (n. 221 della Serie generale), il Governo ha adottato «Disposi-zioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche».
Alla base del provvedimento, v’è – secondo quanto si legge nel preambolo – «la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure volte a rafforzare le misure di con-trasto alla detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate ille-citamente, nonché ad informazioni illegalmente raccolte»; e «la straordinaria necessità ed urgenza di apprestare più incisive misure atte ad evitare l’indebita diffusione e comu-nicazione di dati od elementi concernenti conversazioni telefoniche o telematiche ille-citamente intercettate o acquisite, nonché di informazioni illegalmente raccolte e, nel contempo, di garantire adeguate forme di indennizzo alle vittime di fatti illeciti in mate-ria».
2. Il decreto si compone di cinque articoli. Eccettuato l’ultimo (concernente l’en-trata in vigore del provvedimento e la sua presentazione alle Camere per la conversione in legge), il contenuto dei primi quattro può essere così sintetizzato:
a) l’art. 1 aggiunge due commi al testo originario dell’art. 240 c.p.p. (ora rubricato «Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali»), nei quali si prevede che l’autorità giudiziaria debba disporre l’immediata distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti, nonché dei documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Di tali documenti è vietato eseguire copia in qualunque forma, ed il loro contenuto non costituisce in alcun modo notizia di reato, né può essere utilizzato a fini processuali o investigativi. Delle operazioni di distruzione viene redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell’avvenuta intercettazione o detenzione e dell’acquisizione, delle sue modalità e dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto delle stesse;
b) l’art. 2 aggiunge il comma 1-bis all’art. 512 c.p.p. («Lettura di atti per soprav-venuta impossibilità di ripetizione»), stabilendo che è sempre consentita, in sede dibat-timentale, la lettura dei verbali concernenti l’acquisizione e le operazioni di distruzione di quegli atti e documenti;
c) l’art. 3 introduce una nuova fattispecie di reato, in forza della quale chiunque illecitamente detiene gli atti o i documenti in parola è punito con la pena della reclusione da sei mesi a sei anni, ovvero, qualora si tratti di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, con la pena della reclusione da uno a sette anni;
d) infine, l’art. 4 prevede che, in caso di divulgazione dei medesimi atti o docu-menti, il soggetto interessato possa chiedere all’autore della divulgazione, al direttore o vicedirettore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro a titolo di riparazione. Tale somma è quantificata in ragione di cinquanta centesimi di euro per ogni copia stampata, ovvero da cinquantamila a un milione di euro secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico; in ogni caso, essa non può essere inferiore a ventimila euro. L’azione dev’essere proposta entro un anno dalla data della divulgazione, salvo che l’interessato non dimostri di averne avuto conoscenza successivamente, e segue le forme del procedimento camerale (artt. 737 ss. c.p.c.). In caso di giudizio ordinario, la somma corrisposta a titolo di riparazione va comunque computata nella liquidazione del danno risarcibile. Resta salva l’adozione, da parte del Garante per la protezione dei dati personali e dell’Autorità giudiziaria, dei provvedimenti di rispettiva competenza.
3. L’iniziativa del Governo scaturisce – com’è ben noto – dai gravi fatti recente-mente emersi nell’ambito delle indagini condotte dalla magistratura milanese, in relazione alla presunta esistenza di un’organizzazione criminale finalizzata all’illecita acquisizione – per lo più attraverso intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali – di dati personali ed informazioni riservate concernenti politici, imprenditori, uomini delle istituzioni e comuni cittadini: una vera e propria attività di spionaggio, che – stando alle notizie apparse in questi giorni sulla stampa – vedrebbe coinvolti (a vario titolo) anche uomini dei servizi segreti, appartenenti alle forze dell’ordine ed altri pubblici ufficiali.
Scopo dichiarato del decreto è per l’appunto quello di scongiurare gli effetti per-versi di tale attività, sanzionando la detenzione e la divulgazione delle informazioni ille-citamente raccolte e precludendone qualunque possibilità di utilizzo tanto in sede inve-stigativa quanto in sede processuale. Scopo certamente condivisibile, che tuttavia non vale a fugare seri dubbi sulla legittimità delle misure con le quali lo si vorrebbe concre-tamente perseguire.
A prescindere da ogni rilievo sulla opportunità (se non addirittura sulla costituzio-nalità) di un decreto-legge specificamente destinato ad incidere sullo svolgimento di in-dagini penali tuttora in corso (le cui risultanze, peraltro, non hanno ancora superato al-cun vaglio giurisdizionale, se non ai limitati fini dell’adozione di misure cautelari nei confronti di taluni degli indagati), ciò che lascia fortemente perplessi è, innanzitutto, la previsione della «immediata distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti» conte-nenti le informazioni illecitamente raccolte: si tratta, all’evidenza, di una misura irrever-sibile, che viene disposta dall’«autorità giudiziaria» (espressione, questa, che ricom-prende astrattamente anche il pubblico ministero) senza alcuna forma di contraddittorio con i soggetti interessati (indagati e persone offese), e che finisce paradossalmente col cancellare lo stesso corpo del reato (con tutto quanto ne consegue sul piano probatorio).
In secondo luogo, se per un verso è da valutare positivamente l’espressa commi-natoria dell’inutilizzabilità processuale delle informazioni illecitamente raccolte (ancorché già ricavabile dall’art. 191 c.p.p. e, ancor prima, dall’art. 111 Cost.), per un altro verso l’aver stabilito che quelle medesime informazioni non possano venire in rilievo neppure come semplici fonti di notitiae criminis né essere impiegate per finalità investigative appare in palese contrasto sia col principio della obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) sia – nella misura in cui ci si trovi in presenza di elementi favorevoli al-l’indagato (ad es., elementi che in qualunque modo ne escludano la colpevolezza, ovvero che integrino una circostanza attenuante) – con il diritto di difesa (art. 24 Cost.).