INFONDATA LA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITA’ SULLE “QUOTE ROSE” IN VALLE D’AOSTA

Con la sent. n. 49 del 13 febbraio 2003, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, e 7, comma 1, della legge regionale della Valle d’Aosta 13 novembre 2002, n. 21, i quali stabiliscono che “ogni lista di candidati all’elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi” (art. 2, comma 1) e che in sede di verifica della regolarità delle liste presentate sono dichiarate “non valide” le liste nella quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi (art. 7, comma 1).
La questione è stata sollevata dal Governo in via principale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, i quali, garantendo l’assoluta eguaglianza fra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, impedirebbero che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso possa essere assunta a requisito di candidabilità (richiamo alla sent. n. 422 del 1995). Secondo l’Avvocatura dello Stato, l’art. 2 della legge censurata sarebbe incostituzionale ove ne sia accertata la sua natura precettiva e non meramente programmatica.
La Corte, nel dichiarare infondata la questione, afferma, anzitutto, che le “disposizioni contestate non pongono l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito ulteriore di eleggibilità, e nemmeno di candidabilità dei singoli cittadini. L’obbligo imposto dalla legge, e la conseguente sanzione di invalidità, concernono solo le liste e i soggetti che le presentano”. Peraltro, la disciplina censurata non intacca “il carattere unitario della rappresentanza che si esprime nel Consiglio regionale, non costituendosi alcuna relazione giuridicamente rilevante fra gli elettori, dell’uno e dell’altro sesso e gli eletti dello stesso sesso”.
La legge impugnata è stata adottata ai sensi dell’art. 15 dello Statuto Valle d’Aosta, come modificato dall’art. 2 l. cost. n. 2 del 2001, che attribuisce ad una legge approvata a maggioranza assoluta la determinazione della forma di governo della Regione, le modalità di elezione, ecc., stabilendo, tra l’altro, che “al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”. Nel caso di specie la legge è stata approvata a larghissima maggioranza (dei 2/3) e può essere definita come legge “statutaria” (approvata a maggioranza qualificata in attuazione delle previsioni contenute nella l. cost. n. 2 del 2001) rivolta alla promozione delle condizioni di parità per l’accesso alle cariche elettive.
Anche rispetto alle Regioni ordinarie, l’attuale art. 117, comma 7, Cost., riformato dalla legge cost. n. 3 del 2001, prevede che le leggi regionali promuovano la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Entro questo quadro costituzionale è stata esaminata la questione sollevata dal Presidente del Consiglio, che fa leva sulla sent. n. 422 del 1995, la quale, come è noto, dichiarò l’incostituzionalità della disposizione che, riguardo all’elezione a consigliere comunale nei comuni con popolazione sino a 15000 abitanti, prevedeva che nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi potesse essere rappresentato in misura superiore ai due terzi (in via consequenziale furono colpite altre disposizioni di identico tenore riguardanti le elezioni regionali e provinciali). In sostanza, la pronuncia della Corte si ancorava all’affermazione per cui il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 e ribadito dall’art. 51 Cost. impone l’indifferenza del sesso ai fini dell’accesso alle cariche elettive. La sent. n. 422 del 1995 è stata ampiamente criticata in dottrina (in particolare: Carlassare e De Siervo), sottolineandosi che la riserva di quota nella presentazione delle candidature si limita a permettere l’eguaglianza di chances.
Di la dalle critiche alla sent. n. 422 del 1995 e pure dalla diversità della disciplina in esame (che si limita a prevedere la presenza di candidati di entrambi i sessi nelle liste senza propriamente stabilire una riserva di quota: la presenza di un solo candidato “diverso” basterebbe quindi per la validità della lista), quello che oggi va sottolineato è la presenza di specifiche previsioni costituzionali che sollecitano interventi rivolti alla promozione delle condizioni di parità per l’accesso alle cariche elettive sia nelle Regioni speciali (l. cost. 2 del 2001, che ha modificato in tal senso gli Statuti) sia nelle Regioni ordinarie (art. 117, comma 7, riformato dall’art. 3 legge cost. 3 del 2001). Proprio il mutato quadro costituzionale permette infatti alla Corte di affermate che “la misura disposta [dalle norme censurate] può senz’altro ritenersi una legittima espressione sul piano legislativo dell’intento di realizzare la finalità promozionale espressamente sancita dallo statuto speciale in vista dell’obiettivo di equilibrio della rappresentanza”.
La decisione della Corte appare condivisibile, anche con riferimento alla previsione della invalidità delle liste in cui non siano presenti candidati di entrambi i sessi (art. 7 della legge impugnata). Quest’ultima previsione pare perfettamente compatibile con l’art. 15 dello Statuto, essendo finalizzata a garantire l’effettività dell’intervento rivolto alla promozione delle condizioni di parità per l’accesso alle cariche elettive.
Non si poteva, infatti, non tenere conto del profondo mutamento dello scenario normativo, a partire proprio dalle “nuove” previsioni costituzionali. In questo senso può essere ricordata anche l’esperienza francese, con riferimento al significativo mutamento della giurisprudenza del Conseil Constitutionnel dopo la legge costituzionale dell’8 luglio 1999 che ha aggiunto un comma all’art. 3 della Costituzione francese del seguente tenore: la legge favorisce l’uguale accesso delle donne e degli uomini ai mandati elettorali e alle funzioni elettive. Prima di questa riforma il Conseil ha dichiarato incostituzionale una legge che limitava al 75% il massimo di candidati dello stesso sesso alle elezioni municipali (sent. 18 novembre del 1982), ritenendo che il legislatore non potesse operare distinzioni tra candidati in ragione del sesso e ribadendo questo orientamento in una sentenza del 14 gennaio del 1999. Dopo la riforma dell’8 luglio 1999, il Conseil ha mutato orientamento, affermando che la modifica costituzionale ha “inteso consentire al legislatore di introdurre ogni disposizione diretta a rendere effettivo l’eguale accesso di donne e uomini ai mandati elettorali e alle funzioni elettive” e che, a questo fine, è ormai consentito al legislatore di adottare sia misure limitative che promozionali (sent. 30 maggio 2000), non potendosi in senso contrario invocarsi le precedenti decisioni del Conseil adottate prima della menzionata riforma costituzionale.
http://www.cortecostituzionale.it/ita/attivitacorte/pronunceemassime/pronunce/schedaDec.asp?Comando=LET&NoDec=49&AnnoDec=2003&TrmD=&TrmM