Il memorandum d’intesa su lavoro pubblico e riorganizzazione delle PP.AA.

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E’ stato siglato a Roma il 18 gennaio 2007 il memorandum d’intesa tra Governo e parti sociali in ordine alla attivazione di processi di riorganizzazione e razionalizzazione dell’attività delle Amministrazioni pubbliche: per la delegazione trattante pubblica sono intervenuti il Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella P.A. (Prof. NICOLAIS) ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze (Prof. PADOA SCHIOPPA), dall’altra i rappresentanti delle maggiori Organizzazioni Sindacali del pubblico impiego (CGIL, CISL, UIL).
Il documento su cui si è trovato l’accordo ha, come è stato giustamente evidenziato dalla stampa quotidiana immediatamente successiva all’intesa, un importante valore politico, non solo e non tanto per i contenuti in esso puntualmente recepiti (tra l’altro, quasi ovviamente assai generici), ma poiché rappresenta il primo autentico momento concertativo tra il nuovo Governo ed il sindacato, su una materia tanto delicata quale è quella del pubblico impiego. L’accordo è stato significativamente intitolato “Per una nuova qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche” ed aspira dichiaratamente a realizzare «una profonda riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche», affinché l’economia italiana possa tornare su «un sentiero di crescita duratura». Questa impostazione, prettamente economicistica, è ribadita anche dalla ricorrenza, in tutto il testo, dell’obiettivo ripetutamente citato di «accrescere la produttività del sistema Paese»; detto approccio è comunque mitigato dalla fondamentale considerazione per cui «dalla produzione e dall’accesso a servizi universali e di qualità, di cui le Pubbliche Amministrazioni rimangono l’asse portante, dipende la stessa disponibilità dei diritti di cittadinanza previsti dal nostro ordinamento costituzionale», cosicché il documento si sforza di accogliere da un lato schemi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa ormai irrinunciabili (a partire, lo si ricorderà, dal celeberrimo art. 1 della L. n. 241/1990), dall’altro di mantenere una visione per così dire “sociale” dell’attività delle Pubbliche Amministrazioni, risultando in ciò una lettura complessiva perfettamente aderente al dettato costituzionale (una giusta sintesi, cioè, tra art. 97 Cost. da un lato ed artt. 1, 2 e 3 Cost. dall’altro).
L’impressione d’insieme insiste sul paradigma della c.d. «amministrazione di risultato» (su cui infatti una copiosa elaborazione dottrinale), ma nella perdurante (resistente?) consapevolezza che è proprio all’Amministrazione Pubblica, in primis ed in quanto tale, che compete di dovere fornire servizi pubblici a tutti i cittadini, in quanto tali, concepiti come un unico genus, e non solo quindi alla species del cittadino-imprenditore.
Per migliorare le funzioni pubbliche, nell’ottica del perseguimento dei risultati appena citati, la parte «analitica» del memorandum sottolinea la necessità di una pluralità di interventi coordinati (e non disorganici o estemporanei, come talvolta è accaduto) riguardanti, ad esempio, la regolamentazione del rapporto di lavoro (si indica, e va segnalato, la strada della piena e definitiva contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico), una più puntuale definizione dei sistemi e delle procedure di contrattazione (sia nazionale che integrativa), il ricorso (immancabile) all’adozione ed all’utilizzo delle tecnologie informatiche. Parallelamente, si valuta come ormai improcrastinabile l’introduzione nel sistema del complesso degli strumenti che consentano la misurabilità, la verificabilità e l’incentivazione della qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche prestate, in quanto elementi caratterizzanti la P.A. del futuro. In questo solco, del resto, si situa già il precedente intervento del Ministero per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione (che, criticamente, per certi aspetti ci è parso velleitario) di cui alla direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella P.A..
Le «profonde azioni di riorganizzazione» che dovranno essere poste in essere, verranno in ogni caso attuate «attraverso criteri generali concordati, anche in connessione con il rinnovo dei contratti»: in altri termini, cioè, la strada che dovrà essere percorsa sarà frutto della concertazione con il sindacato. Un profondo significato politico va riconosciuto inoltre all’obiettivo programmatico di legislatura (dunque in una prospettiva di breve-medio periodo) consistente nella scomparsa del precariato (già si vedano, in proposito, le disposizioni di cui all’art. 1, comma 557 e sgg., L. Finanziaria 2007), attraverso opportune forme di inserimento e riassorbimento, laddove possibili.
Pur rimandando alla futura contrattazione con le parti sociali i contenuti puntuali della riorganizzazione, il memorandum individua comunque alcuni indirizzi cui le azioni normative, amministrative e contrattuali dovranno ispirarsi. Ne indichiamo (tra le 11 richiamate), alcune di maggior rilievo od interesse: colpisce (ma ormai non sorprende, visto quello che si è già avuto modo di osservare sopra), il richiamo alla «misurazione della qualità e quantità dei servizi», volta ad instaurare un metodo imperniato sulla fissazione di obiettivi e sulla misurazione dei risultati dell’azione amministrativa. Sulla scorta di tale verifica, si precisa a proposito di incarichi apicali, dovrà avvenire la valutazione della dirigenza, anche ricorrendo all’utilizzo «come benchmark, di esperienze in corso di avvio» (id est, seppur non detto esplicitamente, quanto già statuito con la più volte citata direttiva “Per una Pubblica Amministrazione di qualità”, che richiama anche il titolo del presente accordo). Solo un’osservazione in proposito: da quanto stabilito pro futuro, emerge con adamantina chiarezza che tanto il Governo quanto le Organizzazioni Sindacali sono perfettamente coscienti della cattiva prova di sé che finora hanno fornito tutti i sistemi di retribuzione integrativa – già introdotti a partire dagli anni ’90 – legati al conseguimento dei risultati da parte dei dirigenti: detti obiettivi, come è noto, vengono immancabilmente sempre raggiunti, divenendo quindi la parte eventuale della retribuzione a questi spettante una voce in realtà fissa, ma solo percepita successivamente in busta paga. Si realizza così l’annullamento fattuale di previsioni che, seppur normativamente valide, vengono nella pratica quotidiana vanificate dalla distorta applicazione che di esse ne viene concretamente fornita; questo fenomeno, del resto, è ben noto alla dottrina, che perciò da tempo ne propone una revisione. Lodevolmente, quindi, queste previsioni del memorandum sembrano andare proprio nella direzione sollecitata dagli studiosi.
Sul fronte dell’«accesso ai pubblici impieghi e pianificazione del turn-over», ribadita la centralità del concorso quale modalità ordinaria di assunzione del personale nella P.A., si prescrive che il reclutamento dovrà avvenire sulla base di una programmazione di medio periodo, in coerenza con i vincoli finanziari, ma in modo tale da «soddisfare un fabbisogno di personale che emerga da un’analisi comparata delle esigenze tra le diverse unità dell’Amministrazione rispetto agli obiettivi di Governo». In ogni caso, viene precisato, reclutamento ed assunzioni dovranno svolgersi in modo periodico e continuo; si rammenti, inoltre, quanto già osservato relativamente alla scomparsa del lavoro precario. Sembrano quindi definitivamente superati, almeno è la sensazione complessiva, ed è novità non di poco conto, i fenomeni di c.d. «blocco delle assunzioni» sperimentati a partire dalla L. Finanziaria del 2000 e, sino ad oggi, mai più abbandonati. Per quel che concerne la dirigenza, invece, stabilito anche qui per il suo reclutamento il ricorso «in via ordinaria» ai concorsi pubblici, si prevede la rigorosa limitazione dello spoils system solo «alle figure apicali e a quegli incarichi dichiarati aventi natura fiduciaria dagli organi di governo in cui possono essere chiamati anche esterni all’Amministrazione»: un’indicazione, anche in questo caso, di forte discontinuità rispetto a quanto stabilito con la L. n. 145/2002, (c.d. Legge Frattini). Si assume inoltre, come principio generale, il metodo della rotazione degli incarichi dirigenziali, «in tempi di durata massima fissati con chiarezza» (indicazione quest’ultima, sulla quale non può concordarsi, e che anzi sembra sposare perfettamente i risultati dei conosciuti studi che hanno portato all’elaborazione del c.d. principio di Peter sulla inefficienza burocratica).
Ulteriori statuizioni, piuttosto “ordinarie” in documenti aventi la natura del memorandum de quo, riguardano poi la «formazione ed aggiornamento» del personale, il riconoscimento di «percorsi professionali» di crescita per i lavoratori, un maggiore impegno in sede di «contrattazione integrativa».
Alcune interessanti previsioni di massima concernono invece la «mobilità territoriale e funzionale»: questa dovrà essere incentivata, resa effettiva e più «fluida», sia sul territorio (dunque come mobilità “fisica” del lavoratore), sia rispetto alle funzioni istituzionali di cui le Amministrazioni sono espressione (dunque come mobilità di personale e tra Amministrazioni di diverso livello e tra Amministrazioni dello stesso livello di governo). In questa ottica si situa anche la previsione di forme incentivate di uscita in caso di accertato esubero di personale non ricollocabile con i predetti processi di mobilità: ed è, si noti, un fatto di sicuro rilievo che in documento frutto di concertazione con i sindacati si trovi una simile previsione.
Dopo avere riaffermato la necessità di “irrobustire” le relazioni Governo – Organizzazioni sindacali, così come la centralità del metodo concertativo, il memorandum precisa come esso possa validamente rappresentare un modello di intesa per processi di riorganizzazione del personale potenzialmente valido per ogni livello di governo; resta chiarito, però, che «i provvedimenti che interessino anche il personale del Servizio Sanitario Nazionale, di Regioni e Enti Locali, saranno concordati con Regioni, Province e Comuni». Del pari, si rinvia ad un ulteriore apposito confronto l’apertura della discussione in ordine alla riorganizzazione del comparto Scuola, Ricerca, Università ed Alta Formazione artistica e musicale.
Operativamente, infine, viene costituito un Gruppo di lavoro con l’incarico di «dare agli indirizzi e criteri generali qui indicati, traduzione tecnica e operativa, anche ai fini della predisposizione da parte del Governo e dei Comitati di Settore, degli atti di indirizzo per il rinnovo di tutti i contratti di lavoro e dell’attuazione di
norme».
Conclusivamente, dunque, al di là delle notazioni sparse svolte a chiosa delle previsioni via via illustrate, sembra di poter affermare che qualcosa di significativo si stia verificando nella razionalizzazione della P. A.: non solo per i contenuti, pur importanti e per certi versi profondamente innovativi, presenti nell’intesa (mobilità dei lavoratori, recupero di efficienza, valutazione della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, riassorbimento e scomparsa del lavoro precario), quanto per il metodo che è stato posto alla base di questo ambizioso disegno di ammodernamento. In proposito, infatti, si constata agevolmente come il presente intervento, non estemporaneo né contingente (indice ne sia la circostanza che questa prima intesa è raggiunta appunto ad inizio di Legislatura), sia frutto di una discussione, di una interlocuzione, anche serrata, con la parte sindacale: è certamente auspicabile che questo modo di procedere, fondato sul confronto e che rifugge la contrapposizione frontale con le Organizzazioni dei lavoratori, divenga prassi consolidata nell’attività del Governo.