La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione promosso dai promotori delle richieste referendarie (ord. n. 38 del 2008).

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dai promotori delle tre richieste di referendum aventi per oggetto alcuni articoli delle leggi elettorali di Camera e Senato (ord. n. 38 del 2008).
Il conflitto – sorto a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri del 5 febbraio 2008 che ha fissato al 18 maggio 2008 la data di svolgimento dei referendum – è stato promosso nei confronti della «Camera dei deputati, in persona del suo Presidente in carica», «del Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente in carica», e «del Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri». I ricorrenti chiedevano alla Corte di volere «in via cautelare accordare i necessari provvedimenti d’urgenza per consentire lo svolgimento dei referendum il 18 maggio 2008 o comunque entro il 15 giugno 2008»; di dichiarare, nel merito, «che non spettava al Governo deliberare la data di svolgimento dei referendum prima dello scioglimento anticipato delle Camere con l’effetto di determinarne la sospensione», ed inoltre «che sussiste il diritto allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e dell’ammissibilità delle relative domande, entro termini ragionevoli, mantenendo ferma la data del 18 maggio 2008 ovvero entro il 15 giugno 2008», nonché, infine, di «annullare in conseguenza, in parte qua, la deliberazione del Consiglio dei ministri 5 febbraio 2008 con la quale è stata decisa la data di svolgimento del referendum ovvero l’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui prevede, in caso di scioglimento delle Camere, l’automatica sospensione dei referendum e la ripresa del decorso dei termini solo a partire dal 365° giorno dallo svolgimento delle elezioni».
Nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Corte ha, tra l’altro, sottolineato che non rientra nella sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, del comitato promotore, il potere di sindacare, adducendo una sorta di eccesso di potere da “sviamento dalla causa tipica”, la scelta governativa in ordine al momento in cui procedere all’espletamento delle operazioni di voto; e che non esiste nell’ordinamento una norma che attribuisca rilievo costituzionale al presunto interesse degli elettori alla sollecita celebrazione del referendum e che abiliti il comitato promotore ad agire a tutela dello stesso.

Di seguito il testo della ordinanza n. 38 del 2008:

ORDINANZA N. 38
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Franco BILE Presidente
– Giovanni Maria FLICK Giudice
– Francesco AMIRANTE ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI ”
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri del 5 febbraio 2008 che ha fissato al 18 maggio 2008 la data di svolgimento dei referendum dichiarati ammissibili con sentenze della Corte costituzionale numeri 15, 16 e 17 del 2008, di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente e della automatica sospensione – determinata dall’art. 34, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo) – dei medesimi referendum, promosso con ricorso dei signori prof. Giovanni Guzzetta, prof. Mariotto Giovanni Battista Segni e on. dott. Natale Maria Alfonso D’Amico, nella qualità di promotori e presentatori delle tre richieste di referendum popolare in questione, depositato in cancelleria il 19 febbraio 2008 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2008, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che, con ricorso depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale in data 19 febbraio 2008, i signori prof. Giovanni Guzzetta, prof. Mariotto Giovanni Battista Segni, on. dott. Natale Maria Alfonso D’Amico – in qualità di promotori e presentatori di tre richieste di referendum popolare concernenti alcuni articoli del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modifiche (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), e del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modifiche (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica) – hanno promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della «Camera dei deputati, in persona del suo Presidente in carica», «del Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente in carica», e «del Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri»;
che i ricorrenti hanno chiesto alla Corte costituzionale di volere «in via cautelare accordare i necessari provvedimenti d’urgenza per consentire lo svolgimento dei referendum il 18 maggio 2008 o comunque entro il 15 giugno 2008»;
che hanno, inoltre, chiesto, nel merito, di dichiarare «che non spettava al Governo deliberare la data di svolgimento dei referendum prima dello scioglimento anticipato delle Camere con l’effetto di determinarne la sospensione», ed inoltre «che sussiste il diritto allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e dell’ammissibilità delle relative domande, entro termini ragionevoli, mantenendo ferma la data del 18 maggio 2008 ovvero entro il 15 giugno 2008», nonché, infine, di «annullare in conseguenza, in parte qua, la deliberazione del Consiglio dei ministri 5 febbraio 2008 con la quale è stata decisa la data di svolgimento del referendum ovvero l’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui prevede, in caso di scioglimento delle Camere, l’automatica sospensione dei referendum e la ripresa del decorso dei termini solo a partire dal 365° giorno dallo svolgimento delle elezioni»;
che i ricorrenti rammentano, innanzitutto, i dubbi sollevati, sia in sede politica che in ambito dottrinario, in ordine alla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), e sottolineano, inoltre, che i più incisivi mutamenti apportati alle leggi elettorali e al sistema politico centrale, negli ultimi venti anni, sono stati sempre approvati per via referendaria;
che, ciò premesso, i ricorrenti evidenziano di avere avviato il procedimento previsto dalla legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), per la raccolta delle firme su tre proposte di referendum popolare finalizzate «ad abrogare le parti più controverse della riforma elettorale del 2005», riscuotendo «un ampio quanto trasversale consenso», grazie alla sottoscrizione di ben 820.916 cittadini per le tre proposte di referendum;
che, con ordinanza del 28 novembre 2007, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi alle prescrizioni di legge le tre richieste di referendum popolare, e la Corte costituzionale, con le sentenze numeri 15, 16 e 17, depositate in data 30 gennaio 2008, ha dichiarato ammissibili le suddette richieste di referendum abrogativo;
che, tuttavia, ancor prima che venissero pubblicate le menzionate sentenze di ammissibilità, iniziava la crisi di Governo, sfociata poi nelle dimissioni presentate dal Presidente del Consiglio dei ministri in data 24 gennaio 2008, apparendo immediatamente evidente il fortissimo rischio di uno slittamento della consultazione popolare sui referendum elettorali;
che, difatti, ai sensi dell’art. 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970, «nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse», prevedendosi, inoltre, che i «termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data della elezione»;
che, ciò nondimeno, altrettanto forte – si sottolinea sempre nel ricorso – «è apparso il rischio che l’anticipato ritorno alle urne per l’elezione di un nuovo Parlamento avvenisse con una legge elettorale che è oggetto di un referendum popolare», tanto che il Presidente della Repubblica ha affidato al Presidente del Senato, in data 30 gennaio, un incarico volto a «verificare le possibilità di consenso su una riforma della legge elettorale e di sostegno a un Governo funzionale all’approvazione di tale riforma e all’assunzione delle decisioni più urgenti»;
che, proseguono i ricorrenti, fallito il tentativo di formazione di un nuovo Governo, «nell’arco di soli tre giorni hanno trovato conferma e si sono concretizzati i rischi sopra paventati», atteso che lunedì 4 febbraio, rimesso dal Presidente del Senato della Repubblica il mandato conferitogli dal Capo dello Stato, «la mattina successiva (martedì 5) il Consiglio dei ministri, pur consapevole che il referendum sarebbe potuto slittare per effetto dell’imminente scioglimento delle Camere, si riuniva per fissare al 18 maggio 2008 la data di svolgimento dei referendum e conseguentemente il Presidente della Repubblica indiceva il referendum per quella data»;
che il giorno successivo, conclusosi il procedimento ex art. 88 della Costituzione, «lo stesso Presidente della Repubblica firmava il decreto di scioglimento delle Camere nonché il decreto di convocazione dei comizi elettorali per lo svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica nei giorni 13 e 14 aprile 2008»;
che si realizzavano, così, le condizioni di legge fissate dal sopra menzionato art. 34 della legge n. 352 del 1970 per la sospensione automatica del referendum, con l’effetto di far slittare il voto referendario di almeno un anno, con conseguente lesione – secondo i ricorrenti – del «diritto costituzionale dei cittadini a votare per il referendum sulla legge elettorale e quello dei sottoscrittori dell’iniziativa a provocare la consultazione popolare entro un termine ragionevole»;
che avverso «il suddetto illegittimo slittamento» è stato promosso il presente conflitto di attribuzione;
che, ciò premesso in fatto, i ricorrenti evidenziano come nessun dubbio si possa configurare, anzitutto, in ordine alla propria legittimazione attiva, avendo la Corte costituzionale già «riconosciuto agli elettori, in numero non inferiore a 500.000, sottoscrittori della richiesta di referendum – dei quali i promotori sono competenti a dichiarare la volontà in sede di conflitto – la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari» (così testualmente l’ordinanza n. 198 del 2005; sono citate, inoltre, le sentenze n. 502 del 2000, n. 49 del 1998 e n. 102 del 1997, oltre alle ordinanze n. 195 del 2003 e n. 131 del 1997);
che, del pari, va riconosciuta – secondo i ricorrenti – «la legittimazione passiva tanto del Governo, in persona del Presidente del Consiglio, quanto del Parlamento, in persona dei Presidenti delle due Camere»; ed invero, il presente conflitto risulta promosso nei confronti dell’Esecutivo «in quanto lesiva delle attribuzioni costituzionali di cui si chiede in questa sede tutela è la scelta del Governo di deliberare la data dello svolgimento del referendum prima dello scioglimento delle Camere così da determinarne la sospensione»;
che il conflitto, inoltre, investe anche il Parlamento «in considerazione del fatto che il contestato automatismo della sospensione è fissato dall’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, per cui la lesione qui lamentata discende anche dall’esercizio del potere legislativo»;
che, sul piano oggettivo, i ricorrenti evidenziano, poi, che le attribuzioni costituzionali delle quali chiedono tutela «riguardano il diritto allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della ammissibilità delle relative domande, entro termini ragionevoli», termini da individuare in quelli intercorrenti «tra il 15 aprile e il 15 giugno dello stesso anno in cui è avvenuta la dichiarazione di ammissibilità del referendum pronunciata dalla Corte costituzionale, pena un sostanziale svuotamento della carica innovativa dello strumento referendario»;
che il ricorso, pertanto, mira a «veder riconosciuto il diritto a votare per il referendum in data 18 maggio 2008 (e comunque entro il 15 giugno di questo anno)», diritto acquisito – sottolineano i ricorrenti – a seguito delle sentenze della Corte costituzionale numeri 15, 16 e 17 del 2008, nonché della successiva indizione del referendum effettuata con d.P.R. 5 febbraio 2008;
che i ricorrenti deducono, che nel caso di specie, la «lamentata lesione del diritto a votare in termini ragionevoli» costituisce un «effetto della automatica sospensione del procedimento per il referendum, determinatasi, ai sensi dell’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970»;
che tale è, dunque, la novità – si afferma sempre nel ricorso – della questione portata all’attenzione della Corte costituzionale, rispetto ai casi definiti con le ordinanze n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997, nei quali i comitati promotori pretendevano di interferire «sulla scelta governativa, tra le molteplici legittime opzioni, della data all’interno del periodo prestabilito»;
che nel presente caso, per contro, viene in questione – si sottolinea sempre nel ricorso – «il diritto a votare in termini ragionevoli (e comunque nel corrente anno) e la conseguente illegittimità dello slittamento di almeno un anno (ma potenzialmente anche di due) del voto referendario»;
che tale diritto risulterebbe, pertanto, leso «dal cattivo uso fatto dal Governo del potere di deliberare la data di svolgimento del referendum» e «dall’automatismo della sospensione del referendum indetto», che si determina ai sensi dell’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970;
che, tanto premesso, i ricorrenti – non senza rammentare che l’indizione del referendum abrogativo ex art. 87, sesto comma, Cost. è «atto dovuto» quanto all’an, rimanendo invece caratterizzato da «una non indifferente discrezionalità relativamente al quando» – sottolineano come, «in assenza di un obbligo costituzionale di immediata indizione ed in considerazione del principio del favor per il referendum, il cui svolgimento non tollera immotivate dilazioni», tale discrezionalità del Governo sia «duplice»;
che, «da un lato vi è la discrezionalità nella scelta della data all’interno del ristretto arco temporale previsto dalla legge» (tra il 15 aprile e il 15 giugno), scelta non altrimenti vincolata «salvo che sussistano oggettive situazioni di carattere eccezionale» idonee «a determinare una effettiva menomazione del diritto di voto referendario» (è richiamata l’ordinanza n. 131 del 1997);
che, dall’altro, «vi è discrezionalità nella scelta del momento in cui deliberare la data di fissazione, la quale deve essere esercitata nel rispetto del principio del favor del referendum e quindi in modo tale da permettere il suo sollecito svolgimento piuttosto che la sua sospensione»;
che, nel caso di specie, secondo i ricorrenti, verrebbe in considerazione «esclusivamente il cattivo esercizio di questa seconda discrezionalità»;
che, in particolare, male avrebbe fatto il Governo «ad indire il referendum qualche ora prima dello scioglimento delle Camere con l’effetto di concretizzare le condiciones legali necessarie per determinare la sospensione del relativo iter», ai sensi di quanto previsto dall’art. 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970;
che, per contro, il Governo stesso «avrebbe dovuto piuttosto differire la decisione, in un’ottica di leale collaborazione fra poteri dello Stato», o «ad un momento successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di convocazione dei comizi elettorali per le nuove Camere» (così da consentire effettivamente che le votazioni per il referendum si svolgessero il 18 maggio 2008), ovvero «ad un momento successivo allo svolgimento delle elezioni politiche, in modo tale da assicurare lo svolgimento del referendum entro il 15 giugno 2008»;
che, viceversa, il Governo ha escluso entrambe tali opzioni, le quali sarebbero state in grado di evitare la sospensione dello svolgimento della consultazione referendaria;
che, difatti, certamente idonea a tale scopo sarebbe stata la prima soluzione (è cioè il differimento della decisione ad un momento successivo allo scioglimento delle Camere), non potendo certo ritenersi – a dire dei ricorrenti – che la sospensione prevista dall’art. 34 della legge n. 352 del 1970 possa riguardare «anche i referendum non ancora indetti»;
che ad escludere, infatti, tale opzione ermeneutica – si sottolinea sempre nel ricorso – possono invocarsi il «chiarissimo ed insuperabile dato letterale», la «prassi applicativa» (analiticamente ricostruita dai ricorrenti) e una «lettura costituzionalmente orientata» del suddetto art. 34, da condurre alla stregua di quanto previsto dagli artt. 1, 2, 48 e 75 Cost.;
che le menzionate norme costituzionali impongono, difatti, una «interpretazione restrittiva degli impedimenti allo svolgimento del referendum (tra cui la sospensione)» in ossequio al «principio del favore per l’esercizio dei diritti politici» connesso all’art. 2 Cost. e discendente anche dai principi comuni (sono richiamate le sentenze n. 277 del 1990 e n. 23 del 1979 e l’ordinanza n. 321 del 2001);
che, d’altra parte, altrettanto idonea ad evitare la sospensione del referendum – sottolineano sempre i ricorrenti – sarebbe stata l’ulteriore opzione a disposizione del Governo, consistente nell’indire i referendum «in un momento successivo alle elezioni politiche, secondo modalità che avrebbero ben potuto garantirne lo svolgimento entro il 15 giugno 2008» e dunque nel rispetto del termine di cui alla legge n. 352 del 1970;
che una scelta siffatta, oltre che conforme al «quadro normativo costituzionale e ordinario richiamato», nel quale «non è possibile ravvisare traccia alcuna di un obbligo di immediata indizione dei referendum dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale», sarebbe stata, oltretutto, in linea con «la prassi seguita in occasione delle numerose consultazioni referendarie che hanno caratterizzato la storia costituzionale repubblicana»;
che, ciò premesso quanto alla decisione del Governo di indire i referendum alla data del 18 maggio 2008, i ricorrenti ribadiscono, altresì, che «la lesione della attribuzione costituzionale di cui si chiede in questa sede tutela» deriva anche, direttamente, dalla previsione dell’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, e ciò «in virtù dell’automatismo della sospensione prevista dalla suddetta disposizione»;
che ne deriva, pertanto, la necessità di affrontare – si sottolinea sempre nel ricorso – «la questione relativa all’ammissibilità di un conflitto, come quello qui sollevato, che sorge a seguito di atti legislativi»;
che i ricorrenti – pur consapevoli «dell’orientamento restrittivo che ha assunto al riguardo la giurisprudenza costituzionale» – si dicono, tuttavia, convinti «che nel caso di specie venga soddisfatta quella condizione di residualità che rende ammissibile il conflitto»;
che escluso, infatti, che l’ammissibilità possa essere «negata sulla sola base della natura legislativa degli atti ai quali venga riferita la lesione delle attribuzioni costituzionali del ricorrente» (è richiamata la sentenza n. 457 del 1999), si sottolinea come tale esito processuale sia stato limitato dalla giurisprudenza costituzionale ai soli casi in cui «la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle competenze, sia denunciabile dal soggetto interessato nel giudizio incidentale» (è citata la sentenza n. 221 del 2002);
che i ricorrenti – richiamate, inoltre, le sentenze n. 284 del 2005 e n. 343 del 2003, che hanno ribadito tali principi – sottolineano che il caso di specie configurerebbe «proprio una ipotesi nella quale non sussiste neanche in astratto la possibilità di un giudizio che consenta di sollevare la questione in via incidentale»;
che, invero, oggetto del conflitto «è l’automatismo della sospensione del referendum» che si determina in ragione di quanto previsto dall’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970 e che si atteggia «come effetto ineludibile» tanto dell’anticipato scioglimento delle Camere, quanto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere;
che ne consegue, quindi, che, in mancanza «di un formale atto di sospensione impugnabile innanzi alla competente autorità giudiziaria, non è neanche astrattamente immaginabile un giudizio a quo nel quale poter sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge, sicché l’unico strumento per poter tutelare le attribuzioni costituzionali lese dall’automatismo della sospensione è rappresentato dal conflitto di attribuzione contro la legge»;
che quanto, infine, alla sussistenza della lesione delle competenze costituzionalmente garantite ai promotori del referendum, in violazione degli artt. 1, 48 e 75 Cost., i ricorrenti rilevano come il suddetto art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970 detti una duplice previsione «contraddistinta da un pregiudiziale e ingiustificato sfavore per l’esercizio del referendum abrogativo»;
che, infatti, la «presunta volontà di porre “al riparo” il Parlamento appena eletto dagli effetti derivanti dallo svolgimento di un referendum immediatamente successivo alle elezioni troverebbe giustificazione solo in una concezione di rigida e astorica separazione fra i circuiti della democrazia rappresentativa e i circuiti della democrazia diretta»;
che siffatta ratio, inoltre, non appare in linea con il disposto dell’art. 1 Cost., il quale, «nell’attribuire sovranità al popolo “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, impone al legislatore ordinario di adottare soluzioni organizzative e procedurali che non sacrifichino l’un circuito della democrazia (quello diretto, previsto dall’art. 75 Cost.) all’altro (quello rappresentativo, previsto dagli artt. 55-70 Cost.)»;
che, inoltre, ove anche «si volesse ritenere che tale ratio di separazione e contrapposizione fosse ancora giustificabile in una prima fase di attuazione dell’art. 75» Cost., la successiva prassi costituzionale – si sottolinea sempre nel ricorso, richiamando anche le deroghe espresse al disposto del citato art. 34 che il legislatore, per talune consultazioni referendarie, ha inteso introdurre (art. 1 della legge 7 agosto 1987, n. 332, che reca «Deroghe alla legge 25 maggio 1970 n. 352, in materia di referendum») – avrebbe dimostrato come detta ratio «sia divenuta nel tempo palesemente irragionevole, alla luce degli esiti fortemente dilatori a cui può condurre»;
che, d’altra parte, neppure appare senza significato – proseguono i ricorrenti – la circostanza che «un principio di non sovrapposizione tra consultazioni referendarie e consultazioni politiche» sia «del tutto assente con riferimento al referendum costituzionale, referendum che, con tutta evidenza, incide in profondità sul rapporto di rappresentanza politica e più in generale sulla forma di governo»;
che, del pari, non irrilevante – osservano conclusivamente i ricorrenti – appare la circostanza che la legge n. 352 del 1970 «ha già evidenziato carenze importanti anche sotto altri profili», costringendo la Corte costituzionale «a pronunciarsi con sentenza additiva sulla portata di alcune disposizioni (è il caso dell’art. 39, che formò oggetto della nota sentenza n. 68 del 1978)»;
che, tutto ciò premesso, i ricorrenti hanno rassegnato le conclusioni già sopra illustrate.
Considerato che, in questa fase, la Corte è chiamata, a norma dell’articolo 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se sussistano i requisiti soggettivo e oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che va riconosciuto agli elettori, in numero non inferiore a 500.000, sottoscrittori della richiesta di referendum – dei quali i promotori sono competenti a dichiarare la volontà in sede di conflitto – la titolarità, nell’ambito della procedura referendaria, di una funzione costituzionalmente rilevante e garantita, in quanto essi attivano la sovranità popolare nell’esercizio dei poteri referendari (vedi, ex multis, ordinanze n. 198 del 2005 e n. 137 del 2000);
che, ancora sotto il profilo soggettivo, il conflitto, secondo la prospettazione effettuata nel ricorso, è proponibile sia nei confronti del Governo, sia nei confronti del Parlamento;
che, in relazione al requisito oggettivo, occorre verificare se la controversia instaurata attenga alla salvaguardia di una sfera di attribuzioni del comitato promotore che tragga origine da norme costituzionali;
che, nella specie, i ricorrenti assumono che le suddette attribuzioni sarebbero state lese: in primo luogo, dal cattivo uso fatto dal Governo del potere di fissare la data di svolgimento della consultazione referendaria; in secondo luogo, dall’automatismo della sospensione del referendum già indetto previsto dal secondo comma dell’art. 34 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo);
che, secondo l’assunto dei ricorrenti, il Governo, in assenza di un obbligo costituzionale di immediata indizione, avrebbe esercitato in maniera non corretta la discrezionalità nella scelta del momento in cui deliberare la data di fissazione delle operazioni elettorali referendarie, con ciò determinando una violazione del diritto degli elettori a partecipare, in tempi ragionevoli, alla consultazione stessa;
che, più in particolare, al fine di garantire il principio del favor per il referendum e in un’ottica di leale collaborazione tra poteri dello Stato, il Governo non avrebbe dovuto indire il referendum stesso «qualche ora prima dello scioglimento delle Camere con l’effetto di concretizzare le condiciones legali necessarie per determinare la sospensione del relativo iter ai sensi dell’art. 34, secondo e terzo comma, della legge n. 352 del 1970»;
che, in relazione al secondo aspetto, in via sostanzialmente subordinata, i ricorrenti sottolineano la valenza lesiva del citato secondo comma dell’art. 34, il quale prevede che «nel caso di anticipato scioglimento delle Camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all’atto della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere o di una di esse»;
che tale norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 1, 2, 48 e 75 della Costituzione, «introducendo una previsione contraddistinta da un pregiudiziale e ingiustificato sfavore per l’esercizio del referendum abrogativo»;
che, in particolare, nel ricorso si osserva come l’art. 1 della Costituzione, nell’attribuire la sovranità al popolo, «impone al legislatore ordinario di adottare soluzioni organizzative e procedurali che non sacrifichino l’un circuito della democrazia (quello diretto, previsto dall’art. 75 Cost.) all’altro (quello rappresentativo, previsto dagli artt. 55-70 Cost.)»;
che, ai fini della esatta individuazione del thema decidendum del presente conflitto, appare opportuno indicare la sequenza degli eventi che fanno da sfondo al ricorso proposto: questa Corte, con le sentenze numeri 15, 16 e 17 depositate in data 30 gennaio 2008, ha dichiarato ammissibili le richieste di referendum popolare per l’abrogazione di alcune disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modifiche (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modifiche (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica); i referendum sono stati indetti con d.P.R. 5 febbraio 2008 per domenica 18 maggio del corrente anno e per il lunedì successivo; le Camere sono state sciolte con decreto del Presidente della Repubblica del 6 febbraio 2008, n. 19; i comizi elettorali per la elezione delle nuove Camere sono stati convocati con decreto del Presidente della Repubblica n. 20 emanato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in pari data; la sospensione del referendum si è prodotta a decorrere dalla suddetta pubblicazione per effetto di quanto previsto dal citato secondo comma dell’art. 34 della legge n. 352 del 1970;
che, chiarito ciò, deve rilevarsi, in relazione alla contestata lesività del d.P.R. 5 febbraio 2008 di indizione del referendum, come il suddetto atto non sia idoneo ad incidere, neanche astrattamente, sulla sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite al comitato promotore;
che, infatti, l’art. 34, primo comma, della citata legge n. 352 del 1970 attribuisce al Consiglio dei ministri un ampio potere di valutazione nell’effettuare la proposta al Presidente della Repubblica – cui spetta l’adozione del relativo provvedimento formale – sia in ordine al momento di indizione del referendum, sia per quanto attiene alla fissazione della data della consultazione referendaria, ponendo quale unico limite indeclinabile che le relative operazioni di voto si svolgano tra il 15 aprile e il 15 giugno;
che, a tale proposito, questa Corte − in relazione ad una fattispecie che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, ha evidenti aspetti di analogia con la presente − ha già avuto modo di affermare che «rientra nella sfera delle attribuzioni del comitato la pretesa allo svolgimento delle operazioni di voto referendario, una volta compiuta la procedura di verifica della legittimità e della costituzionalità delle relative domande; ma non anche − in assenza di situazioni eccezionali − la pretesa di interferire sulla scelta governativa, tra le molteplici, legittime opzioni, della data all’interno del periodo prestabilito» (così ordinanze n. 198 del 2005 e n. 131 del 1997);
che, ribadendo la validità del suddetto indirizzo interpretativo, questa Corte ritiene che tra le “molteplici, legittime opzioni” rientra per certo anche quella concernente la data in cui adottare, dopo la declaratoria di ammissibilità del referendum da parte della Corte, il provvedimento di indizione del referendum stesso (nella specie, 5 febbraio 2008) e quella relativa allo svolgimento delle operazioni di voto (nella specie, 18 maggio 2008);
che, pertanto, deve escludersi che rientri nella sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, del comitato promotore, il potere di sindacare, adducendo una sorta di eccesso di potere da “sviamento dalla causa tipica”, la scelta governativa in ordine al momento in cui procedere all’espletamento delle operazioni di voto;
che, in altri termini, il comitato promotore, nella sua veste di organismo competente a dichiarare la volontà dei sottoscrittori del referendum, pur essendo indubbiamente titolare di un potere, di natura costituzionale, teso a garantire che sia concretamente effettuata la competizione referendaria, non può vedere esteso siffatto potere anche per quanto attiene alle specifiche modalità organizzative di essa, rispetto alle quali operano pienamente le facoltà del Governo; di tal ché, mentre è suscettibile di essere sindacata con lo strumento del conflitto di attribuzioni ogni iniziativa di altri poteri, eventualmente diretta a paralizzare quella referendaria, non può ritenersi consentito al comitato promotore di contestare con il medesimo mezzo i momenti procedurali lasciati alla valutazione di altri soggetti istituzionali, che non siano incompatibili con la certezza della effettuazione del referendum stesso;
che neppure è ipotizzabile, contrariamente a quanto ritengono i ricorrenti, che il comitato possa agire a salvaguardia del diritto degli elettori ad esprimere il voto in tempi da loro ritenuti ragionevoli, in quanto non è rinvenibile alcuna norma nell’ordinamento che, a salvaguardia di un presunto interesse degli elettori costituzionalmente rilevante alla sollecita celebrazione del referendum, abiliti il comitato ad agire, sicché – anche sotto tale aspetto – difetta il presupposto stesso della doglianza dal punto di vista oggettivo;
che, per quanto attiene all’ulteriore profilo concernente l’asserita violazione delle attribuzioni costituzionali dei ricorrenti derivante direttamente dall’art. 34, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, deve, in via preliminare, rilevarsi come la più recente giurisprudenza di questa Corte abbia ammesso, in linea di principio, la configurabilità del conflitto di attribuzione in relazione ad una norma di legge tutte le volte in cui da essa «possono derivare lesioni dirette dell’ordine costituzionale delle competenze» (ordinanza n. 343 del 2003), ad eccezione dei casi in cui esista un «giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge» (sentenza n. 222 del 2002; in senso analogo sentenza n. 284 del 2005);
che, nella specie, anche a volere considerare sussistenti i presupposti che legittimano un conflitto avente ad oggetto un atto di rango legislativo, nondimeno deve rilevarsi come neanche di tale atto sia configurabile una incidenza sulla sfera costituzionalmente tutelata del comitato promotore, in relazione alle modalità di svolgimento del procedimento referendario;
che, difatti, tale conclusione si impone sempre in ragione della già rilevata inesistenza, nell’ordinamento, di una norma che attribuisca rilievo costituzionale al presunto interesse degli elettori alla sollecita celebrazione del referendum e che abiliti il comitato promotore ad agire a tutela dello stesso;
che, sotto entrambi i profili esaminati, il ricorso promosso deve dunque ritenersi inammissibile per mancanza del requisito oggettivo del conflitto di attribuzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA