Ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia

Pubblichiamo di seguito il testo dell’ordinanza della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia.

ORDINANZA N. 354
ANNO 2005

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota del 24 novembre 2004 con la quale il Ministro della giustizia dichiarava di non dare corso alla determinazione del Presidente della Repubblica di concedere la grazia della pena detentiva residua ad Ovidio Bompressi, giudizio promosso con ricorso del Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia, depositato in cancelleria il 10 giugno 2005 ed iscritto al n. 25 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che con atto depositato il 10 giugno 2005 il Presidente della Repubblica, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Ministro della giustizia «in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi», rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro al Capo dello Stato;
che il ricorrente – sul presupposto di aver manifestato al Guardasigilli, con nota dell’8 novembre 2004 (emessa dopo aver ricevuto ed esaminato la documentazione sull’istruttoria relativa all’istanza di grazia presentata dal Bompressi), la propria determinazione di concedere la grazia della pena detentiva residua, invitandolo pertanto a predisporre il relativo decreto per la successiva emanazione – assume che il Ministro gli ha comunicato di non poter aderire alla richiesta formulata in quanto non condivisibile «né sotto il profilo costituzionale, né nel merito», atteso che la Costituzione porrebbe in capo al Ministro della giustizia la responsabilità di formulare la proposta di grazia;
che il ricorrente assume, per contro, che il potere di grazia – riservato in via esclusiva al Capo dello Stato dall’art. 87 della Costituzione – «verrebbe posto nel nulla dalla mancata formulazione della proposta da parte dello stesso Ministro», proposta, oltretutto, che né la Costituzione né la legge richiedono ai fini della concessione del beneficio de quo;
che il Presidente della Repubblica ritiene che qualora, come nel caso in esame, egli pervenga alla determinazione di concedere la grazia ad un condannato, sia la predisposizione del relativo decreto, che la successiva controfirma costituirebbero, per il Ministro della giustizia, «atti dovuti»;
che, su tali basi, pertanto, il ricorrente ha elevato conflitto – ai sensi degli artt. 37 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 – nei confronti del Ministro della giustizia, per assunta violazione degli artt. 87 e 89 della Costituzione;
che, risultando indiscutibile – secondo il ricorrente – l’ammissibilità del conflitto sotto il profilo soggettivo, atteso che la qualificazione del Presidente della Repubblica come potere dello Stato sarebbe «del tutto pacifica», come del resto la legittimazione passiva del Ministro della giustizia «in ragione del ruolo istituzionale» che la Costituzione riserva allo stesso, il ricorrente assume che – sotto il profilo oggettivo – non potrebbe negarsi la lesione delle attribuzioni che la Costituzione conferisce al Capo dello Stato «nell’esercizio del potere di concessione della grazia»;
che, nel merito, infatti, viene dedotta la violazione degli artt. 87 e 89 della Costituzione, atteso che il rifiuto del Ministro di formulare la proposta di grazia, ritenendola presupposto indispensabile del relativo decreto di concessione, si sostanzierebbe de facto nella rivendicazione del «potere di interdire con la sua decisione (o addirittura con la sua inerzia) l’esercizio del potere presidenziale di concessione della grazia», e quindi nell’attribuzione di un sostanziale potere di codecisione che non sarebbe, viceversa, previsto nel vigente assetto costituzionale;
che, nella prospettiva del ricorrente, diversi argomenti, «di ordine logico giuridico, oltre che sistematico», concorrerebbero a confermare la titolarità esclusiva di tale potere in capo al Presidente della Repubblica, secondo quanto risulta già dalla lettera dell’art. 87 della Costituzione;
che, rileverebbe in tal senso, innanzitutto, la ratio «umanitaria ed equitativa» dell’istituto della grazia, tendente ad «attenuare l’applicazione della legge penale in tutte quelle ipotesi nelle quali essa viene a confliggere con il più alto sentimento della giustizia sostanziale»;
che se, pertanto, la grazia mira a soddisfare un’esigenza «correttivo-equitativa» dei rigori della legge, sarebbe consequenziale tanto che la sua concessione non implichi alcuna valutazione di natura politica, quanto che l’esercizio di un tale elevato e delicato potere venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dell’unità della Nazione, nonché «garante super partes della Costituzione», e dunque unico organo in grado di offrire garanzia di un esercizio imparziale;
che, alla luce delle considerazioni che precedono, il Ministro della giustizia «è soltanto il Ministro “competente” che collabora con il Capo dello Stato nelle varie fasi del procedimento, contribuendo alla formazione della volontà presidenziale nell’ambito delle sue specifiche attribuzioni», destinate a sostanziarsi esclusivamente in contributi istruttori, valutativi ed esecutivi, fermo restando che, proprio in ragione del compito prevalentemente ed essenzialmente istruttorio spettante al Guardasigilli, in mancanza di accordo con il medesimo «devono comunque prevalere le istanze di cui è portatore il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di grazia»;
che il riconoscimento dell’esistenza di «poteri di natura sostanziale» spettanti, in materia di grazia, al Ministro della giustizia non potrebbe, d’altra parte, fondarsi sul disposto dell’art. 89 della Costituzione, secondo cui «nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità»;
che tale norma – secondo il ricorrente – non legittima affatto la necessità che in subiecta materia la determinazione presidenziale sia preceduta da una “proposta ministeriale”, giacché il riferimento in essa contenuto all’espressione “ministri proponenti”, in luogo della più corretta “ministri competenti”, sarebbe da imputare ad un uso improprio della locuzione;
che priva di fondamento costituzionale, pertanto, si presenterebbe la pretesa del Guardasigilli di essere «titolare esclusivo del potere di proposta»;
che, d’altra parte, la conclusione relativa ad una “compartecipazione” del Ministro nella decisione presidenziale relativa alla concessione del provvedimento di clemenza non potrebbe neanche trarre argomento dalla necessità della “controfirma” del decreto di grazia;
che ricorrendo, infatti, un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale, la controfirma si presenterebbe come atto dovuto, in quanto avrebbe una funzione «per così dire notarile», e cioè di mera attestazione di provenienza dell’atto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale;
che la natura esclusivamente presidenziale del potere di concedere la grazia sarebbe, infine, desumibile – secondo il ricorrente – dalla stessa giurisprudenza costituzionale; si richiama, nel ricorso, l’indirizzo espresso da questa Corte in ordine alla «necessaria “giurisdizionalizzazione” della fase esecutiva delle sanzioni penali», che sembra escludere l’esistenza in tale materia di competenze governative;
che, d’altro canto, poi, si sottolinea come la tesi della esclusiva spettanza presidenziale del potere di concedere la grazia sarebbe stata «implicitamente condivisa» da questa Corte nella sentenza n. 274 del 1990, giacché la Corte, negando la ricorrenza di «vincoli costituzionalmente determinati per l’esercizio del potere di grazia da parte del Presidente della Repubblica», avrebbe escluso «l’esistenza di qualsivoglia potere decisionale dal parte del Ministro della giustizia»;
che, alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorrente ha, pertanto, concluso affinché la Corte dichiari «che non spetta al Ministro della giustizia il potere di rifiutare di dare corso alla determinazione, alla quale il Capo dello Stato è pervenuto, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi e che, conseguentemente, annulli l’atto di cui alla nota 24 novembre 2004 del Ministro della giustizia».
Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a deliberare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto sussista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, con riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi prescritti dal medesimo art. 37;
che questa preliminare e interlocutoria valutazione lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione relativamente anche ai profili attinenti alla stessa ammissibilità del ricorso, che – allo stato – va dichiarata tanto sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservato ogni definitivo giudizio,
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia, con l’atto indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Presidente della Repubblica;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Ministro della giustizia entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2005.