Il Governo impugna lo Statuto della Regione Toscana

Si pubblica di seguito il testo del ricorso del Governo per la dichiarazione della illegittimità costituzionale dello Statuto della Regione Toscana approvato dal consiglio regionale in prima deliberazione il 6 maggio 2004 ed in seconda deliberazione il 19 luglio 2004, pubblicato nel B.U.R. n. 27 del 26 luglio 2004.

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliato nei confronti della Regione Toscana, in persona del presidente della giunta regionale per la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale degli articoli 3, comma 6; 4, comma 1 lettere h), l), m), n), o), p); 32, comma 2; 54, comma 1 e 3; 63, comma 2; 64, comma 2; 70, comma 1; 75, comma 4, dello Statuto della Regione Toscana, approvato in prima deliberazione il 6 maggio 2004 ed in seconda deliberazione il 19 luglio 2004 pubblicato nel B.U.R. n. 27 del 26 luglio 2004, in relazione agli articoli 2, 3, 5, 29 48, 24, 75, 97, 113, 114, 123, 117, secondo comma, lettere e), f), i), l), p), s), terzo comma e sesto comma, 118, 121, 122, 123, 138 della Costituzione.
In data 26 luglio 2004 e’ stato pubblicato lo statuto della Regione Toscana approvato in seconda deliberazione in data 19 luglio 2004.
Tale statuto, in conformita’ della delibera del Consiglio dei ministri in data 3 agosto 2004, viene impugnato nelle sottoindicate disposizioni.

1. – L’art. 3, comma 6, dello statuto prevede che la regione promuova, nel rispetto dei principi costituzionali, il diritto di voto agli immigrati.
La norma appare in contrasto con il principio costituzionale enunciato nell’art. 48 Cost. – inerente ai rapporti politici – che riserva ai cittadini l’elettorato attivo, e, finalisticamente, non rispettosa delle attribuzioni costituzionali dello Stato, essendo riservato al Parlamento nazionale il potere di revisione costituzionale. Essa, sotto altro profilo, per quanto specificamente attiene alla legislazione elettorale concernente gli organi statali e degli enti locali, contrasta con le previsioni dell’art. 117, secondo comma, lettere f) e p), Cost. che attribuiscono allo Stato la potesta’ legislativa esclusiva nella relativa materia. Infine, esorbitando dai confini propri dell’area normativa affidata alla fonte statutaria, viene a costituire un limite ai poteri di iniziativa legislativa del Consiglio, previsti dall’art. 121, secondo comma, Cost. il cui esercizio deve rimanere alla responsabilita’ politica dell’organo anzidetto (cfr. art. 11, comma 6, dello stesso statuto).
2. – Recita l’art. 4 dello statuto, rubricato «finalita’ principali»:
«La Regione persegue, tra le finalita’ prioritarie…
g) la tutela e la valorizzazione della famiglia fondata sul
matrimonio;
h) il riconoscimento delle altre forme di convivenza.».
La diversa formulazione delle due previsioni rende evidente che: da un lato, non v’e’ una visione unificante ed una considerazione di equivalenza della famiglia fondata sul matrimonio e delle altre forme di convivenza; dall’altro, all’istituzione matrimoniale, di cui e’ postulata una dignita’ superiore in coerenza con la protezione diretta che essa riceve dall’art. 29 Cost., e’ attribuita una considerazione privilegiata essendo soltanto ad essa assicurate tutela e valorizzazione; il che vale ad impegnare statutariamente la regione ad agevolare la formazione e l’adempimento dei compiti della famiglia fondata sul matrimonio, in quanto «stabile istituzione sovraindividuale» (sent. 8/1996), attraverso appropriate misure economiche di sostegno ed altre provvidenze.
Non puo’ peraltro ritenersi in armonia con la Costituzione – e sarebbe comunque invasiva della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile – l’affermazione di riconoscimento delle altre forme di convivenza, di ambigua genericita’ ed indiscriminata estensione, in relazione alla quale non e’ dato neppure comprendere quali siano i contenuti e gli effetti del «riconoscimento» e se l’oggetto di questo vada oltre la convivenza more uxorio, come rapporto di fatto tra uomo e donna, al quale soltanto, e ad assai limitati effetti 1), gia’ sono ricollegate dall’ordinamento generale alcune conseguenze giuridiche.
Un siffatto riconoscimento in termini generali, ancorche’ generici, potrebbe pur tuttavia costituire la base statutaria di interventi normativi regionali per una disciplina specifica.
In particolare, fermo il rilievo che eventuali future previsioni normative regionali inerenti al campo dei rapporti (personali e patrimoniali) tra conviventi, al loro status ed ad una loro qualche rilevanza pubblicistica – che non hanno con la regione un particolare nesso territoriale e per i quali e’ evidente l’imprescindibile esigenza di disciplina uniforme nell’intero territorio nazionale – violerebbe comunque competenze esclusive dello Stato (in ipotesi quelle sancite dall’art. 117, comma 2, lettere i) ed l), e comma 6), l’attuale previsione statutaria di cui all’art. 4 lettera h), in quanto intenda affermare qualcosa di diverso dal semplice rilievo sociale e dalla conseguente giuridica dignita’ – nei limiti previsti dalle leggi dello Stato – della convivenza tra uomo e donna fuori del vincolo matrimoniale (quale espressione di libera determinazione degli interessati e della loro quotidiana affectio) 2), ovvero intenda affermare siffatti valori con riguardo ad unioni libere e relazioni tra soggetti del medesimo sesso, risulta violativi dell’art. 123 Cost., anche perche’ in contrasto con i vincolanti punti di vista di principio assunti dalla Costituzione (sent. 8/1996) e quindi non in armonia con essa (e con i principi generali dell’ordinamento) in relazione a situazioni divergenti dal modello del rapporto coniugale, estranee al contenuto delle garanzie di cui all’art. 29 (inerenti ai contenuti ed agli scopi etico-sociali dell’istituzione matrimoniale) e non suscettibili di riconduzione nell’area di protezione dell’art. 2 Cost. E’ appena il caso di ricordare, al riguardo, che (come rimarcato nelle sentenze nn. 304 e 306 del 2002) il limite «dell’armonia con la Costituzione» di cui all’art. 123 Cost. mira non solo ad evitare il contrasto con le singole previsioni della Carta costituzionale ma anche a «scongiurare il pericolo che lo statuto, pur rispettoso della lettera della Costituzione, ne eluda lo spirito». Gli statuti regionali debbono non solo «rispettare puntualmente» ogni disposizione della Costituzione ma essere in armonia con i precetti ed i principi tutti ricavabili dalla Costituzione (sentt. 196/2003; 2/2004).
La forma plurale usata nella proposizione statutaria, che sembra voler considerare anche forme di convivenza ulteriori rispetto a quella more uxorio, ed il carattere generale ed indiscriminato dell’enunciato, specie se posto in relazione con l’affermazione di cui alla lettera s) dello stesso articolo – di rifiuto di ogni discriminazione fondata (non sul sesso ma) «sull’orientamento sessuale» – lasciano fondatamente supporre che la ripetuta disposizione postuli un’incongrua ed inammissibile dilatazione dell’area delimitata dai valori fondanti dell’art. 2 Cost. e debba pertanto considerarsi costituzionalmente incompatibile.
Anche a monte, del resto, sotto diverso profilo avente carattere di priorita’ logica, deve dubitarsi della legittimita’ della disposizione in esame, in quanto estranea ai contenuti necessari degli statuti regionali di cui al comma 1 dell’art. 123 Cost. (inerenti alla configurazione del proprio ordinamento interno) ed eccedente i limiti in cui altri contenuti possono ritenersi ammissibili (cfr. sent. 2/2004). Essa, infatti, ancorche’ ricompressa in articolo intestato «finalita’ principali», non risulta in realta’ ricognitiva di funzioni e compiti della regione ne’ indica aree di prioritario intervento politico o legislativo (al contario della previsione della lett. g) dell’art. 4 inerente alla valorizzazione della famiglia fondata sul matrimonio), tanto meno in materie di competenza regionale. Non esprime un interesse proprio della comunita’ regionale, ne’ ha concreto contenuto programmatorio ed estremamente opinabile ne e’ la misura dell’efficacia giuridica.
Lo statuto, infatti, e’ espressione di un’autonomia garantita dalla Costituzione, nel cui quadro si inserisce costituendone momento attuativo. Esso non puo’ dunque validamente estendersi ad affermazioni di principi e valori che non siano meramente riproduttive di quelle espresse nella parte I della Costituzione (in particolare, per quanto qui interessa, nel titolo II «rapporti etico sociali») connotanti l’intero assetto della comunita’ nazionale, allaquale non e’ configurabile che possa contrapporsi una comunita’ regionale diversamente caratterizzata.
Ne’ e’ ammissibile, sotto tale profilo, che le diverse comunita’ regionali possano tra loro diversificarsi in ragione del loro ipotetico riconoscersi in valori diversi e contrastanti, che, oltre a contraddire il principio fondamentale di unita’ canonizzato dall’art. 5 Cost. ridonderebbe in un’ingiustificata disparita’ di trattamento violativa dell’art. 3 Cost.
L’interesse ad espungere dallo statuto la disposizione della lettera h) dell’art. 4 e’ anche quello di evitare che, come gia’ accennato, alla medesima possano raccordarsi – per trarne una legittimazione statutaria – successivi interventi normativi che, sia pure in materie di competenza (esclusiva o concorrente) della regione, attribuiscano un qualche positivo rilievo «alle altre forme di convivenza» – ed in particolare a quelle fra soggetti dello stesso sesso – sia nel settore pubblico che in quello privato.
3. – Lo stesso art. 4 dello statuto prevede che la regione persegua, tra le finalita’ prioritarie, anche:
l) il rispetto dell’equilibrio ecologico, la tutela dell’ambiente e del patrimonio naturale, la conservazione della biodiversita’, la promozione della cultura del rispetto degli animali;
m) la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico.
Tali previsioni violano la disposizione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), terzo comma e sesto comma, Cost. che riserva allo Stato la potesta’ esclusiva su tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
3.1. La complessa formulazione della disposizione statutaria della lettera l) dell’art. 4 puo’ sostanzialmente sintetizzarsi nell’espressione «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», utilizzata nell’art. 117, secondo comma, lettera s) per definire una competenza legislativa (e regolamentare) esclusiva dello Stato sia nella prospettiva antropocentrica (tutela della salubrita’ dell’ambiente) che nella prospettiva ecocentrica (tutela della natura intesa come valore in se’, cioe’ protezione e conservazione della natura, nel cui ambito e’ certamente ricompreso l’interesse alla conservazione del patrimonio faunistico; cfr. sent. n. 536/2002).
Se, come insegnato dalla giurisprudenza costituzionale, l’ambiente e’ un «valore costituzionalmente protetto» in ordine al quale si manifestano competenze diverse, spettano comunque allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze di disciplina uniforme, anche specifica, sull’intero territorio nazionale (sentt. n. 407/2002; n. 259/2004). In particolare, se interventi del legislatore regionale che si attenga alle proprie competenze nella cura di interessi diversi, funzionalmente collegati con quelli specificamente ambientali, possono risultare non incompatibili con la competenza esclusiva dello Stato nel settore della tutela dell’ambiente su cui manifestino una qualche incidenza (sent. n. 259/2004) – nei limiti beninteso in cui detti interventi non pregiudichino l’equilibrio ambientale ed ecologico (sent. n. 536/2002) -, rimane fermo, tuttavia, che gli interessi inerenti in via primaria alla tutela dell’ambiente (bene unitario da salvaguardare nella sua interezza; cfr. sentt. 67/1992; 536/2002) sono affidati alla competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 407/2002).
Tale fondamentale regola rimane del tutto obliterata nello statuto in esame, che vuole perseguire come finalita’ prioritaria proprio la tutela dell’ambiente, assumendo questa (non come settore di eventuale indiretta incidenza dell’esercizio di competenze concorrenti proprie della regione, ma) come scopo diretto dell’azione regionale.
Evidente e’ l’alterazione della prospettiva, che sostanzialmente si traduce nell’illegittima affermazione di una competenza primaria regionale di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quindi (ben piu’ che in un’invasione di competenze nell’esercizio di un’attivita’ normativa) in un’incompatibilita’ strutturale dello statuto della Regione e della Costituzione della Repubblica, per l’incontestabile prevaricazione a livello di principio delle potesta’ statali e ribaltamento dell’ordine delle competenze costituzionalmente stabilito.
3.2. Il quadro costituzionale delle competenze delineato dall’attuale art. 117 tiene conto della peculiarita’ del patrimonio storico-artistico italiano, considerato nel suo complesso al di la’ del valore del singolo bene isolatamente considerato, di cui ha affidato la tutela alla potesta’ legislativa esclusiva (e conseguente potesta’ regolamentare) allo Stato e la valorizzazione alla legislazione concorrente di Stato e regione.
La distinzione tra le due competenze risulta ben chiarita nella sentenza n. 9/2004, sulla scorta della normativa esistente, nel senso di ricondurre alla tutela le attivita’ inerenti al riconoscimento del bene culturale come tale, alla salvaguardia della sua struttura fisica (ad evitarne il degrado) e quindi del suo contenuto culturale (per l’inscindibilita’ tra la struttura materiale ed il valore ideale che essa esprime), ivi compresa la valorizzazione dei caratteri storico artistici del bene, e di ricondurre alla valorizzazione del bene culturale (la cui disciplina deve rispettare pur sempre i principi fondamentali della legislazione statale) le attivita’ dirette alla fruizione di questo, cioe’ a migliorarne le condizioni di conoscenza, agevolarne ed incrementarne la possibilita’ ed i modi di godimento e quindi a diffonderne la conoscenza ed a migliorare le condizioni di conservazione negli spazi espositivi e nei luoghi in
cui ne avviene la fruizione.
La disposizione statutaria della lettera m) dell’art. 4, che pretende di introdurre tra le finalita’ prioritarie della regione la tutela dei beni culturali cozza dunque incontestabilmente conto la netta separazione delle competenze delineata dalla Costituzione e vuole affermare addirittura priorita’ di interventi in un ambito che non e’ di spettanza della regione; cosi’ determinando un’incompatibilita’ strutturale analoga a quella sopra evidenziata, a proposito dell’ambiente e dell’ecosistema. Ne’ e’ privo di rilievo sottolineare che compete comunque alla legge statale, ai sensi del terzo comma dell’art. 118 Cost., disciplinare forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
3.3. Discorso del tutto analogo a quello gia’ sopra svolto e’ a farsi, com’e’ ovvio, per quanto concerne il patrimonio paesaggistico, in relazione agli aspetti di questo inerenti all’ambiente.
4. – Tra le finalita’ prioritarie che la regione persegue, l’art. 4 dello statuto indica ancora:
n) la promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla competitivita’ delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di sostenibilita’ dell’ambiente;
o) la valorizzazione della liberta’ di iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della responsabilita’ sociale delle imprese;
p) la promozione della cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi piu’ idonei.
Tali enunciazioni, che vogliono fornire base statutaria a futuri interventi del legislatore regionale, nell’assolutezza della loro formulazione risultano contrastare con l’attribuzione costituzionale alla competenza esclusiva dello Stato della «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), la quale costituisce una delle leve della politica economica statale ed e’ da intendere non soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche nell’accezione dinamica e promozionale che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato e ad instaurare assetti concorrenziali. Competenza, dunque, che presenta i caratteri di una funzione esercitabile sui piu’ diversi oggetti, per la sua rilevanza macroeconomica, e che consente l’adozione sia di specifiche misure sia di regimi di aiuto (ammessi dall’ordinamento comunitario), idonei ad incidere sull’equilibrio economico generale, ivi comprese misure di sostegno alle imprese che, singolarmente considerate possono apparire di entita’ tale da non trascendere l’ambito regionale ma nel loro insieme suscettibili di assumere rilevanza sul piano macroeconomico, coerenti ad obiettivi di scala nazionale e mirate alla competitivita’ complessiva del sistema (in tali sensi v. espressamente, sent. n. 14/2004).
L’attivita’ delle autonomie nel settore considerato incontra dunque il necessario limite, che la norma statutaria del tutto oblitera e sembra voler escludere, della competenza statale per la politica di sostegno del mercato e gli indirizzi in campo economico, ivi comprese le politiche per la promozione e lo sviluppo della cooperazione e mutualita’, 3) da inquadrare in una cornice complessivamente unitaria anche a garanzia dell’uguaglianza tra gli operatori.
Le previsioni in questione, per quanto concerne in particolare il settore della cooperazione, se inteso come disciplina delle diverse forme e tipologie di questa, si pongono anche in contrasto con la competenza spettante allo Stato in materia di ordinamento civile (art. 117, comma secondo, lett. l), Cost).
5. – Secondo l’art. 32, comma 2, dello statuto «il programma di governo e’ approvato entro dieci giorni dalla sua illustrazione». La disposizione non e’ accompagnata dall’indicazione delle conseguenze della mancata approvazione ed e’ gia’ censurabile per questa sua ambiguita’.
Nel sistema delineato dallo statuto, l’approvazione del programma di governo compete al Consiglio (art. 11), cui spetta indicare l’indirizzo politico e programmatico della regione e controllarne l’attuazione. Al Presidente della giunta, eletto a suffragio universale e diretto, spetta la predisposizione del programma e la sua attuazione (art. 34).
La disposizione in esame (che non si limita a prescrivere la tempestiva presentazione del programma di governo ma fissa un termine per la sua approvazione) non risulta coerente con l’elezione diretta del Presidente (di cui sembra ridurre i poteri di indirizzo), in quanto la prevista approvazione consiliare del programma di governo instauri irragionevolmente e contraddittoriamente tra presidente e consiglio regionale un rapporto diverso rispetto a quello che consegue all’elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo prevista dal comma quinto dell’art. 122 Cost., in relazione alla quale non sussiste il tradizionale rapporto fiduciario con il consiglio rappresentativo dell’intero corpo elettorale (sent. n. 2/2004).
Essa, pertanto, tenuto anche conto dei canoni fondamentali di cui all’art. 3 Cost., non puo’ ritenersi in armonia con la Costituzione.
6. – L’art. 54 (commi 1 e 3) dello statuto, in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso, prevede il diritto di accesso ai documenti della regione senza obbligo di motivazione ed esclude l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi meramente esecutivi.
Tali previsioni da un lato potrebbero consentire un controllo non filtrato sull’attivita’ dell’amministrazione, al di la’ dell’esigenza di protezione di interessi giuridicamente rilevanti ed anche per finalita’ meramente emulative, con possibili intralci ed inutili appesantimenti per la medesima, in contrasto con l’art. 97 Cost.; dall’altro (per l’esclusione assoluta e di principio dell’obbligo di motivazione) potrebbe determinare un’oggettiva maggiore difficolta’ nella tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi da parte di controinteressati, in violazione degli articoli 24 e 113 Cost; si profila inoltre un contrasto con l’art. 3, in quanto una differenza di disciplina nelle varie regioni si rifletterebbe sulle posizioni soggettive dei singoli, le quali risulterebbero diversamente configurabili e tutelabili.
In definitiva, malgrado l’apparenza, le previsioni in questione risultano non coerenti con i principi costituzionali di efficienza e trasparenza dell’amministrazione nonche’ di effettivita’ della tutela contro i suoi atti e non rispettano comunque i confini dell’area normativa riconoscibile allo statuto rispetto ad altre fonti regionali.
7. – L’art. 63, comma 2, dello statuto prevede che l’organizzazione delle funzioni amministrative conferite agli enti locali, nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, possono essere disciplinate con legge regionale per assicurare requisiti essenziali di uniformita’.
L’art. 117, sesto comma, Cost. riserva alla potesta’ regolamentare degli enti locali la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni amministrative ad essi attribuite.
Ne discende che eventuali esigenze di esercizio unitario potrebbero solo giustificare, secondo il principio di sussidiarieta’ (art. 118 Cost.), il mantenimento di determinate funzioni legislative al livello di governo regionale, ma non un loro conferimento all’ente locale con contemporanea espropriazione dei poteri a questo spettanti per regolamentarne l’organizzazione ed il funzionamento. La disposizione in esame contrasta dunque con le richiamate norme costituzionali, oltre che con l’art. 114 e con il principio fondamentale della leale collaborazione nell’esercizio di compiti amministrativi interessanti piu’ enti fra quelli considerati, in modo equiordinato, nella stessa norma ultima citata.
8. – Secondo l’art. 64, comma 2, «la legge disciplina, limitatamente ai profili coperti da riserva di legge, i tributi propri degli enti locali, salva la potesta’ degli enti di istituirli».
Va preliminarmente osservato che la Corte (sent. n. 37/2004) ha puntualmente affermato che «non e’ ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potesta’ regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale» e che la materia del sistema tributario degli enti locali non rientra nell’ambito della potesta’ legislativa
«residuale» delle regioni.
Cio’ premesso, deve rilevarsi che la norma in esame postula margini di autonomia regionale piu’ ampi di quelli stabiliti dall’art. 119 Cost., i cui limiti non vengono richiamati.
La norma statutaria, in particolare, relativamente alla disciplina dei tributi degli enti locali, vuole direttamente ed immediatamente prefigurare un determinato rapporto tra fonti normative (legge regionale, per la parte coperta da riserva di legge, e normativa locale, per quanto concerne l’istituzione e gli altri aspetti non coperti da riserva di legge) che e’ invece solo uno di quelli possibili, costituzionalmente rimessi alle valutazioni ed alle scelte del legislatore nazionale nel momento in cui dara’ attuazione all’art. 119 Cost.
La Corte ha infatti precisato, nella citata sentenza, che e’ possibile ipotizzare «situazioni di disciplina normativa sia a tre livelli (legislativa statale, legislativa regionale, e regolamentare locale), sia a due soli livelli (statale e locale, ovvero regionale e locale)». La norma statutaria in esame, invece, non solo sembra escludere a priori la possibilita’ della soluzione a tre livelli, ma postula che, nell’ambito di quella a due livelli, la potesta’ legislativa competente debba essere quella regionale, cosi’ non rispettando le attribuzioni costituzionali del legislatore nazionale, al quale soltanto, come detto, competono le scelte in materia.
Per tale verso, fermo il rilevato contrasto con l’art. 119 Cost., e’ anche da evidenziare il modo di per se’ censurabile con il quale nella disposizione in esame viene utilizzato due volte il termine «legge» senza alcuna aggettivazione.
E’ pacifico, nella logica funzionale dello statuto, che il richiamo iniziale alla legge e’ da intendere riferito alla legge regionale, la quale, nella prospettiva seguita, dovrebbe essere l’unica a disciplinare i tributi degli enti locali. Se ne dovrebbe dedurre, in assenza di altra indicazione ed in coerenza con la prospettazione statutaria, l’analoga valenza del termine legge successivamente usato e, dunque, che la riserva di legge di cui e’ fatta menzione sia esclusivamente una riserva di legge regionale. Il che, per quanto gia’ considerato, contraddice le previsioni costituzionali in base alle quali la riserva di legge in subiecta materia e’ primariamente riserva di legge statale.
9. – L’art. 70, comma 1 dello statuto prevede che gli organi di governo ed il consiglio partecipano, nei modi previsti dalla legge, alla formazione e attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza regionale. Il riferimento, malgrado la genericita’ dell’espressione, sembra essere alla legge regionale.
La disposizione contrasta quindi con l’art. 117, quinto comma, Cost., che prevede che la partecipazione delle regioni avvenga secondo le norme di procedura stabilite da legge dello Stato (cfr. art. 6 della legge n. 131/2003).
10. – L’art. 75, comma 4, dello statuto, a proposito del referendum abrogativo di una legge o di un regolamento regionale, prevede che la proposta referendaria di abrogazione si intende approvata se partecipa alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni regionali e se essa ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi.
La disposizione contrasta con il principio fondamentale di ragionevolezza in quanto ancora la disciplina del principale strumento di democrazia diretta e la valutazione dell’esito della sua attivazione non in riferimento alla consistenza effettiva del corpo elettorale, secondo un corretto principio di democrazia partecipativa correlato a quello del suffragio universale, ma con riguardo ad un dato del tutto casuale e contingente, privo di qualsiasi significativita’.
Evidente e’ l’incoerenza e l’irragionevolezza della norma, che non tiene conto, tra l’altro, della differente natura della consultazione referendaria rispetto alle elezioni regionali e del diverso interesse che le due consultazioni popolari possono rivestire per il cittadino sia in relazione al loro diverso oggetto – di scelta dei rappresentanti negli organi legislativi ovvero di diretta decisione politica su problemi e discipline specifiche – sia in relazione alle diverse modalita’ di espressione e di computo del voto nell’una e nell’altra consultazione, in connessione con la suddivisione degli elettori in collegi e, di converso, con l’essenziale e peculiare unitarieta’ del corpo referendario deliberante, elementi tutti che escludono qualsiasi fondamento logico alla prevista parametrazione del quorum di partecipazione necessario per la validita’ del referendum.
Le precedenti considerazioni traggono conforto dal rilievo, tutt’altro che astratto ma fondato sulla concreta esperienza pratica, della linea di tendenza di ultimo periodo, che mostra un progressivo aumento dell’astensionismo elettorale; circostanza che, coniugata con quella (evidentemente trascurata) della significativita’ che puo’ assumere un comportamento omissivo in occasione di un referendum abrogativo, potrebbe portare, sulla base della censurata regola, all’inaccettabile ed antidemocratica conseguenza dell’abrogazione di un atto normativo in base al voto di un’esigua minoranza del corpo elettorale.
Deve comunque ritenersi che l’ancoramento della validita’ della consultazione referendaria alla partecipazione ad essa della maggioranza degli aventi diritto, stabilito dall’art. 75 Cost., a proposito delle leggi statali, costituisca positiva espressione di un principio costituzionale fondamentale, qualificante la forma stessa dello Stato democratico.
1) Come rimarcato dalla Corte (sent. 352/2000), il legislatore penale, a fronte di un auspicio espresso con le sentenze n. 6/1977 e n. 237/1986 per una valutazione della tutela da accordare agli interessi connessi al rapporto di convivenza, rispetto all’alternativa di incidere sulla definizione generale della nozione di «prossimi congiunti» offerta dall’art. 307, comma quarto c.p., includendovi anche il convivente, ha preferito limitare l’assimilazione a singole situazioni ben individuate, anziche’ procedere ad un «allineamento» generale ed indiscriminato del rapporto di convivenza a quello di coniugio.
2) Nel prendere in considerazione la convivenza di fatto tra uomo e donna (pur in situazioni di «consolidato rapporto») la Corte Costituzionale ha costantemente affermato la fondamentale diversita’ tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul vincolo matrimoniale (questa soltanto con – notata dai caratteri della stabilita’ e certezza e della reciprocita’ e corrispettivita’ dei diritti e dei doveri che fanno capo ai suoi componenti), in ragione della quale la Costituzione stessa ha dato delle due situazioni una valutazione differenziatrice che esclude in radice l’ammissibilita’ – da un punto di vista giuridico costituzionale – di affermazioni omologanti. Il che non esclude la comparabilita’ di specifiche discipline riguardanti aspetti particolari della convivenza di fatto e del rapporto di coniugio che possano presentare analogie ai fini del controllo della ragionevolezza a norma dell’art. 3 Cost., (da ultimo ord. 121/2004; per interventi additivi fondati su tali premesse v. sentt. 404/1988; 559/1989).
3) V. la ridefinizione dei compiti del Ministero delle atiivita’ produttive di cui al d.lgs. n. 34/2004, che ha sostituito l’art. 27 ssgg. del d.lgs. n. 300/1999.