La sentenza della Corte costituzionale n. 414 del 2006 dichiara inammissibile la questione riguardante la disposizione della legge sulla disciplina dell’immigrazione – come modificata dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 – che prevede quale causa ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno allo straniero la condanna, anche a seguito di patteggiamento, con sentenza passata in giudicato anche se anteriore alle modifiche del 2002 che mutando il quadro normativo hanno avuto un effetto gravemente pregiudizievole non prevedibile al momento del patteggiamento.
Secondo la Corte il Tar remittente non ha «esplorato le diverse, possibili interpretazioni delle disposizioni censurate tali da escludere la loro applicabilità nelle fattispecie oggetto del giudizio a quo, nelle quali l’efficacia preclusiva del rinnovo del permesso di soggiorno sarebbe spiegata da condanne antecedenti l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002. Ciò in presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali affermati in numerose pronunce di giudici amministrativi, conformi alla sentenza n. 394 del 2002 di questa Corte, richiamata dallo stesso remittente».
SENTENZA N. 414
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Franco BILE Presidente
– Giovanni Maria FLICK Giudice
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
– Alfio FINOCCHIARO ”
– Alfonso QUARANTA ”
– Franco GALLO ”
– Luigi MAZZELLA ”
– Gaetano SILVESTRI ”
– Sabino CASSESE ”
– Maria Rita SAULLE ”
– Giuseppe TESAURO ”
– Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sui ricorsi proposti da S. D. ed altro contro il Ministero dell’interno ed altro, con ordinanza del 7 giugno 2005 iscritta al n. 488 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di due giudizi, aventi ad oggetto l’annullamento di due provvedimenti del Questore di Mantova con i quali erano stati rifiutati i rinnovi di altrettanti permessi di soggiorno di cittadini extracomunitari, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189.
Premette in fatto il remittente che entrambi i ricorrenti avevano presentato istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno e che il Questore di Mantova le aveva respinte, poiché i cittadini extracomunitari erano stati condannati a seguito di patteggiamento, con sentenze passate in giudicato, per reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti; tali reati rientrano nelle ipotesi per le quali le norme impugnate non consentono l’ammissione in Italia né il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza concesso.
Aggiunge, altresì, il giudice a quo di aver sollevato già una prima volta, nel corso dei medesimi giudizi, un’analoga questione di legittimità costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 9 del 2005.
Dopo aver proceduto alla riunione dei giudizi, aventi ad oggetto la medesima materia, il TAR richiama il contenuto delle norme impugnate, in particolare l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, a norma del quale non è ammesso in Italia lo straniero condannato, anche a seguito di patteggiamento della pena, per una serie di reati, fra i quali quelli inerenti gli stupefacenti. Poiché il censurato art. 5, comma 5, dispone che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo vengano rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti per l’ingresso in Italia, da tanto consegue che, in presenza di una condanna per uno dei reati di cui al citato art. 4, comma 3, «il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno rappresenti un epilogo scontato e perentorio», non essendo consentita all’autorità amministrativa ed a quella giudiziaria alcuna concorrente valutazione in ordine «al rilievo, sul piano della sicurezza pubblica, del singolo episodio ostativo». Da tanto deriva, secondo il giudice a quo, la rilevanza della questione, in quanto l’accoglimento della medesima imporrebbe l’accoglimento dei ricorsi.
Ciò posto per dare conto della rilevanza, il remittente osserva, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, che le due norme appaiono in conflitto con gli evocati parametri, sotto tre differenti aspetti: 1) nella parte in cui rendono elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno anche le condanne pronunciate, a seguito di patteggiamento della pena, in epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, cui si deve la nuova formulazione dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998; 2) nella parte in cui introducono un divieto automatico di rinnovo del permesso di soggiorno «per determinati reati anche di lieve o lievissima entità»; 3) nella parte in cui sottraggono all’autorità amministrativa il potere di valutare la pericolosità del cittadino extracomunitario, al fine di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza.
Quanto alla prima doglianza il TAR remittente, richiamandosi alla sentenza n. 394 del 2002 di questa Corte, nota che la legge n. 189 del 2002, introducendo ex novo l’elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno costituito dall’esistenza di una sentenza di condanna emessa «anche a seguito di applicazione della pena su richiesta», ha sostanzialmente alterato «la componente negoziale insita nell’istituto del patteggiamento»; in altri termini i due ricorrenti, i quali avevano a suo tempo concordato la pena sulla base di un certo quadro normativo – che non prevedeva alcun divieto di rinnovo del permesso di soggiorno a seguito di un patteggiamento della pena – hanno visto mutata radicalmente la loro posizione, con un effetto gravemente pregiudizievole non prevedibile al momento del patteggiamento (le due sentenze risultano essere divenute irrevocabili in data 20 febbraio 1997 e 28 febbraio 2001, ossia in epoca precedente l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002). L’aspettativa costituzionalmente rilevante sarebbe da identificare, in questo caso, con la legittima permanenza nel territorio italiano, con le conseguenti opportunità in termini di lavoro (art. 4 Cost.) e di esercizio delle altre prerogative di cui agli artt. 13, 16 e 35 della Costituzione.
Sotto altro profilo, il TAR censura le norme in oggetto perché prevedono come ostacolo insuperabile al rinnovo del permesso di soggiorno «un’unica ed isolata condanna per determinati reati, anche di lieve o lievissima entità», senza alcun margine di valutazione della concreta pericolosità sociale del condannato. Siffatta previsione sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. inteso come principio di ragionevolezza ed adeguatezza, nonché con i diritti fondamentali dello straniero regolarmente soggiornante in Italia. Pur essendo pacifico, infatti, che la disciplina della permanenza degli stranieri è affidata alla discrezionalità del legislatore, cui spetta il bilanciamento di vari interessi fra loro anche in contrasto, è altresì vero che tale discrezionalità incontra il limite della ragionevolezza, come riconosciuto da questa Corte in numerose pronunce (sentenze n. 104 del 1969, n. 144 del 1970 e n. 62 del 1994). Nel caso in esame, trattandosi non di un primo ingresso bensì della possibilità di permanenza in Italia, il sacrificio del diritto dello straniero non può essere ammesso «se non in stretto collegamento con l’esigenza di tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti»; sicché solo l’accertamento in concreto della pericolosità potrebbe giustificare l’assunzione di una misura così grave come quella del mancato rinnovo del permesso di soggiorno. L’irragionevolezza della previsione, inoltre, risulterebbe anche dalla parificazione – una volta che sia stato commesso un certo reato – tra straniero socialmente pericoloso e straniero non socialmente pericoloso.
Il sistema derivante dalle norme impugnate appare al giudice a quo, inoltre, in contrasto con gli artt. 4, 27 e 35 Cost., perché il mancato rinnovo del permesso di soggiorno comporta l’impossibilità di svolgere un regolare lavoro, «condannando di fatto l’interessato ad una condizione di irregolarità e clandestinità». Non potrebbe ipotizzarsi, d’altra parte, che la condanna per un solo reato sia di per sé sintomo di pericolosità; a questo proposito vengono richiamate le sentenze n. 78 del 2005, n. 139 e n. 140 del 1982 di questa Corte: la prima, relativa alla sostanziale ininfluenza della mera denuncia; le altre, relative al rapporto che deve esistere, in materia di misure di sicurezza personali, tra applicabilità delle stesse e pericolosità sociale del condannato. I menzionati precedenti appaiono al TAR remittente tali da far ritenere l’irrazionalità della presunzione assoluta di pericolosità a seguito della commissione di un unico reato.
2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Secondo la difesa erariale, con le norme censurate il legislatore ha inteso affermare che aver commesso uno dei reati che impedisce l’ingresso nel nostro Paese è una manifestazione di pericolosità tale da giustificare il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno; quanto all’estensione di tale previsione anche ai reati oggetto di patteggiamento della pena, l’Avvocatura osserva che il rito adottato non può che “cedere” rispetto al tipo di reato per il quale viene scelto il patteggiamento.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 16, 27, e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte con la legge 30 luglio 2002, n. 189.
Secondo il remittente, le suddette disposizioni sarebbero in contrasto sotto molteplici profili con i parametri evocati; in particolare, esse contrasterebbero con gli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 Cost., in quanto attribuiscono efficacia ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno anche alle condanne pronunciate ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (patteggiamento) anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, che ha modificato l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, incidendo negativamente sul diritto al lavoro e sulla libertà di circolazione nel territorio nazionale.
In secondo luogo, esse violerebbero l’art. 3 Cost. in quanto introducono un divieto automatico di rinnovo, senza alcuna valutazione della pericolosità sociale da parte dell’autorità amministrativa, al fine di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblici.
Infine, violerebbero l’art. 3 Cost. perché attribuiscono efficacia ostativa anche ad un solo episodio criminoso di lieve entità.
2.— La questione è inammissibile sotto tutti i profili dedotti.
Si deve anzitutto rilevare che il TAR remittente fonda il suo ragionamento riguardo alle condanne inflitte in sede di patteggiamento sul presupposto che esse siano ostative al rinnovo del permesso di soggiorno ancorché antecedenti l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002, che tale efficacia ha attribuito alle medesime. Dell’assunto, tuttavia, il remittente non fornisce alcuna motivazione, dimostrando così di non aver esplorato le diverse, possibili interpretazioni delle disposizioni censurate tali da escludere la loro applicabilità nelle fattispecie oggetto del giudizio a quo, nelle quali l’efficacia preclusiva del rinnovo del permesso di soggiorno sarebbe spiegata da condanne antecedenti l’entrata in vigore della legge n. 189 del 2002. Ciò in presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali affermati in numerose pronunce di giudici amministrativi, conformi alla sentenza n. 394 del 2002 di questa Corte, richiamata dallo stesso remittente.
In secondo luogo, il giudice a quo, mentre denuncia la sottrazione all’autorità amministrativa del potere di valutare la pericolosità sociale del cittadino extracomunitario e sottolinea la diversità di trattamento che in tal modo verrebbe a profilarsi rispetto all’ipotesi dell’espulsione inflitta allo straniero a titolo di misura di sicurezza dal giudice penale, non si pone neppure il problema del giudizio in cui tale valutazione dovrebbe ricevere il necessario controllo giurisdizionale e, quindi, della propria legittimazione a sollevare siffatta questione. In tal modo, il remittente trascura quanto affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 9 del 2005, i cui principi sono stati poi ribaditi con la sentenza n. 240 del 2006.
Si deve osservare, infine, che il remittente censura le disposizioni in scrutinio anche per l’efficacia attribuita ad una sola condanna per reati di lieve entità, ma non fornisce alcuna motivazione sul punto con riguardo alla rilevanza, in particolare sulla ritenuta lieve entità dei reati che, nelle fattispecie oggetto del suo esame, precluderebbero il rinnovo del permesso di soggiorno.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2006.